L’ultima lettera. Quattro secoli di posta finiscono in Danimarca

Da quanto tempo non spedite una lettera o una cartolina?
Vi vedo già sorridere, forse persino ridere. E state pensando: “Ma questo in che mondo vive?”.
Avete ragione. E infatti la mia risposta coincide con la vostra: è da una vita che non scrivo più nulla su carta. Oggi la comunicazione corre veloce, istantanea, vive di messaggi, mail, notifiche che arrivano quasi prima ancora di essere stare pensate.
Era quindi inevitabile che, insieme alle lettere e alle cartoline, entrassero in crisi anche gli Enti che per secoli si sono occupati di recapitarle.
Era fatale che, prima o poi, qualcuno avrebbe messo un punto definitivo; avrebbe scritto la parola “Fine”.
Il primo a farlo è stato il Governo della Danimarca.
Dal 1° gennaio 2026 le Poste danesi non accetteranno più lettere di carta: niente bollette, niente comunicazioni bancarie, niente corrispondenza privata.
Niente più lettere a Babbo Natale.
Niente più cartoline di Buon Natale o di Felice Anno Nuovo, quelle che Sir Henry Cole – funzionario delle Poste britanniche – ideò nel Natale del 1848 e che, una decina d’anni dopo, iniziarono a diffondersi fino a diventare parte integrante del rito natalizio.
PostNord, il servizio postale dei Paesi nordici, ha persino messo in vendita le iconiche cassette postali rosse rimosse dalle strade: 2.000 corone danesi (circa 268 euro) per quelle in buone condizioni, 1.500 (circa 200 euro) per le più vissute. In tre ore erano già tutte vendute.
Altre duecento finiranno all’asta a gennaio. I francobolli non utilizzati verranno rimborsati, ma solo per un periodo limitato.
Questo significa una cosa molto semplice e molto triste: gli auguri appena spediti dai danesi sono stati gli ultimi della loro vita “postale”.
Dalla fine dell’anno PostNord continuerà a consegnare solo pacchi.
Formalmente le lettere non spariranno del tutto – la legge non lo consente – perché qualche operatore privato continuerà ad offrire il servizio.
Ma il senso è chiaro.
Il servizio postale danese consegnava lettere dal 1624.
Sì, avete letto bene: milleseicentoventiquattro.
Ed è facile immaginare che altri Paesi seguiranno la stessa strada.
Magari con i tempi più lenti che ci contraddistinguono, prima o poi toccherà anche all’Italia.
Non ho alcuna intenzione di negare quanto la comunicazione in tempo reale abbia migliorato le nostre vite. Sarebbe ipocrita.
Ma la scomparsa delle lettere, che hanno avuto un ruolo decisivo nella costruzione del mondo moderno, dovrebbe farci riflettere.
È stata la necessità di recapitarle a dare vita ai collegamenti regolari tra città e villaggi.
Sono stati i maestri di posta i primi, autentici distributori di notizie.
E non dimentichiamo che la corrispondenza, pubblica e privata, è stata il carburante della storiografia: grazie alle lettere scritte dai protagonisti, gli storici hanno potuto ricostruire vicende, emozioni, conflitti che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti.
E poi c’è la memoria personale. Per chi non è “nativo digitale” – come il sottoscritto – è difficile dimenticare l’emozione suscitata da una lettera di una “particolare” ragazza, o quella di una madre che riceveva notizie di un figlio lontano.
C’era poi il rito delle cartoline, spedite durante i viaggi, con la cura nella scelta dell’immagine più bella, del panorama più rappresentativo, del monumento simbolo.
Da quando l’uomo ha imparato a scrivere con l’inchiostro sulla carta, ha sempre sentito il bisogno di inviare messaggi.
Prima quelli istituzionali dello Stato, tra centro e periferia; poi quelli dei mercanti che, già nel XIV secolo, crearono servizi di corrieri accessibili anche ai privati.
Nel secolo successivo furono imprenditori come la famiglia di origine bergamasca dei Tasso – poi Thurn und Taxis – a costruire veri imperi postali, al servizio degli Asburgo e dei privati.
Nel Seicento il servizio postale cominciò a strutturarsi, fece grandi passi avanti alla fine del Settecento, e si trasformò radicalmente nell’Ottocento, con le ferrovie e la navigazione di linea.
Poi arrivò il francobollo, prima in Gran Bretagna e poi nel resto d’Europa (in Italia nel Regno Lombardo-Veneto), e grazie ad esso nacque una fitta rete di uffici postali, dalle grandi città ai piccoli borghi.
Per oltre un secolo a rappresentare una parte enorme della corrispondenza furono le cartoline illustrate.
Nel Novecento la posta si divideva in ordinaria, espressa, raccomandata, aerea. Il telegrafo conviveva con le lettere, i pacchi con i telegrammi.
Per generazioni intere si è atteso, spesso con ansia, il passaggio del postino. Talvolta due volte al giorno.
Dal 2026, in Danimarca – e probabilmente altrove – passerà solo per consegnare pacchi.
E non porterà più quelle cartoline natalizie nate nel 1848.
Come dimenticarle? Scene della Natività, spartiti di Stille Nacht o Tu scendi dalle stelle, casette illuminate nella neve, immagini di quiete e serenità, che spesso finivano sotto l’albero o accanto al presepe.
Oggi rinunciare allo smartphone è impensabile. Ma è altrettanto impossibile paragonare la freddezza di un messaggio su uno schermo con l’emozione provocata di uno di quei cartoncini illustrati, scritto a mano, passato di mano in mano.
Forse non è ancora tutto finito.
Forse per qualche anno cartoline e biglietti di auguri resisteranno, come hanno resistito libri e giornali di carta, dati per morti troppe volte.
Intanto prendiamo atto di un fatto: il servizio postale danese, dopo quattro secoli di storia, il 30 dicembre consegnerà la sua ultima lettera.
E con quella busta, non se ne andrà solo un servizio. Se ne andrà un pezzo della nostra vita.
Umberto Baldo













