10 Agosto 2020 - 10.54

Salvini, tutti i miei sbagli

Anche oggi torniamo a parlare di capitan Salvini. Non è per una sorta di accanimento che continuiamo a tenere accesi i riflettori sul Segretario della Lega, ma perchè, e lo vedremo, la sua figura, la sua politica, i suoi obiettivi, si intrecciano in modo quasi inestricabile con gli equilibri politici italiani dell’immediato futuro.
Innanzi tutto non va mai dimenticato che la politica è l’arte del possibile, e di conseguenza le scelte che oggi possono sembrare errori, a distanza di tempo possono dimostrarsi lampi di genio o perle di lungimiranza.
Fatta questa doverosa precisazione, che però va sempre tenuta presente, nulla ci impedisce di analizzare l’azione politica di Salvini nell’ultimo anno, individuando quelli che a nostro avviso rappresentano errori di valutazione, e finiranno per condizionare in qualche modo il suo futuro politico, e di conseguenza quello del nostro Paese.
Io credo che per tentare un’analisi non si possa che partire dalla crisi del governo Conte 1, annunciata in un luogo piuttosto inconsueto, uno stabilimento balneare, l’ormai mitico Papeete Beach di Milano Marittima.
Non so se, ripensandoci, il Capitano rifarebbe la stessa scelta, rivelatasi alla fine un azzardo perchè sperare che Giuseppe Conte si sarebbe fatto da parte “a comando”, lasciandogli campo libero, era già allora pura utopia. Come pure era surreale il solo pensare che il Movimento 5Stelle, uscito bastonato dalle Europee, volesse sperimentare una sorta di eutanasia politica con nuove elezioni.
Sicuramente a indurre in errore Salvini, suggerendogli l’azzardo delle crisi, è stato quel 34% dei consensi incassato dalla Lega alle Europee, che gli ha fatto ritenere di poter “riscuotere”, bissando quel successo alle politiche, per poi governare come laeder indiscusso del centrodestra.
Non è stata la prima volta che nel nostro Paese l’ebbrezza di un risultato alle Europee ha dato alla testa ad un leader politico.
Successe la stessa cosa anche a Renzi, lo ricordate?
Persa la battaglia del Governo, Salvini si è quindi concentrato sulle uniche elezioni previste, le regionali.
E qui a mio avviso il Capitano ha commesso un altro errore, quello di attribuire alle elezioni regionali non già il fine primario di scegliere gli amministratori migliori, bensì di caricarle della funzione di strumento per dare la spallata al governo giallo-rosso, con successivo ricorso alle urne.
E la prova la si è avuta in Emilia Romagna, dove Salvini si è sostituito alla canditata Lucia Bergonzoni per tutta la campagna elettorale, di fatto oscurandola, tanto è vero che alla fine ha preso meno voti della coalizione che la sosteneva. Ne è risultata una campagna elettorale all’ultimo voto, in cui Salvini ha alzato al massimo l’asticella della polemica, col risultato di riuscire a spingere al voto anche i più titubanti nel variegato mondo della “gauche”.
A mio avviso questo schema rischia di riproporsi anche nelle prossime elezioni regionali di settembre, con Salvini che batte a tappeto città e borghi toscani con la candidata Susanna Ceccardi a fianco a fare da tappezzeria, ma ci ritorneremo.
L’impressione complessiva che ne deriva è che l’orologio politico del Capitano sia ancora fermo a quel 20 agosto 2019, e che quello che è successo dopo non abbia minimamente scalfito le sue convinzioni, e di conseguenza il suo agire politico.
Per spiegarmi meglio, sembra che Salvini sia rimasto al 2019, quando come un novello Re Mida riusciva a trasformare in oro tutto quello che toccava, e che gli italiani fossero disposti a perdonargli gaffe, incoerenze, e sbruffonate.
Ma come sembra ami ripetere Giancarlo Giorgetti, vice Segretario “aventiniano” della Lega, “prima o poi la campanella suonerà per tutti e finirà la ricreazione”.
Ed in effetti la ricreazione sembra essere finita, almeno stando ai sondaggi, che danno la Lega di Salvini in flessione di almeno 10 punti rispetto al risultato delle Europee.
E a segnalare la fine della merenda ci ha pensato soprattutto il Covid-19, con tutto quello che ha innescato, dal lockdown alla recessione.
E ha voglia a dire Salvini, come ha fatto a fine giugno, che “la Lega è l’unico movimento politico che vive in mezzo alla gente. Se chiudi le piazze e le fabbriche per tre mesi, alla Lega togli lo spazio vitale”.
La realtà è che l’emergenza sanitaria ha “sparigliato le carte” della politica, e non basta l’impennata degli sbarchi in Sicilia a riportare Salvini sulla cresta dell’onda.
Perchè quando sono in ballo valori come la salute ed il lavoro, sostituire la politica con la comunicazione non paga più.
Ma questo è quello che Salvini sembra non aver capito, visto come si è mosso negli ultimi mesi, con “apriamo tutto” quando il Governo chiudeva, “chiudiamo tutto” quando il Governo apriva; in pratica con un’opposizione preconcetta sul singolo provvedimento, senza dare l’impressione di avere un disegno complessivo per il futuro del Paese.
E la situazione è ancora più intricata per il Capitano, che si trova proprio in questi giorni a gestire il passaggio dalla Lega Nord alla Lega nazionale.
