28 Maggio 2024 - 9.01

Indovina chi è un italiano?

Se potessi riassumere in due parole il livello del dibattito pubblico che i nostri Demostene ci stanno imponendo in vista delle elezioni europee, direi “Nulla cosmico”.

E’ evidente che i nostri grandi politici la partita di Bruxelles vogliono giocarsela fra loro, a porte chiuse, quando avranno in mano il risultato delle nostre scelte, e quindi hanno tutto l’interesse ad intrattenerci su temi possibilmente divisivi, di valenza “interna”, proprio per non disturbarli mentre tessono le loro tele oltre le Alpi.

Di conseguenza i temi che si sono fin qui più rincorsi, a venti giorni dalla elezioni, hanno interessato la Premier Giorgia Meloni che vuole farsi votare come “Giorgia”, e per contraltare la sua avversaria Schlein come “Elly”, un’ipotesi di Premierato che con l’Europa c’entra come i cavoli a merenda, le consuete inchieste che continuano a  mettere in luce lo stato tragicomico della politica italiana, le diatribe sui capilista, il dibattito “faccia a faccia” da Vespa, poi non autorizzato, e poco altro.

Debito pubblico?   Politiche economiche nazionali ed europee? Difesa comune? Maggiore integrazione fra Stati dell’Unione? Politiche migratorie? Gestione dei Fondi comunitari?  Integrazione bancaria?

Niente di tutto questo! O al massimo qualche accenno, senza indicazioni troppo precise od impegnative.

Forse Lor Signori pensano che noi italiani siamo una massa di deficienti analfabeti incapaci anche di capire tematiche forse considerate solo per “addetti ai lavori”!

Io credo che, molto più prosaicamente, in queste che dai Partiti sono considerate a tutti gli effetti elezioni di Mid-Term, le Forze di maggioranza non abbiano la minima intenzione di dirci come faranno in autunno (fra tre mesi eh, non fra anni luce) a far quadrare i conti di questa sgangherata Italia, e quelle di opposizione tendano ad evitare di sparare “qualche cazzata” in tema di gender o di tasse, tale da impaurire ancora di più il ceto medio, quei kulaki che mantengono tutta la baracca.

D’altronde, ammettiamolo, la stragrande maggioranza di chi andrà a votare nulla sa e nulla vuole sapere di come funzionano le Istituzioni europee. 

Al massimo non si va a votare. Già, perché a giugno, tra una vacanza e l’altra, c’è il forte rischio che per la prima volta possa andare ai seggi meno del cinquanta per cento della popolazione.

In questo “deserto dei Tartari” delle idee, è plausibile che sia diventato un argomento importante su cui dibattere e dividersi la candidatura del Generale Roberto Vannacci.

Credo sia inutile ricordare che il militare è assurto agli onori delle cronache per il suo libro auto-prodotto “Il mondo all’incontrario”, dove ha palesato le proprie idee un po’ su tutti i temi, fregandosene altamente del cosiddetto “politicamente corretto”; ma evidentemente si tratta di una “visione del mondo”, la sua, condivisa da moltissimi italiani, visto il successo editoriale del libro.

Cosa di cui si è reso conto il nostro Capitano Matteo Salvini, che ha fatto l‘impossibile, alla fine riuscendoci, per avere Vannacci nelle liste della Lega.

Vi ha già parlato in altri pezzi che quella di Vannacci è una candidatura “divisiva” anche all’interno del Carroccio, tanto è vero che Salvini non ha osato piazzarlo come capolista nelle circoscrizioni del Nord, viste la levate di scudi e le proteste che sono  pervenute dai leghisti di quelle regioni, Veneto in testa.

Ma non è questo l’argomento su cui voglio intrattenervi oggi.

Nella sua narrazione del “Mondo all’incontrario” il Generale se la prende con tutti: immigrati, omosessuali, femministe, ambientalisti, e con quella che chiama la dittatura delle minoranze”.  

Fra l’altro ha anche affrontato il dibattito sull’italianità, associandola a tratti somatici caucasici,   e facendo riferimenti storici a figure come Enea, Romolo, Giulio Cesare, Mazzini e Garibaldi, dei quali Vannacci ritiene “scorra una goccia di sangue nelle sue vene”.

Non contento, ha rafforzato il concetto chiamando in causa anche la campionessa azzurra di Volley, Paola Enogu, definendola: “Italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”.

