30 Agosto 2023 - 9.31

Sempre più diffusa la “giustizia fai fa te”

di Umberto Baldo

Solitamente si tratta di episodi cui non viene dato particolare rilievo dalla stampa, e direi che tutto sommato va bene così.

Ma ciò non toglie che parliamo di fatti che testimoniano un diffuso senso di disagio fra i cittadini nei confronti della macchina della giustizia nel suo complesso.

Tanto per fare qualche esempio, alcuni giorni fa a Roma, all’esterno di un ristorante di via dei Pastini poco lontano dal Pantheon, un giovane sta cenando e si accorge che una donna cerca di rubargli lo zaino appoggiato alla sedia.   Nasce un grande trambusto, immortalato dal solito residente (chissà perché in questo Paese c’è sempre uno con il telefonino in mano pronto all’uso!).

La ladra (per la legge presunta, anche se aveva la refurtiva in mano) una volta scoperta prova a scappare, ma viene inseguita e colpita a calci e pugni dai clienti, anche di altri esercizi vicini, e addirittura dai camerieri.  Nessuno ha chiamato Polizia o Carabinieri.

Forse perché la signora in questione era incinta del decimo figlio a soli 32 anni, e pur avendo accumulato condanne per 9 anni per lei non si sarebbero aperte le porte del carcere?

Giovedì scorso, in quel di Ostia un ragazzo di 16 anni si era arrampicato al primo piano di un palazzo per rubare. E’ stato scoperto dagli altri condomini, che lo hanno raggiunto mentre tentava di fuggire, e lo hanno pestato e preso a bastonate.   In questo caso a sottrarre il ragazzo (di origine cubana) alla furia dei cittadini, sono stati i Carabinieri chiamati da un collega residente nell’edificio.

Ma anche una manifestazione pacifica, come quella organizzata a fine luglio in ricordo di Michelle Causo, uccisa a 17 anni e abbandonata tra i cassonetti della spazzatura, si è trasformata in brutalità.     Alcuni amici hanno sfondato il portone della casa del suo assassino, sono saliti e hanno divelto i sigilli distruggendo i mobili fino a che la polizia non li ha bloccati.

ll 9 agosto la furia collettiva si è scagliata contro Davide Begalli, il pirata della strada che ha investito e ucciso nei pressi di Verona Chris Obeng Abon, 14 anni, fuggendo senza prestare soccorso. Una trentina di persone, con il volto camuffato, ha preso di mira la casa dove l’uomo è agli arresti domiciliari scagliando sassi. “Vieni fuori, che ti ammazziamo”, urlavano. L’adunata è partita dalla rete, dove finiscono tutti, senza distinzione.

Mi fermo qui perché non ho intenzione di trasformare queste riflessioni in un mattinale di Polizia, ma credetemi che potrei continuare a lungo nel riferire episodi di questo tenore.

Inutile dire che ormai tutto viene ripreso e regolarmente postato in Rete, dove questi video diventano immediatamente virali, fra applausi e manifestazioni di consenso. 

Certo talvolta ad andarci di mezzo sono persone del tutto innocenti ed estranee ai fatti, che magari hanno la sventura di essere omonimi dei criminali, la cui vita si trasforma immediatamente in un inferno. 

Come pure si sono aperti ampi dibattiti come quello innescato dal sito web MilanoBelladaDio che pubblicava i video delle borseggiatrici all’opera in stazione e sui mezzi pubblici.  Inutile il tentativo della consigliera comunale  Monica Romano di stigmatizzare questa moda: “La smettano, sia quelli che realizzano i video, sia chi gestisce i canali Instagram che li rendono virali, di spacciare la loro violenza per senso civico, perché non è senso civico. Non è così, trasformando le persone in bersagli, che si  ottiene giustizia”.      Inutile dire che è stata coperta di improperi e minacce via social.

Di fronte al crescendo di questi episodi non si può non porsi la domanda: possibile che improvvisamente gli italiani si stiano scoprendo tutti emuli di Charles Bronson nel suo indimenticabile “Il giustiziere della notte”? 

Provate a scorrere qualche forum in cui si parla di furti nelle abitazioni!

Troverete di tutto, e solo per darvi un esempio vi riporto un commento: “Il ladro entra in casa, io devo avere il diritto di sparare, e nessuno deve sindacare il mio gesto”.

Adesso è un po’ di tempo che non succede, ma penso vi ricordiate le polemiche che seguirono il caso di Graziano Stacchio, il benzinaio di Ponte di Nanto che di fronte ad una rapina ad una gioielleria, per salvare la commessa sparò e uccise un rapinatore.

Ce ne furono altri di casi analoghi, e sempre i concittadini si espressero nel senso di considerare “eroi” coloro che avevano sparato ai malviventi. 

Certo anche sulla spinta della pressione popolare la legge sulla “legittima difesa” qualche anno fa è stata modificata, ma pensate che se venisse indetto un referendum mirato alla “totale liberalizzazione“ della legittima difesa non verrebbe approvato con un plebiscito?

Ma allora dov’è il problema?

Forse anche nel fatto che ogni qual volta succede un caso di “giustizia fai da te” leggiamo i soliti commenti inorriditi delle anime belle, le solite manfrine, le solite lezioncine sulla immoralità dell’ armarsi, sulla inutilità di diventare tutti giustizieri.

Hai voglia a predicare, ma vi confesso che se io fossi il padre di una della due ragazzine di 13 anni violate nella loro innocenza a Caivano non so se saprei resistere alla voglia di prendere una pistola e farmi giustizia da solo.

Non male vero per uno che ha una laurea in legge e dovrebbe essersi abbeverato ai principi di Cesare Beccaria?

La verità è che nessuno dei commentatori si pone mai il problema che la sicurezza dei cittadini è una delle funzioni più importanti cui una nazione democratica e moderna deve assolvere. 

E pochi cercano di capire che chi vede una vita stroncata dal comportamento accertato di un pirata della strada, la violazione della libertà e intimità sessuale di una donna (ma vale anche per un uomo), l’aggressione violenta con o senza motivo di un soggetto per lo più fragile, fatica ad accettare che tutto si risolverà in un iter giudiziario lungo, a volte lunghissimo e complesso, e dall’esito incerto.

Ma se si vuole che in Italia i cittadini rifiutino di indossare i panni del “giustiziere della notte” per regolare i conti, lo Stato dovrà pur farsi carico di intercettare la sofferenza della gente, soprattutto togliendo la sensazione sempre più diffusa di una giustizia sempre in ritardo e senza certezza della pena.

I crescenti casi di “giustizia fai da te” danno l’impressione che in questa nostra Italia qualcosa si stia rompendo, o addirittura si sia già rotto.

Perché quando non si crede più nella giustizia, viene a mancare l’ultimo appiglio utile per avere fiducia nello Stato. 

E in questo stadio può succedere di tutto, in quanto il cittadino sente di dover ricorrere alle proprie e uniche forze per cercare di sopravvivere in quella che, ormai, vede solo come una giungla ostile.

Lo Stato non è questo. 

Lo Stato è unione, è giustizia.

Ma se non riesce a garantire le regole del vivere civile, soprattutto punendo chi le viola, prima o poi, inevitabilmente, ci penseranno i cittadini, da soli. 

Ricordiamolo, ma soprattutto lo ricordino coloro che ci rappresentano, perché un Paese dove si sta perdendo la fiducia nella capacità dello Stato di tenere sotto controllo i fenomeni di infrazione della legge, è un Paese che rischia di scivolare in forme più o meno gravi di anarchia.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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