8 Novembre 2022 - 8.44

Partito Democratico -Vocazione perdente

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Ma a vostro avviso un Partito che da trent’anni (trenta eh!) non riesce a vincere le Regionali nella più grande e ricca Regione italiana, dato che l’ultima Presidente di sinistra fu Fiorella Ghilardotti dal 1992 al 1994, e gli si offrisse la possibilità (non la certezza sia chiaro) di riprendere la guida di “Palazzo Lombardia” cosa dovrebbe fare?

E se in questa prospettiva sempre lo stesso Partito per vincere dovesse sostenere una candidata che non ha le “falci ed i martelli” che scorrono nelle vene assieme ai globuli rossi e bianchi, per voi dovrebbe rifiutare sdegnosamente in ragione di una mancanza di “limpieza de sangre de izquierda”, oppure fare politica, in senso machiavellico forse, ma pur sempre politica?

Non si tratta di un’ipotesi di scuola, bensì di una situazione che si è concretizzata nei giorni scorsi dopo che Letizia Moratti si è dimessa dalla Vice Presidenza della Giunta lombarda, spiegando con estrema chiarezza e con motivazioni forti pubblicamente rivendicate, di non riconoscersi più in una coalizione dominata dai sovranisti, e di non condividere le prime decisioni del Governo in tema di Covid. 

Matteo Renzi, che sarà antipatico fin che volete ma che resta l’unica vera mente politica in questa fase, subito dopo le dimissioni ha dichiarato a La7 “Se fossi il segretario del Pd chiamerei immediatamente Moratti”. 

Ma poiché sembra che per il Partito Democratico dietro ogni azione di Renzi ci sia il “Maligno”, immediatamente la leadership si è affrettata a dire che questa ipotesi non esiste, a nulla contando evidentemente che la rottura della Moratti con la destra potrebbe aprire obiettivamente un ampio spazio di manovra imprevisto per chi volesse contrastare la riconferma di Attilio Fontana, rimettendo in gioco le opposizioni.

C’è da restare allibiti di fronte al rigetto di questa opportunità.

Perché davanti a questi nuovi scenari il Pd o ritiene di avere la forza di mettere in campo una forza in grado di battere sia la destra-destra di Salvini e Meloni, sia la destra moderata di Letizia Moratti, oppure in alternativa cerca di trovare un accordo politico con questo pezzo di centrodestra in fuga dal salvinismo, per cercare di vincere in una Regione fino ad ora considerata non contendibile per la sinistra. 

Ma non riescono a capire quale potrebbe essere la reale portata di una vittoria in Lombardia?

Certo non avrebbe  ripercussioni automatiche sul Governo nazionale, ma Salvini nelle prossime regionali si gioca la sua sopravvivenza politica, perché la Lombardia costituisce una sorta di “Palazzo d’Inverno” della Lega e della destra, e la sua perdita rappresenterebbe un colpo mortale per  un Partito che naviga abbondantemente sotto il 10%, nonostante i tanti Ministeri concessi dalla premier Meloni. 

Se questa  ipotesi  dovesse concretizzarsi, alla Lega resterebbe il  Veneto: che però più che di Salvini è terra di  Luca Zaia.

Eppure, nonostante tutti questi ragionamenti, che la leadership di un Partito che voglia tornare ad essere vincente non si potrebbe permettere di trascurare, il PD, dopo aver dichiarato che un accordo con la Moratti non si può fare, sembra aver scelto un’altra volta la strada del candidato di bandiera, che al momento sembrerebbe  poter essere Carlo Cottarelli (appena eletto senatore), persona sicuramente degnissima e preparata, ma che dal punto di vista elettorale non sembra essere una carta vincente, visto che il 25 settembre scorso nel collegio di Cremona ha subito una batosta di ben 25 punti percentuali niente popò di meno che da Daniela Santanchè.

Certo è evidente che la Moratti non è di sinistra, ma come diceva Bismarck “La politica è l’arte del possibile, la scienza del relativo”.

E non è che il Pd negli ultimi anni non ce ne abbia fatti vedere di cambi di rotta e di incongruenze!

Basti pensare all’alleanza con Giuseppe Conte, al quale è stata data la patente di uomo di sinistra nonostante ai tempi del suo primo Governo avesse presentato sorridente e con la grancassa i famigerati (per la gauche)  Decreti Salvini, e con il quale si sta cercando caparbiamente di arrivare ad un patto stabile (l’ormai mitico campo largo), il che alla lunga a mio avviso potrebbe voler dire consegnare il Partito Democratico all’Avvocato appulo-chavista, come sembrano già registrare i sondaggi (Tg La 7 di Mentana del 7 novembre). 

Certo che, dopo aver invitato il Pd ad un’alleanza comune a sostegno della Moratti, Calenda e Renzi l’occasione non se la sono lasciata sfuggire, e la Signora, rotti gli indugi, ha già annunciato che si candiderà con il Terzo Polo.

In conclusione, è vero che sostenere Letizia Moratti avrebbe scontato una forte opposizione della sinistra-sinistra, che già non vede l’ora di perdere anche la prossima tornata  elettorale lombarda (sembra quasi che godano a far vincere le destre), e che candidando Cottarelli o chi altro il Pd manterrebbe l’immacolatezza gauchista, ma alla fine darebbe luogo all’ennesimo pasticcio.

Il che vuol dire che il Pd  in Lombardia rischia di replicare il modello, poco fortunato, delle politiche, con un’alleanza ristretta a Verdi, Sinistra e +Europa. 

E in terra lombarda non sarebbe determinante nemmeno un accordo con il Movimento Cinque Stelle, visto l’appeal che i grillini hanno in Lombardia, dove il Reddito di Cittadinanza non porta certo voti come nelle Regioni del Sud. 

Come sempre accade in questi casi i sondaggisti si sono fiondati, ed al riguardo è stata resa nota una rilevazione di Winpoll, che ha posto agli intervistati quattro diversi “duelli”.

Il primo fra Arturo Fontana ed il senatore dem Carlo Cottarelli e, in questo caso, a trionfare sarebbe il leghista con la maggioranza assoluta: il 51% contro il 43% dell’economista del Pd. 

Fontana la spunterebbe pure contro l’europarlamentare milanese Pierfrancesco Majorino, che riuscirebbe ad ottenere solo il 39% contro il 53% dell’attuale presidente di Regione. 

Fontana vincerebbe anche contro Francesco Maran, assessore della Giunta Sala, con il 52,5%contto il 39%.

Da ultimo, appunto, la sfida con Letizia Moratti, l’unica dalla quale Fontana uscirebbe sconfitto con il 43% contro il 49% della Signora.

Numeri che dovrebbero far riflettere a sinistra, ma a quanto sembra da quelle parti certe preclusioni ideologiche sembrano insuperabili, anche se condannano alla sconfitta e alla marginalità.

Contenti loro, contenti tutti, si potrebbe concludere.

Al momento mi sembra di poter concludere che, ripudiando la più elementare “tattica” politica, ma mantenendo la coscienza pulita, il Pd e la sinistra si apprestano a riconsegnare per l’ennesima volta a Salvini e alle destre la Regione Lombardia. 

Resta sospesa la domanda iniziale: se la sinistra continua a presentare questa destra come il peggiore dei mali, perché sciupare un’occasione forse irripetibile di accelerarne il declino?

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