9 Settembre 2016 - 9.43

EDITORIALE – I 5 Stelle e la necessità di diventare partito

raggi

di Marco Osti

Nel titolo di un editoriale dello scorso aprile ci chiedevamo se la morte di Gianroberto Casaleggio avrebbe portato anche alla fine del Movimento di cui è stato ideatore e guru insieme a Beppe Grillo.
In conclusione dell’articolo esprimemmo l’opinione che questa formazione politica, al pari di altre che si identificano con il proprio leader, come Forza Italia, corresse il rischio, dopo la perdita di un principale riferimento, “di trasformarsi in un’altra cosa, diventando un partito normale, o semplicemente di dissolversi, in attesa che un altro capo popolo trovi il modo di raccogliere il consenso di quei cittadini che amano farsi affascinare da chi ritiene e sa convincere di avere tutte le risposte e nessuna incertezza”.

Questa valutazione suscitò alcune reazioni e commenti di parere opposto, da parte di lettori convinti che il Movimento si sarebbe confermato come organizzazione solida e diversa dalle altre formazioni politiche tradizionali.
Quello che sta avvenendo a Roma non pare attestare questa visione ottimistica.
Senza ripercorrere nel dettaglio le varie vicissitudini che hanno caratterizzato l’avvio dell’amministrazione guidata dalla sindaca Virginia Raggi è evidente che la situazione appare molto grave, perché non vi è stato solo un episodico problema isolato, ma tutta la questione è colma di tante, troppe negatività.
Incomprensioni, scelte sbagliate di persone e strategie, diatribe tra dirigenti e rapporti ambigui all’interno del Movimento e tra la sindaca Raggi, suoi assessori e funzionari pubblici, mezze verità e bugie propinate all’opinione pubblica, incapacità di leggere una mail e di coglierne l’importanza.
In questa accozzaglia di pressapochismo politico, dovuto a incapacità e inesperienza, e al tentativo di alcuni personaggi del passato di riciclarsi nel nuovo corso, ovviamente il dato più grave è che nessuno sta governando Roma, quando invece la città è andata a nuove elezioni proprio perché in una condizione di grave dissesto, che procura enormi problemi e disservizi ai cittadini.

Il consenso raccolto dal Movimento 5 Stelle e da Virginia Raggi era di fatto un grido d’aiuto che i romani lanciavano perché qualcuno si occupasse di loro.
A oggi nessuno lo sta facendo, perché la sindaca, la sua amministrazione e il suo schieramento politico sono troppo impegnati a sopravvivere, posizionarsi, cogliere l’opportunità del cambiamento, o dell’insorgere delle varie criticità, per risolvere guerre intestine, fra quelle che nei partiti tradizionali sarebbero chiamate correnti.
Emerge quindi chiaro che un Movimento che non vuole essere partito si comporta come tale, senza peraltro assimilarne gli aspetti positivi, che spesso consentono di fare fronte alle dinamiche meno virtuose.
L’organizzazione a volte elefantiaca o molto rigida, se da un lato rende le strutture poco flessibili e incapaci di fare fronte con decisioni rapide ai vari scenari, allo stesso tempo si basa su regolamenti, processi, protocolli e prassi, che consentono di risolvere le difficoltà secondo metodi consolidati, che arrivano a intaccare alcuni quadri dirigenti, ma non mettono in discussione l’esistenza del partito.
Allo stesso tempo il dialogo interno, in tanti casi inconcludente e reiterato, favorisce però una circolazione di idee e informazioni, che costruiscono una linea politica, un’impronta ideologica e una visione strategica intorno a cui tutte le donne e gli uomini dell’organizzazioni si ritrovano e si riconoscono.

Quello che è avvenuto nel Movimento 5 Stelle in questi giorni ha palesato come l’assenza di una organizzazione consolidata e soprattutto condivisa e la mancanza di dialogo interno abbiano portato a rendere più acuti e gravi problemi che sarebbero potuti essere risolti in tempo più breve, soprattutto in un clima di reciproca fiducia tra i vari esponenti 5 Stelle, che invece passano il tempo a guardarsi fra loro con circospezione e a scaricarsi reciproche accuse e colpe.
Arrivato il grande capo Grillo la questione pare essere perlomeno assopita, ma sotto le ceneri di quanto avvenuto covano risentimenti e sospetti che rischiano di riesplodere al primo nuovo segnale di difficoltà.
Questo clima non produce l’efficienza e l’unità che si attendeva chi ha eletto Virginia Raggi e il suo schieramento.
Tornando quindi a quanto espresso all’inizio, aldilà delle posizioni contraddittorie evidenziate rispetto ai temi della moralità e della giustizia, il Movimento 5 Stelle è oggi di fronte al difficile dilemma di non voler essere un partito, ma di doverlo diventare per evitare di dissolversi.
In parte questo processo è già iniziato costituendo un Direttorio Nazionale, oltre quello che doveva tutelare il lavoro della sindaca di Roma.
Ma non è sufficiente.
Non potrà sempre arrivare Grillo a dettare la linea per fare da paciere, soprattutto se le città e le regioni governate diventassero diverse e, in modo ancora più palese, se le prossime elezioni politiche portassero il Movimento al Governo, considerando che un successo su larga scala obbligherebbe a selezionare tante donne e uomini cui affidare ruoli di responsabilità.
Una situazione che visse anche la Lega Nord quando, dopo Tangentopoli, si affermò a livello locale e nazionale e in moti casi aveva più poltrone da occupare che rappresentanti.
Il movimento guidato da Umberto Bossi riuscì a fronteggiare questa situazione strutturandosi da subito come partito, che nel tempo divenne sempre più organizzato e capillare nella sua presenza sul territorio, soprattutto al nord.
Grazie a questa organizzazione la Lega Nord superò anche lo tsunami che rischiò di travolgerla quando furono scoperti i maneggi di Bossi, la sua famiglia e quello che era definito il suo “cerchio magico”, rinnovando i suoi vertici.
Non fu un’operazione indolore, ma ebbe esito positivo perché quello oggi guidato da Matteo Salvini ormai era diventato un partito strutturato, consolidato e non più identificabile in una sola persona al comando.
Quella vicenda dimostra peraltro che anche un movimento nato come censore delle pratiche illecite dei politici e dei partiti tradizionali, e per cavalcare una crescente protesta popolare, si ritrovò a fare i conti con problemi di malaffare, etica, moralità e giustizia.
Un’altra lezione che il Movimento 5 Stelle e i suoi dirigenti devono imparare in fretta, perché le persone possono sbagliare, ma se l’organizzazione è solida, può resistere nel tempo e sostituire i suoi dirigenti.
Grillo e la sua squadra però non hanno molto tempo, perché gli eventi incombono e rischiano di travolgerli.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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