7 Luglio 2023 - 11.24

Turismo cafone, degrado e scelte sbagliate a Venezia: perché non cloniamo la città?

Umberto Baldo

Leggere un pezzo di Alessandro Cammarano è sempre un piacere, per la sua prosa semplice ma elegante, priva di fronzoli ma capace di andare con efficacia al cuore di problemi.

Il suo pezzo di ieri dedicato ai problemi di Venezia ne è un esempio, basato però non sul sentito dire, sui luoghi comuni, sulle periodiche notizie scandalistiche, bensì sull’esperienza “vissuta” di un soggiorno sia pure breve nella città lagunare.

Non ho nulla da aggiungere all’affresco di Cammarano sul degrado della città.

E’ un problema che conosciamo ormai da decenni, analizzato da migliaia di studi, dibattuto in innumerevoli convegni, illustrato e denunciato molto spesso sui media nazionali ed internazionali.

Siamo tutti d’accordo che “è uno schifo”,  che forse abbiamo superato il punto di non ritorno, ma nessuno in realtà sembra voler dare nuove prospettive alla città.

Perché è evidente che Venezia sta pagando le scelte e le incapacità delle classi dirigenti che si sono susseguite nel recente passato.

E con il passare degli anni la sporcizia, i comportamenti degradanti, il troppo permessivismo sono diventati il biglietto da visita di una città che, per storia millenaria e tradizioni culturali, proprio non lo merita.

E poiché nel nostro Veneto si dice “el pése spusa dala testa” è evidente a chi bisogna chiederne conto. 

Riflettendoci un po’ mi è venuto in mente che lo sviluppo economico di Venezia (per chiamarlo così) per certi versi è stato simile a quello del colonialismo europeo del Terzo Mondo, basato su forme di “estrattivismo” delle risorse, che ha portato inevitabilmente alla monocultura, alla spremitura ed alla rovina dei giacimenti, e alla fine alla disgregazione del tessuto sociale.

Fatte le debite proporzioni, a Venezia ad un certo punto, dopo la deindustrializzazione di porto Marghera, si è puntato sulla monocultura del turismo di massa, che ha drogato l’economia della città portandola ad una forma di disneyficazione in parco a tema. 

Un’economia in cui le regole sono dettate dai soliti noti e dai soliti interessi: porto, aeroporto, armatori, immobiliaristi, ristoratori, hotelier, e adesso anche i proprietari di migliaia di camere più o meno abusive che contribuiscono ad abbassare la qualità dei flussi turistici. 

Questi sono i veri problemi, non i cafoni che si lavano i piedi nei rii, che fanno i tuffi dagli edifici storici trasformati in trampolini, che fanno l’amore en plain air sul ponte degli Scalzi, che fanno i pic nic sotto i portici delle Procuratie, per non parlare delle bande di borseggiatori che calano quotidianamente a depredare i turisti in piena impunità. 

I cafoni ci sono perché non si sono volute fare certe scelte, e si sono voluti chiudere gli occhi di fronte ad un concetto talmente semplice che lo capisce anche la Siora Maria: vale a dire che il numero di turisti – o più correttamente escursionisti, cioè viaggiatori che soggiornano meno di 24 ore – che quotidianamente “invadono” Venezia è ampiamente maggiore rispetto alla capacità che la città ha di farvi fronte, dal punto di vista sociale, ambientale e urbanistico

L’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) definisce come capacità di carico il massimo numero di persone che possono visitare una destinazione turistica senza causare danni all’ambiente fisico, economico, socio-culturale e senza causare un deterioramento nella soddisfazione che gli stessi visitatori ne possono trarre. 

La  stime più attendibili ci dicono  che la capacità di carico di Venezia è pari a 7,5 milioni di visitatori annui, come valore ottimale, e a 12 milioni annui, come massimo inderogabile. 

Ebbene, secondo Italia Nostra, Venezia viene visitata ogni anno da un numero di turisti che si stima oscillante tra i 25 e i 30 milioni: più del doppio della capacità di carico massima che la città può sopportare senza collassare. 

Il risultato è quello che ha descritto Alessandro Cammarano nella sua testimonianza di vita vissuta; e cioè che la qualità della vita dei veneziani che ancora non hanno abbandonato la città si deteriora.

Se poi ai problemi di mobilità urbana (residenti che per spostarsi in città devono contendersi gli spazi con i turisti) si aggiunge la scomparsa delle attività commerciali di base, sostituite da negozi di paccottiglia, da ristoranti, da finti “bacari” gestiti da improbabili veneziani con gli occhi a mandorla (che siano arrivati con Marco Polo?) si capisce perché in città i residenti siano ormai circa 50mila, sempre in calo, con i più giovani in fuga verso la terraferma, a conferma che la città non è più a misura di residente, ma a misura di turista. 

Le istituzioni pubbliche veneziane e nazionali, che avrebbero dovuto “governare questo territorio, non sembrano, ad oggi, essere state in grado di bilanciare i diversi interessi. 

E così a prevalere e ad avvantaggiarsi sono state solo le lobby, indigene e straniere, che dall’incremento dell’afflusso di turisti ed escursionisti traggono profitto. 

La prospera economia urbana di un tempo,  quella formata da artigiani specializzati, colti professionisti, intellettuali, e capaci commercianti che storicamente avevano fatto la fortuna di Venezia, anche in campo internazionale,  ha progressivamente ceduto il passo ad una economia da parco tematico, dove qualunque prodotto o servizio offerto ha il valore vacuo di un brand.

E cosa sia adesso l’economia veneziana è risultato chiaro  dopo l’acqua granda del novembre 2019,che ha causato migliaia di cancellazioni e quindi un vuoto per tutta la città; e quando  qualche mese dopo è scoppiata la pandemia, e da marzo 2020 il turismo è praticamente morto, è risultato evidente che gran parte dei salari dei lavoratori a Venezia dipendono dal flusso di turisti in città. 

E questo non soltanto per i lavoratori dei servizi alberghieri e ricettivi ,ma per altre categorie: dipendenti del trasporto pubblico e privato, guide turistiche, commercianti di souvenir e di beni di prima necessità, ristoratori, lavoratori del mondo dello spettacolo e della cultura.

Se Venezia rappresenta a mio avviso la punta di diamante del fenomeno, leggo con piacere che proprio in questi giorni anche in altre città ci si comincia a porre il problema del cosiddetto “Overtourism”, cioè dell’impatto negativo che il sovraffollamento turistico ha sulla qualità di vita percepita dei residenti e/o sull’esperienza del visitatore.

Tutti i tentativi di trovare una qualche soluzione ai problemi di Venezia sono finora risultati vani.

E allora propongo una provocazione.

Perché non replicare la città in terraferma? 

Tanto se parco acquatico deve essere come adesso, tanto vale pena proporre ai turisti un qualcosa di prefabbricato; e le tecniche odierne ci consentono di fare una replica perfetta della città.

Così da un lato si riuscirebbe a salvaguardare la Venezia “storica” (magari cercando di rivitalizzarla con nuove e diverse attività economiche), e dall’altro a placare la sete di “selfie” delle masse di turisti mordi e fuggi.

Perché in fondo a questo tipo di turismo non interessano i musei, le pietre antiche, le tradizioni secolari.

A questi basta solo qualche selfie con alle spalle la Basilica o il Campanile di San Marco, da mostrare con orgoglio agli amici del barbecue al rientro in Usa o in Cina.

Ma allora, selfie per selfie, glieli facciamo fare in una città clonata !    

Tanto, siate certi che la maggior parte di loro, fra un panino ed un pop-corn, neppure se ne accorgerebbe!

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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