28 Luglio 2023 - 11.04

Cosa sta accadendo in Spagna? Il rebus del post elezioni

di Umberto Baldo

Posata la prima polvere sui risultati delle elezioni politiche spagnole, e passati  l’euforia dei vincenti ed i rimpianti dei perdenti (anche se sappiamo bene che dopo ogni elezione, sotto tutti i cieli, nessun Partito ammette mai la sconfitta, con il risultato che alla fine vincono tutti) forse è il caso di guardare con maggiore attenzione e freddezza a cosa è successo domenica scorsa in Spagna, soprattutto in prospettiva futura.

Sgombro subito il campo dalle reazioni dei nostri Demostene, che non perdono mai l’occasione di palesare il loro provincialismo.

Il silenzio di Giorgia Meloni, che pure aveva arringato in video i “patrioti” di Santiago Abascal, augurando loro di conquistare la Moncloa assieme ai Popolari, esprime già un giudizio, e secondo me la nostra premier sapeva già come sarebbe andata a finire (i sondaggi sono risultati sbagliati sull’esito finale del voto, ma avevano previsto esattamente il calo di Vox).

A mio avviso questo ridimensionamento, se visto in chiave europea, è stato una fortuna per la Meloni, dato che la sua cooptazione nel gotha di Bruxelles dipenderà appunto dalla sua volontà di lasciare al loro destino personaggi imbarazzanti come Santiago Abascal o  Viktor Orbàn.

Mi è venuto invece da ridere quando ho letto le dichiarazioni entusiastiche dalla “Segretaria eletta dai passanti”, che ha subito parlato di “modello spagnolo” da adottare anche in Italia.

Modello spagnolo?

Ma sa di cosa parla?

A parte che quella dei “modelli vincenti” è un vecchio vezzo della gauche nostrana, forse per l’incapacità di elaborarne uno “vincente” per l’Italia, nella specie Elly Schlein mostra di non conoscere appieno quale sia la realtà politica spagnola.

Cerchiamo quindi di spiegarla, sia pure a grandi linee.

Par fare questo, parto dalla domanda che mi ha fatto un amico: ma perché non si mettono d’accordo il Partido Popular (PP) ed il Partido Socialista Obrero Espanol (PSOE)?  

Avrebbero una maggioranza vastissima e potrebbero governare senza problemi!

Detta così potrebbe sembrare l’uovo di Colombo, ma in realtà si scontra con la tradizione politica spagnola, che dalla caduta di Franco in poi ha visto l’alternanza al potere dei Popolari e dei Socialisti, con le altre forze politiche a fare da semplice contorno, in appoggio quando serve, ma mai come veri alleati.

Il risultato è che da quando i due maggiori partiti di fatto si equivalgono elettoralmente (domenica scorsa pur avendo nettamente vinto i Popolari, a dividerli dal Psoe ci sono stati solo 330.870 voti), la Spagna è diventata ingovernabile. 

E lo aveva ben capito anni fa Felipe Gonzales, che ebbe a dire “Avremo un Parlamento all’italiana, ma senza italiani capaci di gestirlo”. 

Aveva ragione Felipe, ragione da vendere!

Perché la politica iberica è culturalmente ancora ferma al bipartitismo perfetto, alla contrapposizione fra blocchi a muso duro, al “o con noi o contro di noi”, e visto il prolungato stallo, ormai sarebbe arrivato il momento di voltare pagina, come vedremo oltre.

Ma c’è un ulteriore elemento a caratterizzare pesantemente, e secondo i punti vista ad inquinare la politica spagnola; vale a dire le spinte indipendentiste, e i partiti regionali che le incarnano. 

Non c’è alcun dubbio che la Spagna sia uno degli Stati europei in cui l’indipendentismo sia fortemente sentito in numerose regioni del Paese.

Forse molti non se lo ricordano più, ma alle elezioni europee del 2004 si presentò la lista GALEUSCA – Peoples of Europe, che rappresentava una coalizione fra partiti indipendentisti.  

Il termine Galeusca era infatti  l’acronimo di Gal  per la Galizia , Eus per i Paesi Baschi ( Euskal Herri in basco) e Ca per la Catalogna.   

Ma della partita facevano parte anche Il Blocco Nazionalista Valenciano (Valencia), ed il Psm-Intesa nazionalista delle Isole Baleari.

E qualche spinta autonomista, sia pure più contenuta, è presente anche in altre regioni, come ad esempio l’Andalusia.  

Senza mettere in conto questi nazionalismi con venature di indipendentismo, è molto difficile comprendere appieno cosa ribolle nella pentola iberica.

Ecco perché Elly Schlein ha capito poco o nulla; perché se Sanchez tenesse a Madrid la posizione di netta contrarietà assunta dal Partito Democratico relativamente all’Autonomia Regionale Differenziata, avrebbe poche possibilità di vincere e governare.

Ed il Psoe in queste elezioni è riuscito a tenere le posizioni a livello nazionale solo perché ha stravinto nella patria dell’indipendentismo, la Catalogna, ovviamente a danno dei partiti catalanisti.

E’ chiaro che adesso tutte la Forze politiche dovranno fare i cosiddetti “compiti per casa”, cioè analizzare i risultati elettorali, e decidere il da farsi sulla base degli stessi.

In questo io credo che Sanchez sia avvantaggiato su Feijòo, non solo perché in questi anni ha governato proprio grazie all’astensione dei catalani e dei baschi, ma soprattutto perché le posizioni fortemente centraliste e anti autonomiste del PP  e di Vox, rendono impossibile qualsiasi rapporto con Bilbao e Barcellona. 
D’altro canto non sarà una passeggiata neanche per Sanchez, perché il leader catalano Puigdemont (ormai chiamato l’uomo di Waterloo perché in esilio in Belgio) sa bene che l’astensione dei suoi 7 deputati è essenziale per un eventuale governo a guida socialista, ed è portato ad alzare il prezzo, chiedendo cose che oggettivamente Sanchez non può concedergli (tipo l’amnistia ed un nuovo referendum sull’indipendenza):

Ma anche a questo riguardo va considerato che la spinta autonomistica catalana è elettoralmente in regresso, per cui immagino che i maggiorenti di “Junts per Catalunya” possano considerare che forse sarebbe meglio “avere quattro anni per ragionare e trattare con il Psoe di Sanchez” piuttosto che con un Feijòo ed un Abascal chiaramente ostili e chiusi ad ogni forma di autonomia regionale.

Ecco perché dicevo che per la politica spagnola è arrivato il momento di voltare pagina.

Il che significa prendere atto che il bipartitismo perfetto appartiene ormai al passato, e che serve una nuova stagione in cui si deve arrivare a compromessi che stabilizzino il quadro politico, non esclusa a mio avviso una nuova legge elettorale meno proporzionale. 

In altre parole serve riconoscere il ruolo dei partiti regionali come veri alleati, e non  come supporter buoni solo per l’astensione in Parlamento, in cambio di qualche “contentino”. 

In fondo è quello in cui noi italiani siamo maestri, con quel pragmatismo che ci ha permesso di superare la stagione della contrapposizione DC-PCI, quella del terrorismo, quella di mani pulite ecc. 

Non dico che gli spagnoli debbano venire ad imparare la politica in Italia, ma certo rileggere la nostra storia recente potrebbe essere loro molto utile.

Per tutto il resto, dallo Stato che funziona alla burocrazia efficiente, dalla dinamicità sociale alla capacità di fare le riforme, dovremmo invece andare noi a scuola da loro. 

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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