23 Luglio 2019 - 9.57

EDITORIALE – “Salvini tèrun!”

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di Stefano Diceopoli

Questa l’incredibile accusa al Capitano, che, riferisce un giornale on line, è comparsa nei giorni scorsi su alcuni social dove si parlava di autonomia, denunciando il tradimento della Lega ai danni del Veneto.

Non era difficile pronosticare che il tira e molla, la “fiaba del Sior Intento” per dirla alla Veneta, che si sta consumando da mesi a Roma avrebbe alla fine fatto emergere sentimenti autonomisti mai sopiti del tutto nella base leghista, facendoli tracimare al di fuori del perimetro dei “duri e puri” della ex Liga Veneta ed ex Lega Lombarda.

Ed i toni ruvidi con cui i Governatori di Veneto e Lombardia, Luca Zaia ed Attilio Fontana hanno risposto alla lettera del premer Conte, sono la cartina di tornasole di due leader pressati da una base che vuole farla finita con i Cinquestelle, e individuano nell’”autonomia mutilata” il casus belli che Salvini dovrebbe cogliere al volo.

Usare il termine “cialtroni” per riferirsi a chi frappone ostacoli all’autonomia, come ha fatto Fontana, non è usuale per i politici nostrani, e dimostra una tensione arrivata a livelli di guardia. 

Ormai in Veneto di questo tema se ne parla apertamente nei bar, nei mercati, sotto gli ombrelloni. E’ come un rumore di fondo, che a questo punto dovrebbe impensierire Salvini, perché lo pone di fronte ad un dilemma che assomiglia un po’ alla “quadratura del cerchio”.

Perché per quanto fino ad ora sia riuscito ad imporre una leadership assoluta e carismatica, la questione settentrionale si sta ripresentando prepotentemente, ponendolo di fronte ad una drammatica scelta strategica.

E’ infatti evidente che far saltare il tavolo del Governo in nome dell’autonomia differenziata significherebbe da un lato perdere inevitabilmente quote significative di consenso al Sud, dall’altro ritornare ad una Lega a baricentro settentrionale.

La determinazione dei Governatori del nord nel ribadire che non firmeranno accordi al ribasso potrebbe indicare che si sta arrivando ad un punto di non ritorno, e credo che Salvini sappia bene che la lettera di risposta di Zaia e Fontana al Presidente Conte, dove senza peli sulla lingua si definisce “farsa” il precorso sull’autonomia che avrebbe in mente il premier, ha tutto il sapore di un “avvertimento” al loro Capitano.

Nei giorni scorsi il tema dei contenuti dell’autonomia, dai costi standard al residuo fiscale, è già stato trattato su Tviweb.

Vale quindi la pena di allargare un po’ lo sguardo, per mettere a fuoco che il tema può imporre a Salvini scelte difficili, ma qualche problema lo pone anche alle altre forze politiche.

Iniziamo dal Movimento 5 Stelle. 

Continuare ad osteggiare le richieste votate da milioni di veneti e lombardi, in nome di una difesa del Sud, che ha tanto il sapore di voler perpetuare la situazione attuale, non solo mette sicuramente in difficoltà i pentastellati veneti e lombardi, che non a caso si erano espressi a favore per il Si nei referendum, ma rischia di bloccare per sempre l’espansione del Movimento nelle regioni del Nord, con il risultato di arroccarlo sempre più nella “ridotta” delle regioni meridionali, marginalizzandolo. Compromettendo anche lì un’eventuale crescita futura, data l’estrema “volatilità” che caratterizza da sempre quell’ elettorato.

Ma andando sul concreto, continuare a parlare di secessione dei ricchi, paventando conseguenze pesanti nel Mezzogiorno, può reggere solo fino ad un certo punto. Si tratta in ogni caso di una risposta monca, perché da un lato lo capisce anche un bambino che caso mai si tratterebbe della secessione degli “efficienti” a fronte di un sistema ormai ingessato, dall’altro non voler rendersi conto che 25/30 anni di considerevoli risorse destinate al Sud senza nessun risultato, porta la parte più produttiva del Paese per lo meno all’ “irritazione”.

