Migrazioni. Quando i barbari bussavano alle porte…e qualcuno apriva

So già cosa penserete: “Questo è il solito reazionario da salotto, che sogna i muri e le frontiere chiuse.”
Macché!
Io osservo la Storia, e siccome amo imparare da essa, mi permetto una domanda impertinente: che differenza c’è tra i Visigoti ed i migranti odierni?
I Visigoti, i Vandali, gli Unni, i Longobardi… mica venivano a portare la civiltà.
Scappavano da qualcosa, guerre, fame, disastri climatici (sì, c’erano anche allora), e puntavano dritti verso l’Impero Romano.
Perché?
Perché lì c’era pane, ordine, benessere, leggi, strade, e persino stabilimenti termali e teatri.
Esattamente come oggi in Europa.
I popoli barbarici, quelli sì erano “migranti economici” ante litteram.
E le motivazioni erano identiche a quelle attuali (al di quelle spesso surrettizie di persecuzioni perché gay o altre bubole): fuggire da condizioni di vita peggiori per cercare il benessere.
E anche allora c’erano le anime belle di turno, senatori filosofi, vescovi illuminati, a predicare l’accoglienza: “Ma sì, facciamoli entrare. Sono esseri umani anche loro.”
Poi sappiamo com’è andata: l’Impero romano d’Occidente si è spento lentamente, sotto il peso di chi lo invase e di chi non seppe difenderlo.
Ora, beninteso, non sto dicendo che ogni barcone che arriva a Lampedusa sia guidato da un Alarico redivivo.
Ma la dinamica storica è troppo simile per ignorarla: masse in movimento verso un sistema più ricco, attratte dal miraggio di una vita migliore, mentre le élite locali sono paralizzate da un mix di senso di colpa, retorica umanitaria e miopia politica.
Solo che oggi non si chiamano più invasori, bensì migranti.
Parola magica, che assolve tutto e tutti.
Una volta “clandestino” evocava il sospetto; oggi “migrante” genera carezze sociali, bonus, corsi d’integrazione, avvocati d’ufficio, e magari anche una laurea ad honorem.
Ma che succederebbe se domani un nuovo Attila sbarcasse in Sicilia e si dichiarasse profugo ambientale? Apriremmo un centro d’accoglienza anche per lui?
Con l’arcivescovo a benedire la sua accetta e la Ong di turno pronta a difenderne la cultura d’origine?
Come accennavo la Storia insegna, ma pochi ascoltano, che Roma non cadde in un giorno.
Ci vollero secoli di lenta erosione, e non tanto per colpa delle armi altrui, ma dell’inerzia interna.
I “barbari”, termine che oggi suscita sdegno, ma che allora designava semplicemente chi stava fuori dal mondo romano, arrivavano in massa. Alcuni fuggivano dai feroci Unni, altri cercavano campi fertili, pane, pace.
Roma li accolse. All’inizio, con regole: foederati, alleati, sorvegliati speciali.
Poi sempre meno regole, sempre più caos.
Le frontiere si sfaldarono, i generali romani trattavano con i capitribù, alcuni barbari ricevevano terre e incarichi militari.
Nel 410 d.C. Alarico ed i suoi Visigoti saccheggiarono Roma.
Ma Alarico era un barbaro cristianizzato, cresciuto a contatto con i romani, non un selvaggio delle steppe.
Il confine tra migrante ed invasore era ormai diventato talmente labile da non essere quasi percepito.
Passatemi l’immagine, ma ai miei occhi oggi l’Europa è l’Impero Romano.
Accoglie, integra, distribuisce welfare, regolarizza.
Ma il parallelo storico inquieta: l’Occidente è fragile, culturalmente disorientato, incapace di dire chi è, figurarsi chi vuole diventare.
Ma parlare di questo è ormai un tabù. Guai a notare le analogie.
Le anime belle, loro sì che si commuovono. Basta vedere i post su Facebook: “Ogni uomo è mio fratello”, con tanto di cuoricino e bandiera dell’ONU.
Poi però quando arriva il centro d’accoglienza nel loro quartiere, partono le petizioni: “Sì all’accoglienza, ma non sotto casa mia.”
Eppure, come allora, le migrazioni di massa non sono semplici emergenze: sono cambi di civiltà.
Il punto è che un’ Europa che non sa più chi è, non può che trasformarsi in terra promessa per chiunque voglia qualcosa da lei.
Ma attenzione: anche Roma credeva di essere eterna.
Ecco, se vogliamo davvero essere solidali, iniziamo a distinguere tra accoglienza e suicidio culturale.
Perché tra un migrante in cerca di accoglienza e benessere, ed un’invasione camuffata da emergenza umanitaria, la linea è sottile.
Ma alla fine la domanda resta: dov’è la differenza con le migrazioni del IV e V secolo?
Anche allora si parlava di emergenze umanitarie, anche allora si chiedeva asilo, anche allora Roma credeva che bastasse civilizzare per contenere.
E invece ha perso prima le periferie, poi l’identità, infine se stessa.
Solo che allora nessuno si faceva illusioni: i barbari erano barbari.
Oggi invece li trattiamo come santi non canonizzati, col diritto divino all’accoglienza automatica.
Sì, certo, l’integrazione è possibile.
Ma mentre noi ci preoccupiamo di accogliere e non urtare, chi arriva spesso non ha alcuna intenzione di diventare europeo.
Preferisce che sia l’Europa a diventare simile a lui.
E se osi dire che forse, dico forse, questo modello non è sostenibile, ti becchi l’etichetta: xenofobo, razzista, fascista, insomma tutto il campionario.
Nel frattempo, l’Europa continua a dare.
Fino a quando?
Come la Roma di fine impero: finché ce n’è. Poi, arrivederci.
Non sono un vichiano convinto, e quindi non credo che la storia si ripeta.
Ma credo però che la storia, quando non la si ascolta, si vendica; e spesso lo fa come farsa, ma talvolta anche come tragedia.
Ammiano Marcellino
PS: Almeno Genserico quando nel 455 venne da Cartagine a saccheggiare Roma lo face con una sua flotta, con navi dei vandali. Noi i migranti addirittura ce li andiamo a prendere in mare……..coperti dal principio della “scriminante di solidarietà”.













