La rivincita della motosega: Milei conquista l’Argentina di metà mandato

Vi ricordate di Javier Milei?
Ma sì, il presidente dell’Argentina che ai comizi del 2023 si presentava brandendo una motosega, simbolo e promessa di tagliare tutto: sprechi, privilegi e apparati.
Un personaggio davvero sui generis, ma forse proprio per questo capace di scrivere la storia.
Di lui vi avevo già parlato in tre miei editoriali, che potete rileggere se volete rinfrescarvi la memoria (https://www.tviweb.it/gli-argentini-eleggono-il-presidente-con-la-motosega/) del 24.11.2023; (https://www.tviweb.it/no-hay-plata/) del 19.12.2023; (https://www.tviweb.it/argentina-la-motosega-de-el-loco-sembra-funzionare/ ) dell’ 11.12.2024.
Ebbene domenica scorsa in Argentina si sono tenute le elezioni parlamentari di metà mandato, un po’ come accade negli Stati Uniti.
I sondaggi lo davano in affanno, l’immagine sembrava appannata, qualcuno già parlava di un Milei ridimensionato.
E invece — sorpresa — La Libertad Avanza ha sbaragliato tutti: quasi il 41% dei voti, vittoria nelle sei province più popolose, Buenos Aires inclusa, ed un balzo notevole in Parlamento.
Ora Milei può contare su 101 deputati (da 37) e 20 senatori (da 6).
Non ha ancora la maggioranza assoluta, ma da oggi può almeno esercitare il diritto di veto sulle iniziative delle opposizioni.
Un bel cambio di scenario, insomma.
Fin qui la cronaca.
Ma secondo me vale la pena di andare un po’ più a fondo, perché capire come un economista libertario sia riuscito a conquistare e mantenere il consenso in uno Stato che lui stesso vorrebbe ridurre al minimo, è un fenomeno politico degno di un manuale.
In un Paese segnato da decenni di peronismo e crisi economiche ricorrenti, di fatto più volte fallito, Milei ha fatto ciò che pareva impossibile: ha vinto e ha iniziato a governare con un messaggio fondato su austerità, responsabilità individuale, libero mercato e tagli draconiani alla spesa pubblica.
Un programma che, detto francamente, in Europa sarebbe considerato fantascienza.
Ma noi europei abbiamo un difetto congenito: tendiamo a misurare il mondo con il nostro metro, con le nostre categorie politiche.
Così finiamo per credere che il Partito Democratico americano sia una specie di “sinistra europea”, magari persino con qualche tratto in comune con il Pd di Elly Schlein (sic!).
Allo stesso modo, ci viene spontaneo catalogare Milei come una sorta di Bolsonaro, Trump o Orbán in salsa argentina.
E invece no: sono false friends, direbbero i linguisti.
Perché lo schema destra-sinistra, che funziona (ora non più tanto) in società civili e democraticamente consolidate, non serve a capire l’America Latina, e men che meno l’Argentina.
Lì la divisione vera è tra chi è con il peronismo e chi è contro.
Il peronismo nasce nel 1945 in un Paese che allora era il nono più ricco al mondo, con una legislazione sociale avanzatissima, ed un’istruzione pubblica modello.
Ottant’anni dopo, quel sistema, aiutato dal suo alleato-nemico storico, il Partito Militare, ha letteralmente distrutto il Paese.
Basta pensare a questo paradosso: nel 1945, italiani e spagnoli emigravano verso l’Argentina come verso la terra promessa.
Oggi, i loro nipoti scappano da Buenos Aires per tornare in Europa, in cerca di un posto dove semplicemente vivere una vita normale.
Non si può capire il “fenomeno Milei” — e la sua famosa motosega — senza tenere presente che negli ultimi vent’anni di peronismo kirchnerista, tutti i Paesi dell’America Latina hanno fatto notevoli progressi economici, tranne uno: l’Argentina.
Progressi ottenuti sia con governi di destra che di sinistra, ma senza le corporazioni e le mafie sindacali che facevano il bello ed il cattivo tempo nella “terra de gauchos”.
Quando Milei è arrivato alla Casa Rosada, l’economia era un disastro.
Non c’era benzina, in un Paese che ha la seconda riserva mondiale di gas e petrolio non convenzionale; la Banca Centrale era in rosso; il debito pubblico al massimo storico, e l’inflazione nel 2023 correva al 211%.
E mentre tutto crollava, si continuava a cantare l’inno a Perón, “il leader dei lavoratori”… e ammiratore del Duce.
Solo una disperazione profonda poteva spingere gli argentini a scegliere Milei, che non prometteva miracoli ma lacrime e sangue.
Eppure, in un anno, sia pure a prezzo di molti sacrifici, l’inflazione è scesa al 31%. Scusate se è poco.
Naturalmente i problemi restano, ma oggi l’Argentina ha almeno un uomo che sembra deciso a cambiare un modello economico fallito, nazionalista e corporativo, che andava smantellato da decenni.
Certo, Milei resta un personaggio complesso — e forse un cambio di barbiere non guasterebbe — ma la sua determinazione appare sincera.
La verità è che dopo ottant’anni di peronismo, è difficile immaginare qualcosa di peggio.
E quindi non serve la magia, basta il buon senso.
Le riforme promosse da Milei e attuate dal suo ministro Federico Sturzenegger rappresentano un esperimento unico nel mondo contemporaneo: un tentativo di ribaltare decenni di statalismo e restituire spazio alla libertà economica.
Milei, pur con tutti i suoi eccessi, sta ridefinendo i rapporti fra libertà, mercato e Stato.
Un laboratorio politico che riguarda l’Argentina, ma che, nel suo piccolo, dovrebbe interessare anche noi europei.













