17 Marzo 2020 - 11.20

“Coronavirus: la mia testimonianza dalla lontana Inghilterra”

Se con la Spagna abbiamo legami e stili di vita simili, derivanti dal fatto di essere entrambi Paesi dell’Europa del sud, questo non vale certamente per l’Inghilterra.  Al di là dei luoghi comuni e degli stereotipi, la cultura ed il “lifestyle”  a mio avviso rendono il confronto fra i due popoli veramente improponibile.  E non è solo la totale mancanza di bidet nei bagni, o al fatto che la pasta, per noi italiani piatto base, non è solitamente compresa nella tradizione culinaria britannica.  Gli inglesi sono da sempre consapevoli di vivere in un’isola, e si sentono europei solo per una questione geografica. Questo sentimento è stato ben espresso negli anni trenta quando il Times pubblicò questo titolo  «C’è nebbia sulla Manica: il continente è isolato».  Nessun inglese lo trovò allora  illogico od arrogante: se la nebbia impediva la navigazione nel Canale, era ovvio che a essere tagliata fuori non era la Gran Bretagna, ma l’intero continente.La Brexit è stata la sublimazione di questo “sentire” degli inglesi, che adesso si percepiscono veramente liberi da ogni legame con la “vecchia Europa”.Questa “diversità britannica” la stiamo percependo in questi giorni di pandemia da Covid19, viste le dichiarazioni del premier Boris Johnson, che propugna la cosiddetta “indennità di gregge”, il che vorrebbe dire lasciare infettare tutta la popolazione, mettendo in conto un gran numero di decessi.Vedremo nei prossimi giorni se gli inglesi saranno disposti ad accettare senza proteste il “programma sanitario” di Johnson, ma per capire meglio cosa stia accadendo in questi giorni nel Regno Unito, abbiamo posto alcune domande a Gerardo M., un giovane padovano che lavora stabilmente a Londra da circa due anni.

Ecco le sue risposte: Qual è la situazione attuale a Londra relativamente all’emergenza Coronavirus?
Sinceramente il tutto è stato preso con molto distacco, quasi con scetticismo.  Ai più sembra impossibile che l’epidemia da coronavirus  possa rappresentare un pericolo per il Regno Unito. Questo almeno fino a pochissimi giorni fa.Le cliniche NHS (servizio sanitario nazionale) avvisano di non presentarsi direttamente, ma di rivolgersi al Pronto Soccorso per qualsiasi sintomatologia che ricordi un’influenza.Dispenser di gel antibatterico per mani spuntano magicamente all’entrata e uscita di alcune delle più prestigiose sale da concerto e musei.Il sito governativo GOV.UK rilascia costantemente aggiornamenti in merito a Paesi da evitare -la postilla “salvo viaggi di lavoro” è stata rimossa solo pochi giorni fa-, e casistiche su suolo britannico relative ai contagi.
Cosa è cambiato nella sua vita in questi giorni?
Dopo l’ultima dichiarazione del premier britannico, come si poteva benissimo immaginare, i supermercati sono stati presi d’assalto. I tempi di attesa per una spesa online con modalità click&collect vanno dalle 3 alle 4 settimane.Il tutto si aggiunge al già precedente scarseggiare di medicinali da banco, che qui vengono tranquillamente venduti a pochi pence tra gli scaffali.L’azienda per cui lavoro ha chiesto di installare e controllare l’accesso da casa alle piattaforme online che usiamo quotidianamente per lavoro, per essere pronti in caso di shut-down dell’edificio in cui svolgiamo la nostra attività.

Secondo lei c’è stata in Inghilterra una sottovalutazione del rischio epidemia?
A mio modesto parere sì. Non siamo ancora arrivati a misure obbligatorie di guanti e mascherine nei luoghi più affollati, nemmeno per gli operatori che in quelle sedi ci lavorano, metropolitana e supermercati in primis.Le uniche misure fortemente consigliate in data odierna sono: lavarsi spesso le mani, usare fazzoletti usa e getta, chiamare in Pronto Soccorso se si presentano sintomi influenzali di qualsiasi tipo.Esempio cristallino del “concetto di prevenzione” britannico è stato il cartello A4 in aeroporto, che neanche 4 settimane fa recitava: “Se siete stati in Cina e in particolar modo nella provincia di Wuhan negli ultimi 14 giorni, fatelo presente alle autorità di frontiera”.

Da italiano che vive all’estero, che impressione ha delle misure drastiche fin qui adottate in Italia?
Non mi stupisce più di tanto la scelta di un auto-isolamento forzato, e non mi espongo in ambito medico, non avendo le competenze. Certo anche da lontano mi rendo conto che le misure creino non pochi disagi ai miei connazionali. Spero solo che l’approvvigionamento di beni di prima necessità e la redistribuzione di indennizzi per lavoratori colpiti da questa chiusura non vengano dati per scontati, ma che i “piani alti” continuino a lavorarci attentamente includendo più categorie possibili; ho molti amici e colleghi colpiti da questa emergenza che lavorano come me nel mondo dello spettacolo, spesso preso veramente poco in considerazione. 

Ritiene che, giorno dopo giorno, l’Inghilterra adotterà progressivamente misure analoghe a quelle italiane?
Allo stato attuale delle cose, molte direttive per gli impiegati di diverse realtà lavorative giungono dai manager, che però seguono solo banali linee guida dettate dal buonsenso, più che da misure di prevenzione imposte. Nei prossimi giorni molte decisioni dovranno essere prese su come fronteggiare il dilagare dei contagi, ma non percepisco una classe dirigente pronta ad un impegno di queste dimensioni, specie se il trend resta quello del “farebbe più danni all’economia la chiusura totale dettata dalla paura che il virus stesso”, ovvero un chiaro esempio di menefreghismo di massa nei confronti delle fasce più a rischio.

Secondo la sua percezione, quel è il sentimento degli inglesi rispetto all’epidemia?
In questi ultimi giorni in molti giovani comincia a prendere forma il pensiero su cosa fare durante un’eventuale quarantena forzata, per impiegare il tempo, e per ricalibrare le priorità in una città che lascia poco spazio a momenti di quiete vera. Tuttavia l’emergenza dal punto di vista medico di per sé la vedo ancora come una preoccupazione lontana dalla quotidianità londinese.

Ritiene che se le autorità lo chiedessero, gli inglesi sarebbero disposti a chiudersi in casa rinunciando allo stile di vita ordinario?
Non so prevederlo purtroppo, ma visto che la libertà di espressione e di movimento in qualsiasi ambito e a qualsiasi ora del giorno è tratto distintivo di questa metropoli (parlo per la mia esperienza diretta a Londra) aperta h24 da sempre, trovo che più di qualcuno esiterebbe a rinunciarci.
Credo che Gerardo ci abbia dato un quadro della situazione che conferma quando riferiscono i media.  Ma la sua esperienza diretta di “cittadino londinese” con passaporto italiano è veramente preziosa.Credo che tutti ci auguriamo che Johnson si renda conto come l’ “immunità di gregge” a spese dei vecchi e dei più deboli sia  inaccettabile nel 2020. E che gli inglesi, che imposero al loro Sovrano Giovanni senza terra la “Magna Charta LIbertatum” addirittura nel 1215, glielo facciano capire.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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