Tartufo e caviale: perché vanno apprezzati come simbolo dello slow food

Caro Baldo,
ho letto il tuo articolo su Tviweb. L’ho letto con attenzione, perché quando tu scrivi, ti si deve seguire. Anche quando stai leggermente provocando, cioè… quasi sempre.
Ora, tu ti domandi come mai ci sia questa mia dichiarata simpatia per il tartufo e questa mia tenera considerazione per il caviale. Bene. Preparati.
Prima di tutto: il tartufo non è un “ingrediente costoso”. È un personaggio. Ha carisma. Si presenta al tavolo con la stessa disinvoltura con cui certi politici appaiono in conferenza stampa: non chiede permesso, invade la scena. Apri una campana di vetro e boom: lui domina l’aria, i pensieri, le conversazioni e a volte anche le persone.
Il tartufo non piace a tutti, e va benissimo. Chi lo ama, lo riconosce da lontano. Chi non lo capisce, lo guarda e dice: “Ma sa di terra”. E certo che sa di terra. È nato lì. Non viene dal supermercato in fiore. È la natura che parla chiaro: profondo, radicato, senza trucco. Il tartufo è come un pensatore: non lo puoi affrontare distrattamente.
Il caviale, invece, è tutta un’altra storia. All’opposto del tartufo, non urla. Sussurra. È l’eleganza della misura. Il caviale è l’unico alimento che ti insegna la lezione fondamentale della vita: la qualità sta nella quantità giusta. Se ne metti troppo, rovini tutto. Se lo mangi come se fosse salsa, stai sbagliando mestiere.
E poi diciamocelo: il caviale è una meditazione zen in forma commestibile. Devi fermarti. Devi assaggiare lentamente. Devi sentire la salinità che si apre piano, come una conversazione interessante. È una pausa. Una parentesi. Una parentesi di gusto che ti costringe alla calma. Altro che status symbol: è autodisciplina.
E allora perché piacciono a me, Baldo?
Semplice: perché rappresentano il contrario della velocità con cui viviamo. Sono una dichiarazione di resistenza umana. Una piccola rivoluzione personale contro il panino mangiato in auto, il caffè trangugiato in corsa, l’aperitivo fatto “tanto per”.
Tartufo e caviale ti dicono: fermati. Respira. Assapora. Vivi il momento.
Che poi, se fossimo onesti, la vera domanda non è “Perché mi piacciono?”.
È “Perché non dovrebbero piacermi?”.
Ho forse l’obbligo morale di dichiarare amore solo alla pasta al pomodoro? A cui, tra l’altro, io voglio benissimo. Ma si può amare la semplicità e l’eccellenza, il pane e la poesia, la trattoria e la cucina stellata. Non sono contraddizioni. Sono possibilità.
In conclusione: non ho bisogno che il tartufo e il caviale mi rappresentino. Non sto cercando medaglie gastronomiche. Mi piacciono perché mi fanno sentire presente, sveglio, sensibile al mondo.
Tutto qui.
Se poi qualcuno vuole trasformare questo in una questione di status, almeno che sia status con sapore.
Cordialmente,
quello che quando arriva il tartufo sorride già prima di mangiare….