Sorvolo sulle polemiche che sono scaturite da questi “paragoni”, sulle possibili conseguenze giudiziarie, e anche, a onor del vero, sui chiarimenti e sulle scuse presentate da Vannacci alla campionessa di pallavolo.

Mi interessa invece la ripresa del tema da parte della scrittrice  italo-senegalese Andy – Ndeye Fatou Faye, autrice del libro “Allergica al pesce. Hakuna Matata”, che in diretta nella trasmissione “Dritto e Rovescio”  di Del Debbio, su Rete 4 se l’è presa senza peli sulla lingua con il militare.

Ma cosa ha detto di così dirompente la ragazza?

Semplice, con tono provocatorio, ha spiegato: “La prima volta che l’ho visto ho detto: e sto turco che vuole? Invece di scrivere libri e venderli, si dovrebbe comprare uno specchio. A livello estetico, non rappresenta per niente l’italianità. Dovrebbe farsi un esame di coscienza e un test del Dna: scoprirebbe che da Vannacci a Mahmood, qui, è un attimo. Lui parla di italianità con riferimento a persone bianche, con tratti caucasici. Ma lui avrebbe tratti caucasici? Mi sembra quello che mi vende il kebab”.

Caspita: “Mi sembra quello che mi vende il kebab”!!!!  Paragone semplicemente dirompente!

Non stupisce che le parole di Andy– Ndeye Fatou Fayeè abbiano fatto il giro del web,  diventando rapidamente virali, scatenando ironie, ma anche sottolineando l’ipocrisia che gira intorno ai discorsi sull’italianità.

E qualcuno di particolarmente creativo ha pensato bene di proporre accostamenti fotografici sui social fra Vannacci ed il primo Presidente dell’Algeria Ahmed Ben Bella, di cui ne riportiamo uno nella foto. 

Possiamo girarci attorno fin che vogliamo, possiamo fare tutte le campagne mediatiche che vogliamo, possiamo anche reprimere qualsiasi rigurgito di razzismo, ma queste  polemiche riflettono le tensioni tuttora latenti nel nostro Paese riguardo all’identità nazionale e all’inclusività, evidenziando come il concetto di italianità non sia ancora del tutto definito nella mente della gente, e sia spesso strumentalizzato per escludere determinate persone basandosi su caratteristiche etniche e somatiche.

Che dire?

Che con il concetto di italianità bisogna andare sempre piuttosto cauti.

Perché se di questi tempi è sempre più normale (ma abbiamo visto che di gente che la pensa come Vannacci c’è ancora parecchia) considerare una persona di colore pienamente “italiana”, non occorre andare indietro di secoli per trovare situazioni e concezioni che adesso sembrano addirittura fuori dal mondo.

Pe fare un solo esempio, è storicamente provato (e documentato dal NY Times) che, all’epoca delle migrazioni, gli italiani non erano tutti uguali agli occhi degli americani, e dei loro Uffici immigrazione.

In una società come quella statunitense costruita attorno all’idea di whiteness, cioè della superiorità dei bianchi anglosassoni, era molto diffusa la convinzione che gli italiani non fossero del tutto “bianchi”, ma avessero nelle vene quella che i razzisti americani chiamavano “la goccia negra”.

Di conseguenza in particolar modo gli italiani del sud, con la pelle più scura, subirono spesso le stesse angherie dei neri su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Un esempio per tutti:  una vicenda del 1922, il processo “Rollins versus Alabama”. 

Jim Rollins era un uomo di colore accusato di aver commesso un reato estremamente grave nell’Alabama degli anni Venti: “miscegenation”, ovvero mescolanza di razze. 

Riconosciuto colpevole in primo grado, Rollins riuscì tuttavia a cavarsela nei successivi gradi di giudizio: la ragazza con cui aveva avuto la relazione proibita era infatti in realtà semplicemente una siciliana che aveva americanizzato il proprio nome. Dunque, per il giudice “ … non si poteva assolutamente dedurre che ella fosse bianca…”

E così gli  italiani del Sud che erano venuti nel Paese come “bianchi liberi” erano spesso contrassegnati come neri, anche perché erano costretti ad accettare lavori da “neri” nei campi di zucchero della Louisiana, o perché sceglievano di vivere tra gli afroamericani.

La morale della favola è quindi questa: come in politica Nenni ebbe a dire che «Gareggiando a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura», parlando di colore della pelle “ci sarà sempre qualcuno più “bianco” di noi”.

Erasmus

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA