18 Aprile 2024 - 9.30

Le devastanti alluvioni negli Emirati causate dal Cloud Seeding, quindi dall’uomo

Erasmus

Le immagini di una pioggia torrenziale che si trasforma in breve in una alluvione sono sempre impressionanti.

Ma se fenomeni piovosi anche intensi possono rientrare nella normalità climatica di certe aree geografiche, lo sono sicuramente meno se interessano zone in cui solitamente “non piove mai”, come ad esempio la penisola Araba.

“Mai così tanta acqua a Dubai”, questo si sentiva martedì nei servizi giornalistici delle televisioni che riferivano dei forti temporali che si erano abbattuti sugli Emirati Arabi Uniti, allagando porzioni delle principali autostrade e l’aeroporto internazionale di Dubai, creando moltissimi disagi ai turisti, e  purtroppo anche la morte di numerose persone, 18 solo in Oman.

E le immagini che arrivavano dalle zone interessate (strade come fiumi, metropolitana allagata, scuole chiuse, fulmini a colpire i grattacieli, il deserto sott’acqua, tutti i voli cancellati) erano veramente apocalittiche, tanto che l’agenzia di stampa statale Wam ha definito la pioggia “un evento meteorologico storico”, che ha superato “qualsiasi cosa documentata dall’inizio della raccolta dei dati nel 1949”.

D’altronde se nell’arco di 24 ore cadono 254 millimetri, quando in media se ne registrano 94,7 in un intero anno, veramente si è trattato di un evento al di fuori della norma.

Di fronte ad un tale cataclisma, inutile negarlo, ormai viene naturale pensare che a scatenare certe forze della natura siano i cambiamenti climatici in atto. 

Ma per un puro caso la settimana scorsa, il 12 aprile per l’esattezza, mi era capitato di leggere un articolo in cui, partendo dalla constatazione che secondo le Nazioni Uniti già entro il 2030 quasi metà della popolazione mondiale vivrà in zone a stress idrico a causa della crisi climatica,  si constatava che in alcune regioni del mondo l’emergenza è già attuale, ed i Governi coinvolti sono al lavoro da anni per realizzare possibili misure idonee a limitare le conseguenze della siccità.

E guarda caso fra questi Paesi venivano citati proprio gli Emirati Arabi Uniti.

Immagino che i più smaliziati di voi, o anche solo i più interessati all’ecologia, abbiano capito che queste misure hanno un nome ben preciso: Cloud seeding, letteralmente “semina delle nuvole”.

E sempre nel citato editoriale si riferiva che in realtà sono anni che il Governo degli Emirati ha iniziato a ricorrere al “Cloud seeding”, tanto che ogni anno vengono realizzate 300 missioni, per circa 1000 ore.

Ma per completare il quadro, qualche mese fa il programma specializzato del National Centre of Meteorology (NMC) degli UAE ha annunciato  che sta lavorando all’introduzione di nuovi nanomateriali da usare nel Cloud seeding, che promettono di essere più efficienti; ed i meteorologi del programma nazionale hanno anche spiegato che sono già state  effettuate alcune missioni di veicoli aerei senza equipaggio. 

Capisco che a chi magari non ne ha mai sentito parlare il Cloud seeding possa sembrare fantascienza, ma in realtà non lo è, trattandosi di una pratica geo-ingegneristica che dovrebbe consentire di provocare precipitazioni meteoriche, o aumentare l’intensità delle piogge.

Niente di magico eh! 

L’inventore fu Vincent Joseph Schaefer, chimico meteorologo americano che, insieme al climatologo Bernard Vonnegut, misero in pratica la tecnica, scoprendo che il ghiaccio secco o altri composti, come lo ioduro d’argento, fungono da nuclei di condensazione; in altre parole favoriscono la formazione della pioggia all’interno della nube.

Quindi il  Cloud seeding era già stato immaginato (e tentato, seppur con scarsi risultati) nella prima metà del ‘900. 

Già negli anni ’40 si conosceva la tecnica per aumentare o provocare le precipitazioni. Decenni dopo, fece scalpore l’annuncio del governo cinese di inseminare le nuvole di Pechino per evitare che piovesse durante le cerimonie delle Olimpiadi del 2008.