Passaggio che comporta non solo fronteggiare i militanti mal disposti verso i “neo leghisti terroni e poco autonomisti” e ancora legati al vecchio partito bossiano incardinato nelle regioni settentrionali (la mitica Padania), ma anche la recessione, il male economico del Nord che ha trovato nel Presidente di Confindustria Carlo Bonomi la voce che lancia il “grido di dolore”.
E quest’ultima è una “rogna” non di poco conto, perchè quel profondo Nord operoso e produttivo, conscio di essere il motore del Paese, pretende di contare nella fase della ricostruzione, e vorrebbe un leader disposto a battersi per dargli voce e difendere i suoi interessi.
Da non sottovalutare inoltre che la “gente del Nord”, da sempre abituata a confrontarsi con i bilanci, con la concorrenza straniera, in generale con i soldi, fa fatica a capire le contorsioni del capitano ad esempio sugli aiuti europei. Fa fatica a digerire il no della Lega ai 37 miliardi del Mes, ottenibili da subito senza condizioni e ad un tasso irrisorio. Secondo loro quella è una posizione da “grillini”, da fautori della ”decrescita felice”, non da leghisti da sempre attenti agli “schei”. Figuriamoci poi se gli schei in arrivo dalla Ue sono una valanga, ben 209 miliardi, definiti dal Capitano “una fregatura”.
E non escludo che in questi ambienti “nordisti” cominci a diffondersi il timore che le vicissitudini di Salvini, dagli attacchi al Governatore lombardo ai processi, siano la cartina di tornasole che a Bruxelles ed in Italia nessuno voglia consegnare quei 209 miliardi al Capitano, che per il suo sovranismo è considerato inaffidabile e pericoloso per gli attuali equilibri europei. In altre parole si fa strada il timore che Salvini non riuscirà a diventare il candidato premier del centrodestra alle politiche, quando ci saranno.
Da qui gli ammiccamenti a Luca Zaia, che però finora si dimostra poco interessato; ma si sa che in politica vale sempre il “mai dire mai”, soprattutto se, come dice un sondaggio di questi giorni, il Governatore dovesse essere riconfermato con percentuali “putiniane”, oltre l‘ 80%.
Ed eccoci così ritornati all’oggi, alla nuova tornata elettorale di settembre, che a mio avviso a questo punto rischia di diventare cruciale, un vero e proprio punto di caduta.
Ma come sempre in politica valgono i risultati, per cui se le urne consegneranno una nuova vittoria alla Lega, per il Capitano sarà facile tacitare i mal di pancia interni. Ma se l’esito del 20 e 21 settembre dovesse riservare qualche sorpresa, se ad esempio l’assalto alla Toscana dovesse fallire come avvenuto a gennaio in Emilia Romagna, allora potrebbero aprirsi nuovi scenari.
In questa eventualità, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, magari vincenti in Puglia, Liguria e nelle Marche, avrebbero gioco facile a ridimensionare sia il potere della Lega all’interno dell’Alleanza di centro destra, sia le ambizioni del suo Capo.
Saranno quindi gli elettori pugliesi, campani, toscani, marchigiani, liguri (non comprendo il nostro Veneto perchè qui non ci sarà partita) a decidere se la rincorsa di Matteo Salvini abbia perso forza.
Ma in autunno oltre alle regionali ci saranno anche il piano del Governo per il Recovery Fund, la probabile crisi occupazionale, una possibile seconda ondata del Covid-19; tutti fattori che contribuiranno a determinare il quadro politico generale, e gli equilibri nella Lega.
Si dice che il Capitano a questo punto non si fidi più di nessuno, e che gestisca il Partito in solitaria come un novello Stalin. Ma sappiamo bene che gli uomini soli al comando durano finchè le cose vanno sempre nel verso giusto, ed i sondaggi al momento sembrano suggerire che non sia questo il caso.
Per qualcuno poi c‘è anche il problema dell’ attuale isolamento della Lega. Il buon senso suggerirebbe la necessità di avere rapporti con tutte le forze politiche, perchè, piaccia o non piaccia, il vento soffia verso il proporzionale.
Settembre ci dirà se la parabola del Capitano sarà ancora in fase ascendente, o se le vicende politiche determineranno la messa discussione della sua leadership, obbligandolo ad un maggior “gioco di squadra”.
In questi scenari un ruolo determinante lo giocherà inevitabilmente anche Conte ed il governo giallo-rosso, che quanto a populismo non hanno poi molto da imparare dal Capitano. La domanda è: un Governo incapace di dire agli italiani la verità, che cioè ci aspettano mesi e forse anni terribili, un Governo che fatica a mettere in campo un piano credibile per la ripresa, un Governo che si affida solo all’assistenzialismo ed ai bonus, un Governo litigioso che non riesce mai ad approvare un decreto senza la formula “salvo intese”, un Governo che si muove sulla base dei sondaggi, può essere veramente in grado di ricostruire il Paese?
Certo c’è il collante dell’antisalvinismo, e soprattutto della voglia di gestire la nomina del successore di Mattarella. Ma basteranno a tenerlo in piedi qualora, Dio non voglia, la crisi sanitaria dovesse trasformarsi in crisi sociale, con la gente in strada a protestare?
Se l’incalzare degli eventi costringesse Conte a lasciare, a quel punto il Capitano forse otterrebbe le tanto agognate elezioni anticipate, ma non oso neppure immaginare in quale clima si terrebbero.
Di Stefano Diceopoli

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