29 Giugno 2022 - 9.30

PILLOLA DI ECONOMIA- Fuga da Pechino

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Come noto la globalizzazione ha spinto un mare di aziende europee ed americane a trasferire parte delle proprie produzioni in Cina, trasformando l’Impero del Dragone nella manifattura del mondo.
Tanto che, per fare un solo esempio, la Apple pubblicizzava gli Iphone con lo slogan “pensati in America, assemblati in Cina”.
Pechino aveva assecondato alla grande questa tendenza, per il semplice motivo che portava lavoro e soldi.
Ed io, maliziosamente, aggiungo anche per carpire qualche segreto industriale, e fare proprie nuove tecnologie, così da essere in grado, in pochi anni, di progettare e costruire da sola certi prodotti, mettendosi in concorrenza diretta con l’Occidente.
Ma si sa che il mondo è in continua evoluzione, e quello che veniva considerato il paradiso delle multinazionali sembra sempre più trasformarsi in una gabbia.
Almeno questo si ricava dalla rilevazione annuale “China Business Confidence Survey 2022”, nella quale il 13% di imprese in più rispetto all’anno scorso dichiara che “fare business in Cina per le aziende europee sta diventando sempre più complicato e costoso”.
Ma a cosa sono dovuti questi giudizi sempre più negativi?
Cosa sta cambiando veramente?
Una cosa in realtà molto semplice: i cinesi hanno deciso che ai vertici delle aziende straniere vogliono gente loro, e ciò a tutti i livelli.
Il fenomeno non è nuovo, e già da una decina d’anni giovani cinesi sono stati catapultati d’imperio nel board delle aziende straniere.
Ma anno dopo anno questa presenza sta diventando sempre più ingombrante, e il personale viene reclutato esclusivamente tra i cinesi anche in settori delicati e sensibili come ad esempio le risorse umane, l’Information technology e lo storage dei dati.
A questo fattore va sicuramente aggiunta l’ossessione cinese per il “contagio zero” relativamente al Covid, con gli infiniti e durissimi lockdown imposti a milioni di residenti ma anche agli stranieri (fra cui il divieto di volare verso i propri Paesi), ed il rallentamento economico che ne è derivato.
Molti imprenditori lamentano anche che nel 2021 l’ambiente imprenditoriale è diventato sempre più politicizzato, e segnalano le sempre più numerose barriere normative imposte dallo Stato, che si trasformano in perdita di opportunità commerciali.
Non c’è dubbio che l’imposizione di personale cinese nelle imprese europee ed occidentali a tutti i livelli deriva dalla spinta del regime dei mandarini verso un controllo sempre maggiore, quasi ossessivo, dei dati personali.
In quest’ottica la Cina, che adesso ha raggiunto ottimo livelli tecnologici, in alcuni campi superiori a quelli occidentali, sicuramente non vede di buon occhio la presenza sul proprio territorio di manager e tecnici europei ed americani, che a mio avviso sono anche percepiti come potenziali spie.
In conclusione, il mix fra misure draconiane anti Covid, le incertezze per i futuri equilibri che potrebbero scaturire dal Congresso del Partito Comunista, la progressiva chiusura verso l’esterno, stanno inducendo da un lato molte aziende occidentali a spostare le attività produttive fuori dalla Cina, magari verso altri Paesi del sud est asiatico ( ad esempio Fincantieri, Pirelli, Benetton su stanno trasferendo a Singapore), dall’altro il personale europeo e americano a ritornare a casa.
La timida riapertura delle frontiere che si sta verificando in questi giorni, dopo lockdown infiniti, sarà una vera e propria prova del nove, specie per chi si era stabilmente traferito in Cina.
I primi aerei stanno già riportando a casa questi lavoratori dopo un blocco totale dei voli durato mesi anche per i residenti di lungo corso.
E’ evidente che il Governo di Pechino non si opporrà a quest’esodo, anzi lo favorirà.
Si tratta di un altro segno che il mondo sta cambiando.

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