18 Aprile 2023 - 18.21

L’incubo della cena di classe

di Alessandro Cammarano

Qualcuno potrà obbiettare dicendo che “c’è di peggio”, ma per chi scrive quanto sarà esposto a brevissimo equivale ad un asteroide che precipita su un centro abitato già provato da un’invasione di cavallette giganti porte da un’inondazione: stiamo parlando della famigerata cena di classe, ovvero di uno degli eventi più agghiaccianti da quando Alcuino di York istituì il primo sistema scolastico moderno nel Nono secolo della nostra era.

Già dal primo anno seguente alla Maturità qualcuno – che per comodità chiameremo “il Capogita”, ma potrebbe essere anche il ragionier Filini – comincia a perseguitare gli ex compagni proponendo raduni vari, picnic, bicchierate in allegria, spingendosi in casi più estremi ad ipotizzare settimane bianche o peripli delle isole croate in barca a vela.

Il Capogita è dotato di una tenacia degna di un padre inquisitore domenicano ed è difficilissimo dribblarlo, anche perché è bravissimo nell’arte dell’insinuazione melliflua, eccelle nell’adulazione, primeggia nell’esercizio della convinzione subdola: solo i più forti resistono, ma alla fine anche loro capitolano e dopo venticinque anni di “Mi dispiace ma proprio quel giorno devo rinvasare le mandragore” o “Verrei volentieri ma ho i girini in mutazione e non posso abbandonarli” devono accettare, con la disperazione nel cuore, il tragico invito.

La cena viene di regola organizzata in trattoria tipica perché – a detta del Capogita – “Si mangia bene e si spende poco”.

Ovviamente la realtà è un’altra: menù fisso con affettati misti da discount, bis di primi con gnocchi di segatura e bigoli paleozoici, tagliata di animale incerto – forse uro ­– grigliata per tre notti, contorni surgelati, tiramisù gastroenterico, caffè e limoncello; il tutto a quarantacinque euro mancia esclusa. Si conferma la propria presenza con l’entusiasmo con cui si affronterebbe una craniotomia e ci si prepara ad incontrare gli ex compagni di classe, compresi quelli che detestavi e che a loro volta ti avrebbero volentieri infilato la testa nel cesso.

Si arriva con eleganti dieci minuti di ritardo adducendo una spiegazione del tipo “Mi sono dovuto fermare al trentottesimo tornante per vomitare” – perché è più facile raggiungere una Meteora sul monte Athos che l’agriturismo “Miramonti da Gisella” – scoprendo di essere in realtà il primo dopo il Capogita Pragozzi: panico.

Pragozzi era già brutto in prima superiore, faccia devastata dall’acne e capelli unticci: adesso, divenuto capufficio in un ente pubblico, è pure peggiorato. L’acne ha lasciato crateri che il Mare della Tranquillità è una scalfittura sulla luna, mentre la chioma ancora folta sembra trattata con olio di balena.

Ovviamente prima di stringerti calorosamente la mano si ravvia il ciuffo; orrore, ma si fa buon viso a cattivo gioco cercando con lo sguardo una toilette ove potersi decontaminare.

Per fortuna arriva la Capobianco, ex figa della classe e oggetto dei desideri adolescenziali di mezzo istituto: per fortuna la si riconosce dagli occhi che sono rimasti gli stessi, perché il trascorrere degli anni l’ha trasformata dalla Venere di Botticelli alla quella di Willendorf e le minigonne mozzafiato hanno virato verso un caftano a rigoni modello cartomante. Però finalmente se la tira meno e adesso è lei – nonna separata – che ti corteggia; fuori tempo massimo. Era chiamata la genia delle lampade per l’assidua frequentazione del solarium (che andava di moda) ed ora ha irrimediabilmente la pelle di un’iguana.

Sorpresa! Malvolti, il nerd della sezione, quello a cui si tirava il cancellino e non si invitava alle feste, arriva a bordo di una Bentley fiammante e con addosso un patrimonio in abbigliamento. Porta sempre gli occhiali, ma è passato a montatura limited edition di titanio sabbiato con cristalli di rocca guatemaltechi e ci racconta che i programmini che sviluppava con il Commodore 64 li ha ampliati e messi a frutto: oggi è CEO di una multinazionale dell’informatica e guadagna in un giorno quanto tutta la scuola messa insieme in un anno.

La Capobianco si butta a pesce ma è rimbalzata in una frazione di secondo.

Per la legge del contrappasso Bacigalupo, che era lo sportivone belloccio, si presenta calvo e trasandato raccontandoci che alla fine si è sposato, ha otto figli e tira la carretta con lavori saltuari.

Momento di sgomento quando a fare il suo ingresso è una sventola galattica che, al netto di qualche ritocchino è veramente da copertina di Vanity Fair, spiazza tutti: ma chi è?

Sorrisi, abbracci e convenevoli: ma chi è? Brindisi, altri abbracci, altri sorrisi, altri convenevoli: ma chi è?

Nessuno se la ricorda e partono le illazioni: “Non sarà la Picchetti? No era più bassa” o “La Cianfroni? Mai avuto quello stacco di gambe”.

“Ma davvero non mi riconoscete?” cinguetta l’ospite misteriosa, “Eppure la voce dovrebbe dirvi qualcosa …”: momento di silenzio e pausa sgomenta, il Capogita deglutisce e azzarda “De Giacobbe?”.

“Certo che sono io! Sciocchi – dice la bellona – Alessio Maria De Giacobbe, da un po’ sono Maria Alessia e sono finalmente felice alla faccia vostra, branco di fessi che mi avete preso per il culo per cinque anni perché mi facevo la manicure tutte le settimane e potevo permettermi il gel di profumeria e non quello del supermercato. Ah, a proposito questo schifo di cena ve lo offro io”.

Alla fine, ogni tanto, alla cena di classe vale pure la pena andare.

Alessandro Cammarano

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