25 Maggio 2017 - 15.35

VICENZA – No Dal Molin: “I danni provocati dalla Base e le responsabilità”

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Si torna a parlare della Base Usa Del Din. I No Dal Molin hanno diffuso oggi un comunicato stampa che di fatto è un atto di accusa nei confronti della Base e di chi sarebbe responsabile dei danni provocati dall’opera.

Riceviamo e pubblichiamo:
“However, the military base is reality, the damage is done”, scrivono nel loro rapporto gli ispettori dell’Unesco dopo la visita fatta a Vicenza lo scorso marzo per verificare lo stato di conservazione e di manutenzione del patrimonio palladiano tutelato dall’ente internazionale.
Il danno è stato fatto e tutto procede come prima? Non è affatto così: questa base, anzi le due basi militari della città di Vicenza, continuano a produrre effetti negativi e velenosi come quello (ed è solo l’ultimo) del militare Usa di ritorno dall’Afghanistan, che stupra e violenta ripetutamente la giovane fidanzata e viene poi rimpatriato dalle autorità militari americane, con accusa e condanna per detenzione di materiale pedopornografico, sostenendo però che le altre e ben più gravi accuse sono di pertinenza della giustizia italiana.

La comunità vicentina conosce bene questa sindrome, quella cioè di una reiterata pulsione dei militari americani connaturata alla loro condizione di portatori di violenza, distruzione e morte. Prima e su larga scala nei territori di guerra come Iraq, Afghanistan, Siria… dove la brigata aviotrasportata di stanza a Vicenza è in azione oramai da diversi decenni (e prima ancora in Vietnam, Laos, Cambogia). Poi, su scala minore, nella stessa città che li ospita: sulle persone, prevalentemente donne, e sulle cose, generalmente bar o locali di intrattenimento, su cui sfogare il residuo di violenza che hanno incorporato prima delle missioni vere e proprie.

Il tentativo delle autorità locali – in primis l’amministrazione comunale – di intitolare alla pace strade, parchi e villaggi, di promuovere incontri o stage di studenti con i militari delle basi militari, di organizzare cerimonie di benvenuto e feste nelle ricorrenze istituzionali senza mai porre e porsi il problema di come disinnescare gli effetti prodotti da queste fabbriche di morte e violenza è solo la manifestazione di una falsa coscienza che le rende subalterne, se non complici.
Falsa coscienza che arriva a definire, sempre nel rapporto citato dell’Unesco, “pericolosi e dannosi” per le persone e per i monumenti della città i trasporti di merci e mezzi di guerra che dalla stazione ferroviaria entrano o escono dalle due basi. Questi mezzi hanno già provocato preoccupazioni e proteste nei quartieri attraversati di giorno e di notte da veicoli ingombranti che vanno e vengono da Aviano o Ghedi, dall’Ucraina o dalla Lettonia, utilizzando le stesse strade e ferrovie dei comuni cittadini. E a queste legittime proteste è stato risposto che il contenuto dei trasporti è sconosciuto e non rivelato dalle autorità militari americane. Non è difficile immaginare quali merci vengono trattate, utilizzate e trasportate da organizzazioni militari, ma impressiona soprattutto la remissività delle autorità locali e nazionali davanti a un atteggiamento così arrogante.
Non è vero quindi che il danno è fatto o è stato fatto: in realtà continua a prodursi e riprodursi qui, dove si sono presi gli alloggi e i servizi per “ricaricarsi” tra una missione di guerra e l’altra, e con maggiore evidenza là dove la loro missione di guerra si esplica con grave ferocia e distruttività.
In definitiva non siamo una città patrimonio dell’umanità ma una che è succube di chi l’umanità la bombarda e la stupra.

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