25 Giugno 2016 - 9.43

BREXIT- La scelta fuori “di testa” degli inglesi e il rischio collasso totale

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Mentre molti, soprattutto i politici antieuropeisti del continente, stanno esultando per l’uscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna la sterlina sta crollando, le Borse mondiali sono nel panico e il premier britannico David Cameron ha annunciato le sue dimissioni.
Il voto al referendum svoltosi nella giornata di giovedì 23 giugno è stato definito storico.
In realtà è molto di più.
È un fatto grave, che al momento ha enormi implicazioni di carattere economico, e ne avrà ulteriori in futuro, ma può averne molte più profonde in termini politici e sociali.
Sono molte le considerazioni che scaturiscono da quanto avvenuto.
Una è sugli effetti che produce il ricorso alla democrazia diretta su questioni di questa portata, che hanno effetti a livello mondiale e non solo sul popolo che li vota.
Già altre volte da queste colonne si è espressa la preferenza per la democrazia rappresentativa, rispetto a quella diretta, che può apparire come espressione pura di coinvolgimento dei cittadini, ma in realtà svuota di responsabilità i rappresentanti del popolo eletti e attribuisce alle persone comuni l’onere di esprimersi su temi di cui possono non avere piena contezza.
Con il referendum sulla Brexit si è quindi scaricato sul popolo il compito di decidere su materie che hanno conseguenze dirette e indirette di grande rilevanza anche sugli altri popoli e produce enormi conseguenze sociali, politiche ed economiche, sconosciute nella loro interezza anche agli esperti nelle varie materie.
In Italia un referendum sulla ratifica dei trattati internazionali è vietato dalla Costituzione, che anche in questo caso dimostra il suo valore democratico, il suo spessore assoluto e la sua lungimiranza.
Qualcuno sostiene che sia un aspetto negativo della nostra Carta Costituzionale, perché nega ai cittadini di esprimersi. In realtà, stabilendo che gli italiani non possono decidere su un tema che i loro rappresentanti hanno condiviso con altri Stati, la cui modifica impatterebbe anche sulla vita di altri popoli, definisce un principio di enorme rispetto verso le persone di altri Paesi e ribadisce il ruolo di responsabilità che si deve assumere un eletto quando parla a nome del suo popolo.
Il voto espresso in Gran Bretagna ha fatto esattamente l’opposto.
Infatti, considerato che vi è stata un’affluenza del 72,2% degli aventi diritto al voto e la Brexit ha prevalso per il 51,9%, di fatto circa il 37% dei britannici che potevano recarsi alle urne ha fatto una scelta che ha conseguenze su tutti i Paesi europei, se non mondiali.
Questo è più simile a un atto di arroganza che di democrazia, che i nostri costituenti, sempre da ringraziare come esempi di democrazia, soprattutto in un’epoca in cui si modifica la Costituzione a colpi di maggioranza, hanno voluto escludere dovesse appartenere al popolo italiano.
Ma nel voto britannico c’è di più e più grave.
Di fatto, in un Paese dove esiste un benessere diffuso, ha prevalso l’idea che stare da soli è meglio, perché, senza dover sottostare a vincoli di trattati con altri Paesi europei si pensa che chi sta bene potrà stare meglio e chi non sta bene sicuramente migliorerà la propria condizione, dal momento che ne rileva il motivo nel rapporto con gli altri popoli o nella presenza degli immigrati.
Una logica basata su una concezione egoistica della società, che trova riscontro anche nel voto a favore della Brexit in prevalenza di cittadini anziani, che hanno così deciso un futuro che non vivranno e sarà subito dai giovani, che invece si sono espressi per rimanere nella Ue.
Tutto ciò in un contesto globale dove sempre più prevalgono gli individualismi, mentre ciò che è collettivo è considerato negativo, in uno schema che inevitabilmente colpisce i più deboli, che soccombono, e favorisce i più forti, che trovano ulteriori occasioni per primeggiare.
Questa tendenza, che finora ha riguardato prevalentemente le persone, con il referendum britannico trova una sua declinazione nel comportamento di uno Stato, che può produrre un processo analogo da parte di altri, la disgregazione della comunità internazionale e l’ulteriore sviluppo di pulsioni nazionalistiche sempre più presenti, soprattutto in Europa.
Quelle pulsioni nazionalistiche che dividono i popoli e le persone e portano spesso a situazioni conflittuali fra gli Stati.
Per questo il segnale che giunge dalla vittoria della Brexit deve trovare al più presto risposte determinate, che rafforzino i legami tra i Paesi, a partire da quelli che sono nell’Unione Europea, la quale deve comprendere che la linea intrapresa di basarsi, prevalentemente, se non unicamente, su logiche economiche e finanziarie non funziona e sta portando alla disgregazione dell’idea europea.
È necessario che chi detiene la leadership del Continente, a partire dalla Germania, allarghi l’orizzonte da una mera visione economica dell’Unione a un progetto politico, che vuole realizzare una vera Unione di persone, una vera comunità di cittadini di quella che considerano l’Europa la loro casa comune.
Un piano condiviso di aggregazione, in cui vi sia spazio anche per la solidarietà e la collaborazione tra gli Stati e i popoli, perché un’idea di nazioni concentrate solo su se stesse è pericolosa.
Molto pericolosa e va combattuta con forza.
Da subito.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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