23 Settembre 2025 - 16.29

Dallo sciopero per la Palestina alla fiera del vandalismo

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Parafrasando un vecchio detto che recita “tutti i salmi finiscono in gloria”, oggi si potrebbe aggiornare con un più realistico: “tutte le manifestazioni finiscono in macello”. 

Non tutte, va detto, ma spesso quelle politiche hanno ormai  un copione fisso: si parte con gli slogan e si chiude con le vetrine in frantumi. 

Ieri è toccato all’Unione Sindacale di Base, non proprio il più rappresentativo fra i sindacati, proclamare lo sciopero generale “per Gaza”. 

E sorpresa delle sorprese: piazze piene, cortei ordinati… fino a quando, come in ogni film che si rispetti, entrano in scena i personaggi secondari: anarchici in saldo, reduci dei centri sociali, “maranza” e arrabbiati vari. 

Insomma, il consueto “casting” da guerriglia urbana.

A Milano, poi, il festival: ragazzi vestiti di nero, incappucciati come figuranti di Halloween, hanno deciso di trasformare la stazione e il centro in un set di Netflix, genere “apocalisse metropolitana”. 

Risultato? Una cinquantina di agenti contusi, più altri che probabilmente la prossima settimana faranno coda al fisioterapista.

La Palestina? Quella c’entra come i coriandoli a Ferragosto: un pretesto. 

Perché questi professionisti del vandalismo hanno in comune solo la rabbia, e la voglia di fare casino gratis. 

Un po’ come i casseur parigini, ma con meno stile e più scooter scassati.

Qui il punto diventa sociologico, o forse folkloristico: sono giovani italiani di seconda e terza generazione, ragazzi delle periferie che usano i cortei come palcoscenico dove sfogare la propria frustrazione. 

Il corteo è il pretesto, la devastazione è lo scopo.

E intanto, chi aveva organizzato lo sciopero si ritrova suo malgrado con la manifestazione “sporcata” e delegittimata. 

Ma d’altronde, se non hai più veri Partiti, né Sindacati, in grado di garantire un servizio d’ordine decente, e ti affidi a “Comitati organizzatori” che organizzano meno di una tombolata in oratorio, il risultato è quello che vediamo: cortei trasformati in zone rosse improvvisate.

Ai miei tempi – quelli del ’68 – almeno c’era disciplina. 

C’era il servizio d’ordine: i mitici “Katanga” del Movimento Studentesco, la Cgil con i suoi omoni pronti a spiegare le regole con argomenti convincenti (tipo un paio di costole incrinate). 

Oggi? Oggi mancano loro, e dilagano cretini e delinquenti. 

E così, da una protesta “per la Palestina”, ci ritroviamo con l’ennesima serata da incubo made in Milano. 

Altro che solidarietà internazionale: qui il business è solo spaccare tutto.

Sarà magari nostalgia canaglia, ma un tempo i cortei finivano con slogan e pugni chiusi, oggi con spranghe e felpe nere. Chiamatelo pure progresso.

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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