5 Luglio 2022 - 9.36

PILLOLE DI ECONOMIA – Come sarà lo scudo anti-spread?

di Umberto Baldo

Ha voglia a dire Francesco Giavazzi, noto economista e consigliere di Mario Draghi, che la Bce sta sbagliando ad imboccare la strada del rialzo dei tassi, visto che l’inflazione in Europa è dovuta all’impennata dei prezzi dell’energia, e non ad un eccesso di domanda.
Ma provate a Presiedere un’istituzione come la Banca Centrale Europea, che è nata con la mission di contenere l’inflazione massimo al 2%, in questa fase in cui l’aumento dei prezzi in Europa mediamente supera ormai l’8%, con picchi del 10% come in Spagna, e con la Germania sempre terrorizzata dall’incubo Waimar.
E infatti la Lagarde che fino ad un paio di mesi fa continuava a portare avanti il mantra dell’ ”inflazione transitoria”, adesso è costretta a dire che l’inflazione nell’Eurozona “è alta in modo indesiderabile e resterà tale per un certo periodo”.
Su quanto potrà essere lungo quel “certo periodo” Madame Christine non si esprime, e già questo la dice lunga sull’incertezza del futuro.
Allineandosi alla politica di aumento dei tassi imboccata decisamente dalla Fed di Jerome Powell, la Bce sembra aver deciso che la stretta monetaria sia necessaria per impedire che l’inflazione si radichi, anche se ciò espone ad un rischio reale di recessione.
E’ bastato il solo annuncio del 9 giugno scorso della prima stretta monetaria dopo undici anni, e soprattutto della fine dell’acquisto dei titoli pubblici (Quantitative Easing) per gettare i mercati nel panico, e far impennare lo spread Btp-Bund.
Tanto da costringere la Lagarde a correre subito ai ripari annunciando il cosiddetto “scudo anti spread”, cioè un nuovo strumento anti frammentazione dell’area euro, che in estrema sintesi vuol dire contenere la variazione del differenziale fra titoli di stato, contrastando così una possibile crisi dei debiti sovrani.
Questo “scudo” è ancora in fase di studio, per cui non si sa quali potrebbero essere le sue caratteristiche, se non quelle indicate vagamente dalla Lagarde secondo cui “il nuovo strumento sarà efficace, proporzionato e conterrà salvaguardie sufficienti per preservare la spinta degli stati membri verso una politica fiscale solida”.
A tal riguardo io sono convinto che meno dettagli verranno forniti meglio sarà, perchè si corre il rischio di istigare i mercati a scommettere contro lo scudo anti-spread, qualora questo fosse percepito esiguo rispetto alle reali necessità di Paesi come Italia e Spagna.
E che questa possibilità esista è reale, in quanto la Lagarde non ha potuto pronunciare il famoso “Whatever it takes” (a ogni costo) di Mario Draghi, e da quanto è trapelato lo scudo non sarà automatico, non sarà incondizionato, e neppure illimitato.
Ci ha pensato Reuters a fornire alcune indiscrezioni su come potrebbe essere articolato questo strumento.
Citando alcune fonti della Bce, l’Agenzia di stampa ha scritto che la Banca Centrale Europea, per limitare l’allargamento del differenziale di rendimento tra titoli dei vari Stati, acquisterà obbligazioni emesse da Italia, Spagna, Portogallo e Grecia utilizzando parte del cash proveniente delle scadenze del debito tedesco, francese e olandese, che detiene in portafoglio.
A tal fine la Bce avrebbe quindi suddiviso i 19 Paesi della zona euro in tre gruppi, i “donatori”, i “beneficiari” e i “neutrali”, in base alla loro dimensione, e alla rapidità dell’aumento del loro spread negli ultimi anni.
Non sarebbe la prima volta che si parla di una tale divisione tra i paesi “core” della zona euro e i paesi cosiddetti “periferici”, in quanto la stessa venne ventilata all’inizio degli anni 2010, durante la crisi del debito della zona euro.
Il gruppo dei “donatori” dovrebbe quindi comprendere una mezza dozzina di Paesi del “nucleo” della zona euro, tra cui Germania, Francia e Paesi Bassi.