Più recentemente, il Messico ha ammesso di aver utilizzato il Cloud seeding (almeno una volta l’anno a partire dal 2020) per contrastare la siccità che sta recando non pochi danni alle aree interne del Paese, mentre il Pakistan lo utilizzerebbe per abbattere i livelli di smog.

Comunque sia, ad oggi sarebbero oltre 50 i Paesi al mondo che hanno utilizzato o utilizzano il Cloud seeding per manipolare gli eventi atmosferici (i maggiori utilizzatori sarebbero gli Usa, la Cina e appunto gli Emirati Arabi Uniti).

In Italia questi esperimenti furono condotti tra gli anni ‘80 e ‘90 in Sicilia, Sardegna, Puglia e Basilicata, non a caso territori spesso soggetti a lunghe fasi siccitose, ma con scarsi o quasi nulli risultati rispetto ai costi elevati (anche se il primo anno in Puglia ci furono il 30% di piogge in più rispetto alla media).

L’inseminazione delle nuvole può essere fatta in due modi: o appunto tramite aerei che spargono le particelle sulla parte superiore delle nubi, o tramite cannoni che le sparano in cielo.

Credo che, dopo tutti questi discorsi, molti di voi si siano posti la fatidica domanda: la tecnica del Cloud seeding potrebbe essere stata la causa scatenante delle piogge record che hanno devastato gli Emirati? 

Lo immagino perché in quest’epoca di cultori del cosiddetto complotto delle “scie chimiche”, la tecnica dell’inseminazione artificiale delle nuvole diventa quasi un invito a nozze; anche se è notorio che le due cose non hanno nulla in comune, e che le scie non sono altro che condensa che si forma al passaggio di un aereo, composta da vapore acqueo e dai classici inquinanti prodotti dalla combustione. 

A questo punto, non essendo io né un fisico dell’atmosfera né un meteorologo, non sono certamente la persona più adatta a dare un responso definitivo sull’efficacia o sui pericoli del Cloud seeding.

Per cui non posso che limitarmi a dare conto delle diverse posizioni. 

Chi è favorevole sostiene ovviamente che i vantaggi sono quelli di avere più acqua dal cielo in particolare in zone aride, e di poter abbattere l’inquinamento.

Con un limite insuperabile però; che con il Cloud seeding non si possono creare le nuvole, ma solamente inseminarle, per cui in assenza di una adeguata copertura nuvolosa non si può fare nulla, se non invocare Giove Pluvio. 

Sarebbe invece molto lungo elencare gli argomenti di chi è contrario, per cui mi limito a dire che secondo molti ambientalisti il Cloud seeding sarebbe una risposta insufficiente ai problemi del cambiamento climatico e dell’inquinamento dell’aria, che è molto costoso e non ne è provata l’efficacia, che alcune sostanze chimiche utilizzate possono risultare pericolose sia per l’ambiente  che per la salute dei cittadini. 

Per non parlare dei possibili problemi meteorologici, in quanto le aree asciutte di solito non sono ben posizionate per gestire determinate condizioni meteorologiche e, quindi, possono essere facilmente allagate e causare più danni all’ambiente già in difficoltà.    Inoltre, si afferma che l’aumento della pioggia in un’area può avere l’effetto opposto sulle aree vicine, e le accuse di rubare la pioggia hanno causato anche dei conflitti in talune aree.

In conclusione, per cultura e forma mentis io sono portato a dare la massima fiducia alla scienza ed agli scienziati, ma mi rendo conto che, allo stato dell’arte, il Cloud seeding è ancora un progetto controverso.

Relativamente al diluvio negli Emirati, pur sapendo da Bloomberg che nei due giorni precedenti sarebbero state effettuate 7 missioni di Cloud seeding, mi sembra si debba evitare il consueto delirio complottista.

Non si può far finta di non sapere che l’inseminazione per funzionare ha bisogno che le nuvole ci siano, ed è quindi evidente che, in ogni caso, l’eccezionale ondata di maltempo negli EAU, e le alluvioni che ne sono conseguite, potrebbero essere state al massimo peggiorate dal Cloud seeding, ma non causate direttamente dallo stesso.

Ovviamente ciascuno è libero di pensarla come meglio crede, e se lo ritenete opportuno ci farebbe piacere leggere i vostri commenti al riguardo. 

Erasmus 

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