14 Novembre 2015 - 13.17

STRAGE PARIGI- Siamo in guerra, ora difendiamo il nostro pensiero e la nostra libertà

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Di Luca Faietti

E’ stata una notte di orrore e terrore quella che ha sconvolto la Francia e gettato in allarme tutti i Paesi del mondo che sono nel mirino dell’Isis, l’autoproclamatosi Stato Islamico che minaccia con le sue cellule terroristiche tutto l’Occidente.
Mentre scriviamo ancora non è certa la conta dei morti e dei feriti degli otto attentati portati simultaneamente da commandi organizzati militarmente che hanno fatto esplodere ordigni allo Stade de France, dove si giocava l’amichevole di calcio tra Francia e Germania alla presenza del presidente delle Repubblica Françoise Hollande, sparato su persone inermi in ristoranti e altre zone della città e sequestrato oltre 100 persone, per ucciderle metodicamente e senza pietà, nella sala per concerti Bataclan.
Parigi è oggi in stato d’assedio, con scuole e musei chiusi e al centro di un Paese che ha bloccato gli accessi alle frontiere e ha mobilitato anche l’esercito, a dimostrazione di quanto sia alto il timore che possano esserci altri attacchi e che l’emergenza è al massimo livello.
Nei commenti registrati nella notte è emerso che già da qualche settimana in Francia e a Parigi in particolare vi era stato un incremento delle misure di sicurezza, come se si presagisse che qualcosa potesse avvenire, ma molto più probabilmente che l’intelligence francese fosse riuscita a sapere che era in programmazione un’azione terroristica, di cui, evidentemente, non si è fatto in tempo a impedirne l’esecuzione.
Qui sta il primo elemento di valutazione di quanto è successo, cioè il ruolo che i servizi segreti svolgono di fronte a queste minacce.
Quelli francesi non sono riusciti a prevenire le stragi di questa notte e alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo lo scorso gennaio, come quelli inglese e spagnolo non avevano evitato gli attacchi a Londra e Madrid e naturalmente le agenzie per la sicurezza americane non avevano saputo evitare gli attentati dell’11 settembre 2001.
Evidentemente sono stati compiuti errori e i servizi del mondo devono trovare soluzioni immediate alle lacune che stanno evidenziando per fronteggiare questo tipo di situazione, posto che si tratta di metodi terroristici che cambiano nel tempo, si affinano e diventano sempre meno prevedibili.
Quanto avvenuto ieri a Parigi si è svolto in modo diverso dall’11 settembre, con metodi che rendono estremamente difficile il controllo di milioni di persone che girano liberamente per le strade, ma sotto il cappotto possono avere armi d’assalto da usare appena varcata la porta di un ristorante o di un teatro.
La prevenzione, le intercettazioni e l’infiltrazione in queste cellule, però molto limitate numericamente sebbene fra loro in contatto, altrimenti non vi sarebbe stata questa simultaneità d’azione può impedire che entrino in azione, sono alcune delle armi di Intelligence da utilizzare.
Ma si tratta di un lavoro meticoloso che deve coprire moltissima parte della popolazione e inevitabilmente lungo, mentre queste frange possono attivarsi e colpire velocemente anche perché lo fanno in luoghi circoscritti in poche persone con l’obiettivo di uccidere quante più possibile prima di venire eliminati.
Altro aspetto che rende molto complesso difendersi da queste situazioni è infatti che i terroristi pianificano l’azione senza considerare la variabile di mettersi in salvo, ma nella consapevolezza che la loro è un’azione suicida.
Questo fattore esclude quindi che il piano di attacco sia più complesso di uno che prevede un piano di fuga, che renderebbe l’attuazione meno semplice e probabilmente più facile da prevedere.
Ancora non sono noti gli attentatori, ma nel caso della strage alla redazione di Cherlie Hebdo gli esecutori erano cittadini francesi, residenti da anni nel Paese e con vite del tutto normali.
Questo elemento complica ulteriormente la prevenzione di un attacco, ma dimostra anche che nulla c’entra il tema dell’immigrazione che oggi qualcuno sta già iniziando a sollevare in riferimento alla strage.
Le tesi di costoro sono che tra chi sbarca sulle coste dell’Europa si nascondono terroristi che poi fanno scattare i loro piani criminali.
Vedremo cosa sapremo degli attentatori di Parigi, ma è un fatto che l’11 settembre avvenne in un Paese severissimo contro l’immigrazione come gli Stati Uniti per l’azione di persone entrate nel Paese con visti temporanei.
Nel caso di Londra, Madrid e Parigi al giornale satirico si trattava di ragazzi nati e cresciuti in quei paesi, da padri e madri immigrati che nulla avevano a che fare con il terrorismo.
In merito dovremmo se mai aprire una riflessione su perché giovani che vivono da sempre in un Paese occidentale rinneghino questo modello di vita per schierarsi con il terrorismo islamico, ma tutto ciò richiede un approfondimento.
Del resto va anche detto che tra i milioni di cittadini europei immigrati o nati da immigrati solo poche decine scelgono la via terroristica, quindi questo fattore non si può definire un problema di massa, ma la difficoltà della questione è proprio che, come successo questa notte a Parigi, bastano 8 persone armate e organizzate per mietere centinaia di vittime.
In questo senso il blocco delle frontiere può essere una misura da utilizzare in emergenza, ma non è la soluzione.
In primo luogo perché le celle terroristiche sono composte da un numero limitato di persone, che comunque potrebbero entrare nel Paese tra i pochi che venissero accettati o per chi vi arriva temporaneamente, come avvenuto l’11 settembre, ma soprattutto per una questione di resistenza culturale.
L’attacco che arriva dagli estremisti islamici verte infatti sul loro disprezzo del modello di vita e di libertà occidentale, minaccia il concetto assoluto che ci appartiene della sacralità della vita umana, che non è nella loro ideologia, e gioca sulla paura che suscita un attacco che colpisce nel cuore di una città.
