13 Novembre 2025 - 19.34

La cavalleria del XXI secolo viaggia in moto

Da che mondo è mondo, gli eserciti si distinguono per specializzazioni. 

Dalla fanteria all’artiglieria, dai bersaglieri ai marò, ogni reparto rappresenta un tassello di un mosaico antico quanto la guerra stessa. 

Già nelle civiltà classiche la grande divisione era tra fanteria e cavalleria — una distinzione che, in fondo, rispecchiava quella tra ricchi e poveri. 

Solo i nobili infatti potevano permettersi un cavallo da guerra, con armatura, armi e serventi.

Per secoli la cavalleria è stata sinonimo di prestigio, di impeto, di nobiltà militare, tanto che ancora adesso quello di “cavaliere” è un titolo molto ambito, come ad esempio quello di “cavaliere di Malta”.

Un tempo c’erano i cavalieri con elmo e corazza, poi i dragoni, i lancieri,  i corazzieri, gli ussari.

Poi arrivò la modernità: dal 1919 si cominciò a passare “dal cavallo al carro armato”. 

Gli equini furono sostituiti dalle macchine, gli squadroni lasciarono il posto ai carristi, e le cariche dei lancieri si trasformarono in colonne corazzate. 

I carri armati — nati nel Primo Conflitto Mondiale per spezzare la paralisi della guerra di trincea — divennero il simbolo stesso del potere militare. 

Le Panzerdivisionen tedesche, gli Sherman americani, i T-34 sovietici cambiarono non solo i campi di battaglia, ma la storia del Novecento. 

Da allora, il carro armato non è più solo un’arma, ma una dichiarazione di forza, un simbolo di deterrenza. 

Israele, Cina, India, Russia: tutti hanno costruito la loro credibilità militare anche attraverso la potenza delle forze corazzate. 

Eppure, la guerra evolve, e spesso in direzioni inattese. 

Oggi, sul fronte ucraino, fa la sua comparsa una nuova “cavalleria”: quella in motocicletta. 

È la Russia ad averne fatto un uso sistematico, impiegando moto e quad per trasportare rapidamente piccoli reparti d’assalto. 

Un ritorno al passato od un salto nel futuro?

In realtà, è l’adattamento ad un nuovo scenario, dominato dai droni, che hanno reso vulnerabili carri armati e mezzi pesanti. 

Chi nella vita ha cavalcato una moto da cross sa bene che di fatto non c’è terreno, per quanto impervio, che non sia percorribile da una moto.   

L’uso delle motociclette risponde ad una serie di necessità; possibilità di muovere truppe rapidamente ed a basso costo, dato che una moto civile cinese o russa può costare una frazione rispetto ad un veicolo corazzato;  garanzia di una certa capacità di manovra anche su campi minati, zone boschive o aree devastate dall’artiglieria.   

Tutto ciò le rende mezzi ideali per sfruttare l’effetto sorpresa e realizzare azioni rapide e precise.

Le motociclette quindi offrono velocità, agilità, una traccia termica ridotta. 

Costano poco, si muovono anche in terreni ostili e, soprattutto, non attirano subito l’occhio elettronico dei droni nemici.

È l’ennesima trasformazione della guerra: dal cavallo al carro armato, e ora dal tank alla moto. 

Da simbolo dell’industria pesante a simbolo dell’artigianato di sopravvivenza.

Ma se il carro armato rappresentava l’industria e la potenza, la motocicletta racconta anche un’altra storia — quella di una guerra che si combatte con ciò che si ha, più che con ciò che si vorrebbe. 

Una “guerra povera”, in cui l’ingegno sostituisce la tecnologia, e la sopravvivenza prende il posto della strategia.

La guerra della motocicletta, più che un’innovazione tattica, è il segno di un conflitto ridotto all’essenziale: uomini, polvere, paura, e la necessità di muoversi un secondo prima di essere visti dal cielo.

C’è anche una certa ironia storica: gli eredi dell’Armata Rossa, che un tempo facevano tremare l’Europa con le Panzerdivisionen sovietiche, oggi sfrecciano nel Donbass su due ruote come boy scout.
Forse tra qualche anno, con lo stesso spirito d’innovazione, vedremo la fanteria in monopattino elettrico, o la nuova arma segreta: il plotone dei droni a pedali.

Battute a parte, la guerra in moto è l’immagine perfetta di un conflitto ormai logorato, dove la potenza lascia il posto all’improvvisazione e la gloria al fango.
Dal cavallo al carro armato, e dal tank alla motocicletta: una parabola discendente che racconta non solo l’evoluzione delle armi, ma il declino stesso dell’idea di guerra “moderna”.
Perché quando la tecnologia non basta più, si torna sempre alle origini: l’uomo, la macchina… e la disperazione.

E se ci pensate bene è quasi paradossale che la Russia, prima potenza nucleare del pianeta, debba ora affidare parte della sua offensiva a motociclette da cross civili modificate e rattoppate. 

L’impero dei missili intercontinentali costretto a fare la guerra con il motore di una motocicletta cinese da 250cc: un’immagine che dice molto più di mille analisi sullo stato reale delle sue forze armate.

È come vedere un miliardario andare al supermercato con i buoni sconto.

Non sfugge una certa ironia storica; l’Armata Rossa del secolo scorso faceva tremare il mondo con i carri T-34; quella di oggi fa rumore con i motorini cinesi, sperando di non farsi beccare dai droni. 

La guerra totale in versione low-cost.

Umberto Baldo

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