29 Luglio 2022 - 8.36

PILLOLA DI ECONOMIA – Il tesoro perso nelle “scoasse”

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Ho già avuto modo di intrattenervi lo scorso 4 luglio, in questa rubrica, sulle svariate problematiche legate alle cosiddette criptovalute fra cui, da non trascurare, il fatto che l’investitore per dimostrare il suo credito abbia in mano solo un codice, tanto che si calcola che almeno il 20% dei bitcoin emessi siano andati persi, nel senso che sono nascosti nei meandri della Rete, ma i legittimi proprietari non possono accedervi perché hanno perso appunto quel famoso “codice”.

Oggi ritorno sull’argomento, rispolverando un caso di cronaca che alcuni anni fa fece grande scalpore, e che in qualche modo sta ritornando di attualità.

Non so se ricordate che nove anni or sono, nel 2013, il cittadino britannico James Howells fece l’errore della vita, buttando per errore nelle immondizie un hard disk sul quale aveva archiviato le sue chiavi di accesso di un wallet contenente circa 8000 bitcoin.

Roba da mettere la testa dentro un cappio per la disperazione!

Già perché, pur dopo il recente crollo della criptovaluta, scesa da circa 67.000 dollari a circa 22.000, il controvalore di quei bitcoin gettati nella spazzatura si aggira pur sempre sui 170milioni di dollari, e non è detto che non possa incrementarsi anche di molto se le quotazioni dovessero riprendere a salire. 

Inutile dire che Howells, oggi trentaseienne, negli scorsi anni non ha mai smesso di chiedere alla municipalità di Newport, nel Galles del Sud, di poter accedere alla discarica, per setacciarla, nella speranza di ritrovare il suo hard disk contenente il tesoro (i famosi codici).

Il Consiglio comunale della cittadina gli ha però sempre opposto un netto diniego, per paura di possibili danni ambientali, oltre che per il costo dell’operazione.

Ma se voi aveste una per quanto remota possibilità di recuperare 170milioni di dollari, anche se questo volesse dire rimestare 110mila tonnellate di immondizia, vi fermereste?

Direi di no, e non ha infatti  alcuna intenzione di farlo neppure Howells, che  nei giorni scorsi ha illustrato a Business Insider il suo nuovo piano per fare cambiare idea al Consiglio cittadino.

Inutile dire che si tratterebbe di un’operazione estremamente complessa che prevederebbe la presenza di personale specializzato, cani robot “Spot” di Boston Dynamics, e un nastro trasportatore con un braccio robotico intelligente capace di capire se sul nastro è presente un hard disk o semplice spazzatura.

Anche i tempi non sarebbe brevi.  Infatti, in base alle stime di Howells, la versione più imponente del piano richiederebbe 3 anni di lavoro e comporterebbe l’analisi di circa 110.000 tonnellate di immondizia, al costo di 11 milioni di dollari. Il piano B, invece, costerebbe 6 milioni di dollari, e richiederebbe circa 18 mesi.

Credo vada segnalato che in quest’impresa Howells non sarebbe solo, perché ad affiancarlo ci sarebbe non solo un team di specialisti, ma anche chi è disposto a finanziarlo; vale a dire Hanspeter Jaberg e Karl Wendeborn, due venture capitalist pronti a mettere su piatto gli 11 milioni di dollari necessari, qualora Howells riesca ad ottenere il via libera  dal Consiglio comunale.

Questi finanziatori sanno bene che cercare l’apparecchiatura è come cercare un ago in un pagliaio, ma sanno anche che la posta in gioco è alta, e se l’impresa dovesse alla fine riuscire, e l’hard disk risultare ancora integro ed i codici leggibili,  il guadagno sarebbe assicurato.

Si tratta di un business come un altro, con tutti i rischi relativi.

Come ogni impresa di un certo rilievo Howells ha elaborato anche un piano finanziario, che prevede che se dovesse recuperare tutti i Bitcoin, lui tratterrebbe per sé circa il 30% del valore, mentre il resto sarebbe così ripartito: un terzo al team di recupero, il 30% agli investitori, ed il resto ad iniziative a favore della città, tra cui la donazione di 50 sterline in Bitcoin a ciascuno dei 150.000 residenti di Newport.

Riuscirà James Howells a rompere il muro finora eretto dalla municipalità di Newport?

Difficile prevederlo, anche se alla fine, in caso di ulteriore diniego, potrebbe decidere di adire le vie legali.

Ed in tal caso la parola definitiva la direbbe così un giudice di Sua Maestà Britannica.

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