Il giorno in cui la nuvola è caduta

Ieri mattina cercavo di inviare un messaggio su Signal ad un amico, ma l’app sembrava morta, come “staccata”.
Non capivo perché, finché non ho scoperto – come immagino molti di voi – che ad essere “staccato” non era il mia linea telefonica, ma Amazon Web Services, la piattaforma cloud su cui si regge mezzo mondo digitale.
Un guasto in Virginia, ed il castello di carte è crollato: banche in tilt, app. bloccate, siti istituzionali inaccessibili, perfino gli assistenti vocali muti come pesci.
Il copione ormai è noto: migliaia di segnalazioni dagli Stati Uniti, poi dall’Europa, poi da noi.
Dopo un prudente silenzio, Amazon ha confermato “un aumento dei tassi di errore e delle latenze”.
Tradotto: il cloud è andato in pappa.
Già, il cloud.
Parola poetica, ma ingannevole.
Non è una nuvola, ma un mostro di acciaio e silicio, fatto di server, cavi, energia, raffreddamento, e tecnici in carne e ossa.
E, a differenza delle vere nuvole, queste non fluttuano libere nel cielo, ma sono concentrate in pochi punti del pianeta.
Uno dei principali è proprio quello di Amazon in Virginia: quello che ieri ha deciso di prendersi un giorno di ferie.
Per me, comune mortale, l’incidente non è certo stato la fine del mondo.
Ma se lo stesso blackout colpisce un ospedale, o un sistema di pagamento, lo diventa eccome.
I problemi sono durati fino al pomeriggio, poi Amazon ha assicurato che “quasi tutto era stato ripristinato”.
Bene. Ma questo incidente ci obbliga a porci qualche domanda scomoda.
Perché un guasto in Virginia deve paralizzare servizi in Europa?
Perché noi europei non siamo riusciti a costruire un’infrastruttura digitale coerente con i nostri valori ed i nostri modelli economici?
Perché il 70% delle nostre imprese dipende dai server di Amazon, Google e Microsoft?
Domande cruciali, in un mondo in cui pochi minuti di interruzione bastano per bloccare Banche, Pubblica amministrazione e Comunicazioni.
È da anni che si parla di “sovranità digitale”, ma nel frattempo la realtà è rimasta saldamente americana.
Abbiamo regolamentato tutto, privacy, trasparenza, concorrenza, ma abbiamo lasciato agli altri la sostanza: la tecnologia, le infrastrutture, i dati.
Ed il punto è proprio questo: senza “sovranità tecnologica” non c’è “sovranità politica”.
Sembra un paradosso, ma non lo è affatto.
Immaginate un giorno in cui, per ragioni geopolitiche, gli Stati Uniti decidano di interrompere i servizi cloud verso l’Europa.
Nel giro di minuti, il continente intero precipiterebbe nel buio digitale: niente email, niente social, niente intelligenza artificiale, niente sistemi di pagamento. Resterebbe disponibile solo Tik Tok: non proprio il massimo!
Uno scenario da fantascienza?
Forse improbabile perché ciò comporterebbe un danno colossale anche per le aziende “padrone del cloud”.
Ma attenzione: improbabile non significa impossibile.
E per quanto possa essere improbabile, tale scenario non è “impossibile”, in quanto la Casa Bianca quell’ordine di “staccare tutto” ha davvero il potere di impartirlo.
Il “Cloud Act”, voluto da Trump, obbliga le aziende americane a consegnare dati o ad interrompere servizi (anche se i server sono all’estero) qualora la Casa Bianca lo richieda.
E quelle aziende — Amazon, Google, Microsoft — sono, restano e resteranno americane.
Nel frattempo, con una splendida operazione di marketing, ci vendono l’idea del “cloud sovrano europeo”, con datacenter locali e grandi promesse d’autonomia.
Peccato che sovrano non lo sia affatto: perché il controllo ultimo resta sempre oltre Atlantico.
E mentre noi discutiamo di regolamenti e bilanci, il treno del futuro è già passato.
Oggi creare da zero un vero cloud europeo costerebbe almeno cinquemila miliardi di euro e dieci anni di lavoro.
Troppo, per un’Unione che fatica persino a mettersi d’accordo su una difesa comune.
Già, la difesa.
Perché il tema è lo stesso: come la nostra sicurezza digitale, anche la nostra sicurezza militare dipende dagli Stati Uniti.
Quindi alla fine la domanda diventa una sola: può la privacy, la sicurezza e l’operatività di 450 milioni di europei dipendere da come si sveglia al mattino un presidente americano, che si chiami Donald Trump od in qualunque altro modo?
E se la risposta è no, allora dobbiamo finalmente smettere di guardare al cielo e costruire da soli le nostre “nuvole”; oltre che dotarci delle armi che ci servono per difenderci.
Quelle vere, europee.













