27 Giugno 2022 - 15.36

Ma perché vi fotografate? Tornano i selfie orrendi… (era meglio la mascherina)

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di Alessandro Cammarano

È esplosa l’estate, i divieti anti – Covid sono caduti (speriamo duri) – e la gente si è riversata nelle località turistiche invadendo qualsiasi spazio disponibile, vogliosa di strisciare qualsiasi carta di pagamento a beneficio di ogni singolo ristoratore-barista-esercente di attività commerciale-albergatore.

Benissimo! Ce n’era davvero bisogno e il turista villeggiante è disposto ad accettare prezzi in vertiginoso aumento, servizi troppo spesso scadenti ed educazione molte volte assente; ma che si fa … la sete di spendere è pari a quella di sangue del vampiro Lestat e chi siamo noi per impedire questa corsa un po’pazza nonostante l’inflazione galoppante e i carburanti che corrono come un levriero?

Insieme ai riti scialacquoni ne tornano altri, più subdoli e che credevamo dimenticati.

In tempo di confinamento era indispensabile pubblicare reel e video vari anche solo per mostrare le miserie degli arredi delle case in cui si era costretti a risiedere – le librerie queste sconosciute –, oggi, complice lo smascheramento e la ritrovata “libertà” è tornato con prepotenza lui, il selfie.

L’autoscatto celebrativo sembra fare leva sulle peggiori intenzioni autolesioniste di qualsiasi essere senziente che possieda uno smartphone, per cui praticamente tutti.

La spiaggia è ovviamente il luogo deputato al compimento delle peggiori nefandezze fotografiche, vuoi per la libertà dagli indumenti vuoi per il fattore scatenato dalla miscela sole-mare-spritz.

Quando si pensava fossero andati decisamente archiviati alla voce “cattivo gusto” nei classificatori della memoria ecco invece tornare, con prepotenza, il selfie ai piedi ed è subito ribrezzo.

Le estremità inferiori vengono consegnate alla posterità perplessa e pure un tantino schifata attraverso una serie di posture che una mente “normale” reputa possibile reperire solo in un manuale di psicopatologia criminale o in una raccolta di stampe “cochon” della metà del Settecento.

Complici il classico lettino o un bagnasciuga ammiccante il pollicione con l’unghia micotica gode del suo momento di ritrovata popolarità attraverso una storia di Instagram, magari con lo hashtag #sonotornato. I feticisti preferiscono l’inquadratura totale del piede, senza curarsi di alluci valghi, pedicure mai frequentati e pelle morta a gogò.

Le più spregiudicate risalgono verso la parte settentrionale del corpo e allora – saltate a piè pari le ginocchia – vengono consegnati all’eternità panorami di pubi spesso bisognosi come non mai di una botta di ceretta a caldo tanto somigliano ad un cactus del deserto del Mojave.

Anche i maschietti rivelano un po’ maldestramente i doni di cui madre natura – secondo loro – li ha dotati, o meglio sottodotati. Fra le trasparenze dei boxer bagnati o dello slippino da nuotatore si scorgono cosini vermiformi che rimandano immediatamente al saggissimo adagio “la miseria non è vergogna”.

Il peggio del peggio sta sempre e comunque nei tradizionali selfie del viso, nei quali si riesce davvero a dare il peggio di se stessi.

Passino l’immortale linguaccia o l’espressione coglionazza – in molti casi del tutto involontaria quando non l’unica a disposizione dell’autofotografo –, ma quella verso la quale non si può provare se non indignato ribrezzo è quella influencer-style.

Siccome anche una tredicenne dal capello unticcio o un diciassettenne acneico si sentono in diritto di proporre la propria immagine ai loro followers, allora scatta il meccanismo dell’erotico -piacione: terribile.

Su tutto vince la bocca a culo di gallina – anche nella variante estrema “pennuto afflitto da stipsi isterica” – provata e riprovata fino a trovare la perfetta somiglianza con lo sfintere da pollaio ideale. Le madri di costoro, che per inciso hanno la bocca a deretano di mandrillo causa “punturine” e quindi non possono ottenere lo stesso risultato, incoraggiano senza pudore le figliole a suon di “Hilary tesoro fai le labbra a cuore che tiri su una marea di like” o “Ethan strizza gli occhi che fa sexy”.

Chi invece sceglie la montagna si immortala di preferenza con mucca di razza Bruna Alpina, trascurando ogni ragionevole distanza di sicurezza e soprattutto non tenendo conto che la bovina è dotata di corna e che se la infastidisci magari una testata te la dà.

Nelle città d’arte si fanno le peggio cose: chi non ha un amico grullo che si è consegnato alla posterità nell’atto di sostenere la Torre di Pisa o racchiuda tra le mani il Cupolone di San Pietro?

Poi ci sono le foto coi piedi a bagno nella Fontana di Trevi, quelle in cui si scrive il proprio nome sulle pietre del teatro greco di Siracusa o ci si mette in posa scimmiottando il retrostante David di Michelangelo a Piazza della Signoria a Firenze.

Non c’è limite al peggio, ma in fondo meglio loro che stare a casa a guardare la centomillesima replica di “Charlie lo scimpanzè” alla televisione: almeno i selfisti un po’ ridere lo fanno.

Alessandro Cammarano

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