24 Gennaio 2015 - 14.30

ARRIVA DUBSMASH, L’APPLICAZIONE PER I MALATI DI PROTAGONISMO

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Prima Tinder, poi le spunte blu di Whatsapp, ed ora è arrivato Dubsmash. Il continuo sviluppo della tecnologia mi fa paura. Si stava meglio, quando si stava peggio, quando il nostro telefonino, al massimo, aveva il compositore di suonerie.
No, io non ho ceduto al tormentone Dubsmash. E, lo giuro su ciò che di più caro ho, mai lo farò. Non nego, però, che tutto questo sentirne parlare mi ha incuriosita e, di rito, sono andata ad informarmi sul web. E non solo, l’ho persino scaricato, visto che, come insegna l’esperienza, per dare un giudizio rotondo e completo a qualcosa, è prima necessario tastarla con mano, anche se è tra le invenzioni più idiote ed egocentriche del mondo.

Forse non tutti sanno cos’è Dubsmash. Per togliervi ogni dubbio, ecco una breve spiegazione. In parole povere, Dubsmash è una diabolica applicazione per smartphone che crea video-selfie e li carica sui vari social. Questa app demoniaca sta spopolando tra gli egocentrici di tutto il mondo, e rompendo le scatole a quelli che dei selfie degli altri se ne fregano altamente.
Il vero problema, però, non è il fatto che Dubsmash sia un’applicazione per i malati di protagonismo, anzi, a casa propria, ognuno è libero di fare ciò che vuole, anche di dedicare due ore al giorno agli autoscatti. E’ la facilità di condivisione il vero male. E non lo dico con acidità o con cattiveria, ma con l’ansia di entrare in facebook e non visualizzare altro che video di amici egocentrici, senza contare che grazie all’ultima genialata di Zuckerberg, l’autoplay di tutti i filmati in bacheca, è letteralmente impossibile ignorarli.

Tornando alla parte tecnica di Dubsmash, ho tralasciato la cosa fondamentale, il suo fattore x: i video-selfie creati non sono dei semplici filmati, come quelli che potremmo benissimo produrre con la sola fotocamera frontale, senza bisogno di alcun tipo di supporto, ma, in più, ma combina il video a dei file audio, raccolti in un vasto archivio in continuo aggiornamento: dalle sigle delle serie tv, a frasi di film famose, massime televisive, versi, pezzi di canzoni, e tanto altro ancora. Ciò porterà gli amici egocentrici a ripetere in playback cose come “Questa è Sparta”, “Chi ha parlato? Chi cazzo ha parlato?!”, “Ti spiezzo in due”, et cetera, et cetera, sempre peggio, proseguendo sulla linea dell’idiozia.

Gli utenti di questo servizio (se lo possiamo veramente chiamare così) sono di due tipi: chi, per curiosità o per scherzo, lo prova e quelli innamorati di sé (i peggiori), che postano su facebook dai 4 agli 8 video-selfie al giorno, e ne inviano altrettanti agli amici su Whatsapp. Il secondo gruppo rientra in quella categoria di persone che, qualche anno fa, avrebbe bombardato i primi prototipi di social network, da myspace, a messenger, con autoscatti imbarazzanti davanti allo specchio del proprio bagno, con tanto di ciuffo emo, felpa a scacchi rosa e neri e bagliore del flash, che irrompeva arrogantemente nell’immagine.
Un excursus pericoloso, che, a lungo andare, potrebbe anche portare alla pazzia. Uno studio dell’ ’American Psychological Association, infatti, avrebbe rivelato che l’ossessione per i selfie sarebbe un vero e proprio disturbo mentale. Gli affetti dalla patologia, chiamata Selfitis, soffrirebbero di gravi carenze di autostima e le manifesterebbero con un bisogno ossessivo compulsivo di scattarsi foto e condividerle sui social network. Gli psicologi hanno individuato tre livelli di gravità: borderline, acuto e cronico. Nel primo caso, rientra chi scatta circa tre selfie al giorno, ma poi non li pubblica; nel secondo, chi pubblica tutti i suoi selfie; nel terzo, chi, più di sei volte al giorno, condivide sul web i propri autoscatti e non riesce a contenersi.
E allora, prima le foto, poi i video. Quale sarà la prossima condanna? Gli ologrammi? Disturbo mentale o meno, per chi ha voglia di farsi gli affari suoi, non c’è mai pace.

Giulia Marcigaglia

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
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