La reazione che segnerebbe una loro vittoria sarebbe quella di cambiare il nostro stile di vita, ridurre le nostre libertà, portarci a chiuderci nel nostro recinto territoriale e culturale per adottare quello chiuso, retrogrado e medioevale che viene rivendicato dai terroristi, in nome di un integralismo islamico che non è patrimonio di tutti gli islamici.
Questo naturalmente è uno dei punti che più divide l’opinione pubblica italiana ed europea.
Sicuramente in queste ore sui social media, nel dibattito politico, sui tram e nei bar di tutte le città europee si scatenerà nuovamente l’odio verso gli immigrati la caccia agli islamici, sebbene siano cose diverse, ma fare distinguo non è l’obiettivo di chi esprime queste opinioni.
Già stanno circolando in modo virale i concetti che esprimeva Oriana Fallaci tra cui il fatto che “illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l’Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l’affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza, è contro Ragione. Accettare passivamente le sciocche o ciniche menzogne che ci vengono somministrate come l’arsenico nella minestra è contro Ragione. Assuefarsi, rassegnarsi, arrendersi per viltà o per pigrizia è contro Ragione. Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell’Avvenir è contro Ragione. E contro Ragione anche sperare che l’incendio si spenga da sé grazie a un temporale o a un miracolo della Madonna”.
In effetti, come sosteneva la grande giornalista in una latro passaggio, non si tratta di razzismo quando si esprimono questi concetti, perché la contrapposizione è a una religione e non a una razza.
Ma è insita nella nostra cultura occidentale, dopo la Rivoluzione francese, la netta distinzione tra la laicità dello Stato e la religione, da cui deriva nei paesi democratici e occidentali la libertà di culto perché non interferisce con la gestione del potere politico.
Sostenere che si debba fare una lotta verso chi professa la religione islamica e bandirla, significa sviluppare una guerra di religione, che pone la stessa al centro di scelte politiche e significherebbe per i paesi occidentali tornare a una logica di commistione tra potere temporale e potere religioso.
La netta divisione tra questi due poteri è alla base dei nostri Stati e del nostro stile di vita, mentre non lo è nei Paesi in cui la legge è quella dettata dalla religione islamica, proprio quei Paesi in cui si professa l’odio verso l’Occidente e trova il suo brodo di cultura il fondamentalismo che sfocia nel terrorismo.
Scegliere la religione cristiana come modello di riferimento dello Stato equivarrebbe a chi sceglie l’Islam e ci porterebbe a rinnegare quel modello di vita che i terroristi vogliono farci cambiare, ci porterebbe indietro di secoli, al loro livello e sarebbe la loro più grande vittoria.
La verità è che moltissimi musulmani nulla hanno a che fare con il terrorismo,non vogliono minacciare i nostri Paesi dove anzi vivono, cercando anche loro di fare quello che diceva la Fallaci “…difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza…”, in pace.
Non è un caso che la maggior parte delle vittime delle azioni terroristiche siano musulmane e vivano in Occidente perfettamente integrate e contente di farlo.
Accusarli tutti di essere come i terroristi non solo è sbagliato perché non è vero, ma sarebbe anche il modo per portarli dalla loro parte.
E’ in atto un’azione militare e una culturale.
La nostra vittoria culturale è impedire che i terroristi e il fondamentalismo islamico modifichino quello che siamo e farlo darà ulteriore forza e sostegno all’azione che gli eserciti devono contrapporre all’Isis.
Quello di stanotte è un attacco terroristico e come tale va trattato, con l’azione dei servizi segreti a difesa dei Paesi e cercando di sconfiggere il mandante che peraltro è molto ben chiaro essere lo Stato Islamico autoproclamatosi che sta incendiando la Siria e l’Iraq, anche per errori compiuti dall’Occidente nella gestione delle crisi di questi Paesi, tra cui non va mai dimenticata l’invasione dell’Iraq, sventolando prove false sul fatto che avesse armi di distruzione di massa.
Oggi Europa, Stati Uniti, Russia devono mettere da parte le questioni che li dividono, unirsi e alearsi con i Paesi arabi moderati in una lotta comune e senza tregua a chi minaccia la pace nel mondo, come si fece contro il nazismo.
L’Isis è la Germania di Hitler del XXI secolo.
Oggi sta utilizzando come arma il terrorismo, ma la sua azione si sta ampliando, quindi prima che la sua guerra diventi globale, va sconfitto al più presto.
Tutti insieme, con determinazione, coraggio, razionalità e unità d’intenti.
Con le stesse armi le popolazioni europee devono reagire all’onda di terrore che gli attentatori di Parigi vogliono scatenare, senza isterismi, senza generalizzazioni fuorvianti, con la consapevolezza che la paura va combattuta con la forza della nostra libertà.
Per citare il titolo dell’articolo che la Fallaci scrisse dopo l’11 settembre e il libro successivo, ma in senso opposto a quello che sosteneva lei, la Rabbia di noi cittadini occidentali deve essere la spinta per dimostrare che i terroristi e il fondamentalismo islamico non vinceranno, facendo cambiare il nostro modello di vita, che rappresenta il nostro Orgoglio.
Contro il Medioevo culturale, intellettuale e sociale che professa l’Isis, con la sua visione autoritaria e violenta della gestione del potere, noi possiamo opporre quindi la Forza della Ragione, che fu alla base dell’Illuminismo, su cui trova base la nostra cultura democratica, che si manifesta con la tutela e la valorizzazione della libertà di pensiero e di professione dei vari culti religiosi.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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