3 Giugno 2025 - 17.37

Monastero di Santa Caterina. Quando lo Stato diventa “ladro di Dio”

Pur essendo laico, non risco a non indignarmi per un atto che colpisce uno dei luoghi di culto più iconici e più antichi del mondo.

Quindici secoli. Quindici secoli di storia, preghiera, silenzio e convivenza, cancellati con un colpo di timbro da un tribunale egiziano. 

Il Monastero di Santa Caterina, incastonato come una reliquia viva ai piedi del Monte Oreb – dove la Bibbia dice che Dio consegnò a Mosè le Tavole della Legge – è stato, di fatto, espropriato. 

La sentenza del Tribunale di Ismailia del 28 maggio ha stabilito che il proprietario del monastero è lo Stato. 

Non i monaci. Non la Chiesa. Non la storia. Ma lo Stato.

Uno Stato che si comporta come un predone. 

Che ignora la lettera che Maometto stesso avrebbe indirizzato ai monaci garantendo loro protezione, rispetto e autonomia. Una lettera che è custodita come una reliquia proprio in quel monastero. Una garanzia firmata dal fondatore dell’Islam, oggi ignorata, svilita, rinnegata. 

Cosa c’è di più sacrilego?

Santa Caterina non è un “sito”, non è un “bene culturale” da mettere a reddito. 

È un luogo sacro, anzi, un ponte fragile ma tenace tra cristianesimo e islam. 

È la prova vivente che si può convivere senza odiarsi, senza convertirsi, senza distruggersi. 

Lì, la croce e la mezzaluna si sono guardate per secoli senza aggredirsi. 

Lì, i monaci hanno accolto pellegrini di ogni fede. 

Lì, nessuno ha chiesto a Dio il permesso di possedere la Terra. 

Fino ad ora.

E invece eccoci: 2025, e lo spettro delle crociate torna a infestare le coscienze. 

Ma stavolta le armature non sono di ferro, ma la sostanza del diritto amministrativo. 

Non ci sono lance, ma sentenze. 

Non si bruciano chiese, si “espropriano”. Il risultato però è lo stesso: violenza, sopraffazione, rapina.

Sì, rapina. Perché togliere ai monaci la custodia del monastero è un furto, aggravato dalla blasfemia. 

È come se un giudice decidesse che il Muro del Pianto appartiene allo Stato israeliano e non alla comunità ebraica, o che San Pietro sia patrimonio del demanio italiano e non della Chiesa. 

È un precedente pericoloso, una bomba giuridica, un gesto arrogante e inquietante.

Non è difficile vedere la mano che muove i fili.    La Fratellanza Musulmana di orientamento salafita – pur se apparentemente tenuta a bada – continua ad avvelenare il clima politico e culturale egiziano. 

Al-Sisi, ex generale e ora autocrate “moderato”, gioca da anni su più tavoli: tolleranza per l’Occidente, strizzatine d’occhio agli islamisti più radicali. 

In mezzo, i cristiani copti e i simboli del pluralismo religioso diventano ostaggi, ostacoli, o peggio ancora: occasioni di business.

Sì, perché in tutto questo aleggia anche l’ombra del denaro. 

La penisola del Sinai è un deserto solo in superficie. 

Sotto, ferve il progetto di trasformarla in un parco giochi del turismo religioso, ambientale, storico. Un Disneyland biblico per pellegrini e milionari. 

E per fare spazio ai resort e ai profitti, si cancella la spiritualità. 

Si “confisca”, si deporta la memoria.

Questa sentenza non è solo un atto legale. 

È un atto politico. È un atto ideologico. È un tradimento della civiltà. 

È una ferita inferta al cuore della storia umana, non solo cristiana. È un campanello d’allarme per chi ancora crede che la fede non debba essere merce, che i luoghi sacri debbano restare liberi, e che il dialogo tra religioni sia un patrimonio da difendere con i denti.

Serve una mobilitazione internazionale. 

Serve che l’Unesco batta un colpo. Serve che le Chiese si facciano sentire, che la diplomazia non taccia, che l’Europa non si volti dall’altra parte. 

E serve soprattutto che noi, cittadini liberi, ci indigniamo. 

Ora. Prima che la notte cada definitivamente su Santa Caterina………che esisteva già prima di Giustiniano.

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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