Incanalando quindi ulteriore consenso verso chi sostiene che è intollerabile che si continuino a dilapidare risorse, a spese di quella parte del Paese che le utilizza in modo più efficiente.

Per non dire che, bloccare lo sviluppo della parte più produttiva dell’Italia, che genera un terzo del Pil nazionale, e con le esportazioni sta tenendo in piedi questo Paese, vuol dire di fatto inseguire un falso mito dell’egualitarismo ad ogni conto, che ha come unico risultato quello di abbassare il livello di efficienza a quello delle regioni meno virtuose.

E’ palese che l’attuale sistema, che non responsabilizza le classi politiche meridionali sulla spesa, non garantisce omogeneità dei servizi su tutto il territorio nazionale. Altrimenti non si spiega come i cittadini del Sud, per farsi curare adeguatamente, debbano rivolgersi alle strutture sanitarie delle regioni settentrionali. E parimenti non si capisce perchè il sistema Invalsi fotografi ogni anno un “gap” crescente fra il livello scolastico dei ragazzi del Sud rispetto a quelli del Nord.

Venendo al Partito Democratico, è chiaro che l’autonomia differenziata non può vederlo spettatore super partes.

Per il semplice motivo che una delle regioni attualmente impegnate nella lotta per l’autonomia è l’Emilia Romagna, da sempre la Regione rossa per antonomasia.

E se il Governatore Stefano Bonaccini si è aggregato al carro di Veneto e Lombardia, vuol dire da un lato che l’autonomia differenziata è percepita come “cruciale” anche a sinistra, dall’altro che lasciare alla Lega campo libero su questa materia voleva dire mettersi da subito fuori gioco nella prossima campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale.

Oltre a tutto l’accordo fra Stato e le tre Regioni, rimesso in discussione da parte dell’attuale maggioranza, è stato firmato dall’allora premier Paolo Gentiloni, attuale Presidente del Pd. Difficile ora sparare a zero su un accordo sul quale c’era il consenso del partito.

Anche se l’autonomia pone il Pd, ma anche i 5Stelle, di fronte a problematiche piuttosto “indigeste a gauche”.

Mi riferisco in particolare al tema sollevato dalla Lega relativamente alla necessità di introdurre salari differenziati fra nord e sud.

Roba da togliere il sonno a sinistra, ed in particolar modo ai sindacalisti, da sempre assolutamente contrari anche solo a prendere in considerazione il problema.

Certo l’espressione “gabbie salariali” provoca ancora levate di scudi, ma io credo che, molto laicamente, vada considerato che su un territorio nazionale il potere d’acquisto varia di quasi il 30% fra nord e sud, se l’Istat certifica che a Milano la vita costa quasi il doppio che a Reggio Calabria, i contratti nazionali dovrebbero tener conto di questo.

Il salario dev’essere legato alla produttività, altrimenti diventa ingestibile.

Questo è uno dei motivi che ostacola insediamenti produttivi nel Mezzogiorno, e la conseguenza più evidente è che ogni anno 50-60mila giovani se ne vanno dal sud.

Certo si può continuare ad aggrapparsi ai principi, ma negare il problema non lo risolve, e forse bisognerebbe spiegarlo ai ragazzi del Sud che sono costretti a prendere la valigia ed emigrare.

Concludendo, non dobbiamo ritenere che l’autonomia differenziata risolva magicamente i problemi dell’Italia.

Non va sottaciuto che, se gestita male, potrebbe aprire ulteriori buchi nella finanza pubblica. Infatti, ogni qual volta nel nostro Paese si sono ampliate le competenze di una amministrazione si sono aperti canali di spesa alla fine incontrollabili.

Ma, come si dice, “chi non risica non rosica”, e fare qualcosa è sempre meglio che non fare niente, affidandosi al Fato.

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