La Toscana rossa non scolorisce: Giani vince, la Lega naufraga

Ma qualcuno di voi aveva veramente pensato che la sinistra avrebbe potuto perdere la Toscana?
Via ragazzi, non ci credeva nessuno neanche nel Centrodestra.
Qui siamo ancora nel cuore di quella che una volta si definiva “l’Italia rossa”, quella fascia di regioni dell’Italia centrale (Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche) che dal dopoguerra ha rappresentato lo zoccolo duro del Partito Comunista e della sinistra.
Ed in linea con questa “tradizione”, dal 1995 — cioè da quando si vota direttamente per i Presidenti di Regione — la Toscana è sempre stata governata dalla sinistra.
Quindi nessuna meraviglia che il Presidente uscente Eugenio Giani sia stato rieletto.
E con numeri che non sono mai stati in discussione, visto che fin dalla prima proiezione si è capito che il vantaggio di Giani (sostenuto da una larga coalizione che comprendeva PD, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra e Italia Viva) sul candidato del Centrodestra, Alessandro Tomasi, era incolmabile.
Certo, c’è stato il crollo dell’affluenza, più bassa rispetto alle precedenti regionali del 2020; ma allora, nello stesso giorno, si votava anche per il Referendum sul taglio del numero dei Parlamentari, e quindi c’era stato un effetto traino.
Comunque la si veda, un calo dal 62,2% al 47,7% di oggi, qualche riflessione dovrebbe stimolarla.
Perché sarà pur vero che nelle democrazie mature la gente va a votare sempre meno, ma di questo passo c’è il rischio che gli organi istituzionali di questo Paese — dal Comune fino al Parlamento ed al Governo nazionale — siano decisi da una minoranza dei cittadini.
Il che non è in assoluto un male in sé, ma non va sottovalutato il fatto che spesso chi rifiuta il voto non si riconosce nelle Istituzioni, con tutti i rischi conseguenti.
Tornando alla Toscana, archiviata la vittoria annunciata, per capire come siano andate davvero queste elezioni bisogna necessariamente leggere i numeri, come d’altronde vi suggerisco da sempre.
E vediamoli, questi numeri.
Partendo dai vincitori: Partito Democratico: 34,43% – Eugenio Giani/Casa Riformista: 8,86% – Alleanza Verdi Sinistra: 7,01% – Movimento 5 Stelle: 4,34%.
E passando al Centrodestra: Fratelli d’Italia: 26,78% – Forza Italia : 6,17% – Lega: 4,38%
C’è poi il dato della lista Toscana Rossa, che con il 5,18% ha incassato un risultato tutt’altro che trascurabile, e comunque al di là di ogni previsione.
Non occorre certo essere fini analisti politici per accorgersi che ci sono almeno due dati su cui soffermarsi, e sui quali dovranno riflettere nell’immediato futuro i leader dei Partiti.
Il primo è certamente il risultato del Movimento 5 Stelle, in calo anche rispetto al dato del 2020 (7,01%), il che lo colloca all’ultimo posto del campo largo che correva in Toscana.
E nell’altro schieramento c’è quello della Lega di Salvini, per la quale direi non è esagerato parlare di un vero e proprio flop (nel 2020 aveva ottenuto il 21,78%).
Si tratta di un crollo che sicuramente potrebbe avere degli strascichi, confermando i dubbi dei leghisti, molti anche in Veneto, che non vedono di buon occhio il ruolo assegnato a Vannacci.
Già, perché la Lega “vannaccizzata”, con la lista riempita dei fedelissimi del generale che si è speso in prima persona (essendo fra l’altro residente a Viareggio), non solo non sfonda, ma — perdonatemi il giro di parole — “affonda”.
Così Forza Italia risale in seconda posizione almeno nel Centrodestra, mentre il Carroccio crolla nelle retrovie: quel 4,38% ottenuto dal partito di Matteo Salvini sa di sconfitta pesante.
Sempre rimanendo alla Lega, immagino che il risultato sia stato seguito con il massimo interesse da Giorgia Meloni, non solo perché una Lega vannaccizzata avrebbe significato una presa definitiva del generale sul Partito, ma anche perché i rumors provenienti dal Nord riferiscono di un Luca Zaia talmente irritato per l’ostracismo della Coalizione sul suo nome nella lista, da reagire ieri con un sibillino: “Se sono un problema, vedrò di renderlo reale.”
Capite bene che un’eventuale alleanza Zaia–Fedriga–Fontana in vista di una “scissione controllata”, finalizzata a dar vita ad un Partito del Nord federato alla Lega, sul modello della CDU/CSU tedesca, unita ad una ipotetica deriva vannacciana, è roba da togliere il sonno alla premier.
Perché Salvini e Vannacci potrebbero insidiarla da destra, ed i Governatori impedirle l’agognata presa di potere al Nord.
Direi che, visti i dati della Toscana, Vannacci dovrà attendere ancora un po’.
Resta da dire che il terzo partito in queste elezioni, ma il secondo nel Centrosinistra, è risultato la lista “Eugenio Giani Presidente – Casa Riformista”.
Si tratta di un ottimo risultato dei centristi: orfana di Carlo Calenda e quindi di Azione, la Casa Riformista messa in piedi da Matteo Renzi sfonda quota 8%, segno, a mio avviso, che in Italia fra le due coalizioni spazio ce n’è.
Basta volerlo mettere in piedi, senza dividersi in micro-partitini.
Come avete visto, queste elezioni, pur confermando le previsioni, mostrano risultati che obbligano a ragionare.
Non ultimo il fenomeno della lista Toscana Rossa di Antonella Bundu, che raccoglie Unione Popolare e probabilmente parte dei delusi del Centrosinistra, e che riesce a conquistare spazio in una partita che sembrava già chiusa.
Un risultato già di per sé notevole, se si considera che è riuscita addirittura a scavalcare sia il Movimento 5 Stelle che la Lega di Salvini.
Probabilmente la Bundu è riuscita ad intercettare anche parte dell’elettorato più vicino al Movimento 5 Stelle, che non ha digerito la scelta del partito di sostenere Eugenio Giani dopo cinque anni passati all’opposizione.
Per gli amanti del gossip, Antonella Bundu, figlia di padre originario della Sierra Leone e madre fiorentina, è stata consigliere comunale a Firenze, ed è l’ex compagna del cantante Piero Pelù, dal quale ha avuto una figlia.
Concludendo, in fondo, la Toscana non ha fatto che confermare sé stessa: terra di tradizione politica forte, capace di cambiare i volti ma non l’anima.
E se il Centrodestra vorrà davvero contendere questa Regione, dovrà prima di tutto imparare a parlare la lingua di una società che non si riconosce né nei Generali né negli slogan.













