3 Febbraio 2020 - 10.30

CORONAVIRUS – Un contagio emotivo

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di Umberto Baldo

Il vero contagio di questi giorni non sta nel numero degli infettati, veri o sospetti, dal coronavirus, bensì quello emotivo, quello che spinge a leggere tutto, ma proprio tutto, quello che viene sparato su qualsiasi media,  siano giornali o siti web, telegiornali o notiziari radiofonici. Qualsiasi fonte è buona per saziare l’ansia di sapere quanto è possibile sapere sulla pandemia con cui si è aperto il 2020.

Fra l’altro “anno bisesto” che, secondo i nostri vecchi, voleva dire “anno senza sesto”. 

Ed i sintomi di questa “sindrome da sovra informazione sanitaria” si possono già toccare con mano nella vita di tutti i giorni.

Allora, uno si alza al mattino e mentre fa colazione si fa un bel giro dei notiziari televisivi, che sapendo qual’ è l’argomento che più “tira” fra gli spettatori, forniscono reportage dalla Cina, immagini di aerei a terra, di operatori sanitari che sembrano astronauti pronti ad uscire per una salutare passeggiata nello spazio, il tutto ovviamente condito non solo dalle doverose interviste a qualche infettivologo di rango, ma anche al Sior Bepi e alla Siora Maria beccati mentre fanno la spesa al mercato.

Questa “cura da cavallo” prosegue poi per tutta la mattinata nei talk show ad uso dei “pensionati”, che evidentemente si presume non abbiano niente di meglio da fare che stare in poltrona a farsi terrorizzare.

Superato questo primo shock di “coronavirus domesticus”, bisogna andare al lavoro, almeno chi ce l’ha.  Quindi uno sale in macchina e, se accende la radio, due volte su tre becca una trasmissione che gli ricorda, se lo fosse magari dimenticato, che siamo nel pieno di una pandemia mondiale.

Se hai la buona abitudine di comprare il giornale c’è poi la sosta in edicola, dove si trova un capannello di “mattinieri” che discettano, indovinate un po’, di coronavirus ovviamente.

Arrivati sul posto di lavoro, prima di iniziare l’usato travaglio quotidiano come sottrarsi alle “ciàcole” fra colleghi.  Tema?   Provate ad immaginare!  E qui, ma non solo qui ovviamente, spesso entra in campo la categoria del “mio cugino”, o del “parente che conosce qualcuno” che “sa” cosa sta veramente accadendo al di là delle dichiarazioni ufficiali del Governo, che di solito è ladro, ma che in questi casi sempre ladro resta, ma anche bugiardo.   E si tratta spesso di “confidenze” quasi sussurrate, come se fossero riservate a degli iniziati, che vengono poi girate ad amici e parenti, finendo per assumere in un breve lasso di tempo valenza di verità rivelata.

E capite bene che quando entra in campo la figura di “mio cugino” o di un “cugino di un mio amico” è chiaro che siamo arrivati quasi al “sonno della ragione”.

C’è poi il vero elemento che fa da miccia alla psicosi da coronavirus: la RETE.

Che è un ambiente in cui sguazziamo tutti, inutile negarlo, ed al quale ci abbeveriamo per saziare le nostre ansie.

E la rete è l’ambito in cui tutto si mescola, informazione scientifica e credenze apotropaiche, in un mix che alimenta se stesso all’infinito.

Ed in rete finiscono quindi per scaricarsi le ansie, le paure, le credenze, le superstizioni.

Il risultato non può che essere il trionfo dell’informazione approssimativa, che diventa “virale” a mano a mano che si diffonde, e che finisce per essere preferita all’informazione “scientifica” ed a quella del Ministero della Salute o dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. 

Perché la scienza si basa su dati oggettivi, riscontrabili, e quindi lascia poco spazio al nostro lato emozionale.    E quando uno scienziato ci dice che le mascherine non servono per le persone sane, ma per quella ammalate per impedire loro di contagiare gli altri, la cosa non ci piace.  Perché è molto più rassicurante svuotare le farmacie, ed i depositi farmaceutici, di tutti i tipi di mascherine.   Che allo stato sono diventate introvabili, per cui non resta che prendersi quelle da “saldatori”, che sono per la verità un po’ scomode, ma possono servire anche da occhiali da sole.   E quando sentiamo parlare di “quarantena”, cosa c’è di più appagante per sedare le nostre apprensioni che farsi un bel giro per ipermercati, per riempire le dispense di scorte alimentari!

Quindi vade retro scienziato o Ministro!   Molto meglio “mio cugino” o “ il cugino di un mio amico”, che le cose “le sanno”, e sono dalla mia parte, non da quella del Potere.

Com’è inevitabile la Rete è anche la palestra in cui si allenano i “buontemponi”, per i quali ogni argomento è buono per smitizzare.

Ed ecco quindi arrivare messaggi di ogni tipo su Whatsapp.

Come quello nel quale una voce con cadenza napoletana annuncia: “Gennaro a Forcella affitta a 15 euro ‘o cinese co’ ‘a tosse per non fare la fila alle Poste”. E prosegue: “50 euro per evitare la folla in metropolitana o sul bus, 70 per trovare posto al ristorante. A vostra disposizione”.

O tutti quelli in cui la birra “Corona” è diventata protagonista di una serie infinita di fotomontaggi. Da quello del messicano a terra perché ubriaco fradicio, con una cassa di birra “Corona” di lato, il tutto commentato con “First Mexican Victim of Corona Virus”.   A quello che vede  due Corona italici, lo scrittore alpinista Mauro,  ed il personaggio televisivo Fabrizio, con la didascalia “isolati due cippi di coronavirus in Italia”.  Per arrivare alla famosa foto di Papa Bergoglio  che schiaffeggia la mano di un fedele che lo tocca, commentata con “Ma allora il papa sapeva già tutto” o con “Papa schiaffeggia di nuovo fedele cinese, ma stavolta coi guanti”.

Finita la giornata lavorativa come non fare una capatina al bar per l’aperitivo, visto che le “ombre” non fanno più chic.   E lì si incontra spesso la quintessenza della “cultura da bancone”.  Alimentata magari da qualche ora di biliardo o di scala quaranta, durante le quali nascono le proposte più varie, dal creare “campi di concentramento per i cinesi italici”, al chiudere tutti i negozi gestiti da cinesi.

Al rientro a casa cena accompagnata dal telegiornale, in cui si apprende fra l’altro che le mamme italiche chiedono l’allontanamento dei piccoli scolari di “etnia cinese”, indipendentemente se gli stessi si siano recati di recente nella terra di origine.

Dopo aver declinato l’invito di un amico che proponeva di andare a passare il  prossimo sabato sera  in quel ristorantino cinese che ci piaceva tanto, con un bel “ma sei matto, vuoi ammalarti”, ci si avvia verso il meritato riposo.

E cosa c’è di meglio a fine giornata che rilassarsi leggendo le “terzine di Nostradamus”.  Vedi mai che ce ne sia una che prevedeva il coronavirus dell’anno bisesto 2020?

E prima di chiudere gli occhi serve a poco che qualcuno ti sussurri “Fai bei sogni”.  Ma come caspita volete che un cristiano possa fare bei sogni dopo una giornata del genere?    Il problema è che questa non è una giornata eccezionale al tempo del “Coronavirus di Wuhan”, bensì una giornata normale.

Fino ad ora, perché al peggio non c’è mai fine.

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