I “beneficiari” sarebbero indubbiamente i Paesi considerati dagli investitori più rischiosi per il peso del loro debito pubblico, o per la debolezza della loro economia, ovvero Italia, Grecia, Spagna e Portogallo (qualche anno fa definiti addirittura Pigs).
I “neutrali”, vale a dire paesi rimanenti, fra cui ad esempio il Belgio, dovrebbero fungere da polmone di riserva.
Da non trascurare che gli spread verrebbero misurati rispetto ai rendimenti dei titoli tedeschi, che farebbero di fatto da benchmark per l’intero blocco valutario.
Poiché il solo reinvestimento degli importi provenienti dai titoli pubblici dei Paesi donatori potrebbe non essere sufficiente, il nuovo strumento dovrebbe poter consentire alla Bce di effettuare, se necessario, nuovi acquisti per sostenere un determinato Paese, a determinate condizioni.
Queste “condizioni” potrebbero però avere carattere “politico”, nel senso che o potrebbero essere stabilite dalla Commissione Europea sulla base delle proprie regole di bilancio o raccomandazioni economiche, oppure dalla stessa BCE attraverso una valutazione della capacità del Paese di assumersi il proprio debito, come è avvenuto per la Grecia qualche anno fa.
La prima opzione proteggerebbe la BCE, scaricando le inevitabili polemiche sulla Commissione, ma la renderebbe dipendente da un’Istituzione più politica; la seconda, al contrario, rafforzerebbe il potere dei banchieri centrali, ma li esporrebbe alle accuse di ingerenza nelle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri.
D’altro canto io penso che difficilmente la BCE e Paesi del Nord Europa decideranno di privarsi di uno strumento di pressione politica sui governi del Sud Europa. Spegnere del tutto e indefinitamente lo spread significherebbe infatti non possedere più alcun potere negoziale, ad esempio con Roma, quando si discuterà di conti pubblici, risanamento fiscale e riforme economiche.
Non è un caso che leggendo queste “indiscrezioni” fornite della Reuters il pensiero corra inevitabilmente all’Italia che, è inutile nasconderlo, le dissennate scelte politiche di spesa degli ultimi decenni, ha trasformato nel “malato d’Europa”. Come non è un caso che, sempre Reuters, abbia reso noto che la Bundesbank, il 15 giugno al board della Bce, si sia già dichiarata contraria ad aiutare i Paesi maggiormente indebitati.
Siate certi che non appena saranno rese note le caratteristiche dello “scudo”, prevedibilmente il 21 luglio, i nostri Demostene si scateneranno con le solite litanie e piagnistei contro l’Europa e la Bce, accusandole come al solito di non capire le “peculiarità italiane”, e di voler condizionare la politica economica del nostro Paese, come a suo tempo fu fatto con la Grecia.
Non tenendo in alcun conto che è stata proprio “quella” politica economica a creare il macigno del debito italiano, tale da rendere ora necessario lo scudo, che potrebbe essere tranquillamente definito “scudo salva Btp”.
Ormai è un trito copione già scritto, cui abbiamo assistito infinite volte, che mira a nascondere che i nostri Demiurghi vorrebbero che i contribuenti tedeschi, olandesi, francesi, ecc., finanziassero a piè di lista senza fiatare, e senza obiettare nulla, i nostri Redditi di cittadinanza, Superbonus 110%, Quote 100, e tutti gli altri sperperi finalizzati a comprare il consenso degli elettori.
Ormai siamo al ridicolo, che si tenta di nascondere dietro uno pseudo nazionalismo provinciale e straccione.
Che si autoalimenta anche con autolesionistiche minacce demenziali di uscita dall’euro, che anche un bambino capisce che rappresenterebbe l’ultimo chiodo sulla bara dell’Italia.
Alla fine ci penserebbero i mercati a mettere a nudo la pochezza e l’inconcludenza dei nostri Demostene; ma a quel punto l’unica alternativa possibile sarebbe il tanto esecrato MES.
Umberto Baldo

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