25 Marzo 2024 - 9.23

Il Consiglio europeo dei “nulla di fatto”

Umberto Baldo

Quasi quasi ho una certa ritrosia ad affrontare per l’ennesima volta l’argomento Unione Europea, perché immagino le facce scocciate e gli “uffa” di accompagnamento.

Ma cosa volete, ognuno ha la sua croce, e la mia è quella di unirmi al coro di coloro che ammoniscono “badate che così ci facciamo del male!”.

Guardiamo i fatti.

Nel mentre i leader europei si riunivano a Bruxelles per il Consiglio Europeo del 21 e 22 marzo, in Ucraina Putin scatenava l’inferno con massicci attacchi notturni di missili terrestri marittimi e aerei indirizzati verso linee elettriche di alta tensione, la centrale nucleare di Zaporizhia, dighe, abitazioni, e finanche autobus.

Tutto questo  nel momento in cui  il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov dichiarava per la prima volta che la Russia è “in stato di guerra”.

Non sottovalutate questa ammissione, perché rappresenta una netta svolta rispetto alle disposizioni che imponevano fin dall’inizio l’uso dell’espressione “operazione speciale” per denominare l’invasione in Ucraina.

Come accennavo, tutto questo mentre a Bruxelles l’unica cosa concreta che si è riusciti a partorire è stato  un aumento dei dazi sul grano russo e bielorusso esportato verso l’Ue.

Niente da dire eh, ma questo fa capire che l’interesse reale dei nostri leader europei è solo quello del “sostegno al settore agricolo europeo”, al fine di contenere le proteste degli agricoltori che hanno messo a ferro e fuoco alcuni Paesi, e che oltre tutto a giugno votano. 

Tutto il resto a mio avviso sono macerie, o ad essere ottimisti pezzi da ricomporre.

Ne volete la prova?

Basta che clicchiate su questo indirizzo https://www.consilium.europa.eu/media/70898/euco-conclusions-2122032024-it.pdf per leggere le conclusioni del Consiglio, che a mio avviso rappresentano la quintessenza del “vuoto pneumatico”, che si cerca di nascondere come al solito dietro  il linguaggio diplomatico.

Se avete il tempo, ma soprattutto la pazienza di leggere il documento, vi accorgerete che in realtà vengono toccati tutti i punti sul tappeto, ma senza andare al là delle mere petizioni di principio, senza decidere nulla di concreto, rimandando qualsiasi decisione cruciale a dopo le elezioni europee di giugno, probabilmente con un occhio, o forse due, rivolti alle Presidenziali Usa che potrebbero riportare Donald Trump alla Casa Bianca, con le sue promesse di disimpegno dal fronte ucraino.

A me viene persino il dubbio che i nostri leader sperino in segreto nella vittoria del Tycoon, così che il venire meno dell’aiuto americano determinerebbe da un lato la vittoria di Putin, e dall’altro la liberazione dai nostri impegni di aiuto all’Ucraina.

Persino l’idea tanto strombazzata di usare i profitti dei beni russi congelati due anni fa per la difesa dell’Ucraina esce da questo summit solo abbozzata: non è diventata epicentro dello scontro, ma ci sarà ancora da lavorare per riuscire a erogare il primo miliardo di euro a luglio (ammesso che ci si riesca, dati i dubbi sollevati dalle grandi Banche europee).  

Nemmeno sulla guerra in corso in Medio Oriente le posizioni sono univoche, perché se pure si è riusciti a non litigare (ed è già tanto), e a partorire un invito alla cessazione delle ostilità, alla liberazione degli ostaggi, ed all’arrivo degli aiuti alla popolazione di Gaza, alla prova dei fatti Irlanda, Spagna e Slovenia hanno annunciato che riconosceranno lo Stato della Palestina, mentre gli altri almeno per il momento se ne guardano bene.

Peggio di così!  Sembra di assistere ad un corso su “come non si debba fare la politica”.

Ma c’è un paragrafo su cui credo vada la pena si soffermarsi (l’VIII – Preparazione e risposta alle crisi), e che preferisco riportarvi per intero: “Il Consiglio europeo sottolinea la necessità imperativa di rafforzare e coordinare la preparazione militare e civile e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce. Invita il Consiglio a portare avanti i lavori e la Commissione, insieme all’alto rappresentante, a proporre azioni volte a rafforzare, a livello dell’UE, la preparazione e la risposta alle crisi nel quadro di un approccio multirischio ed esteso a tutta la società, tenendo conto delle responsabilità e delle competenze degli Stati membri, in vista di una futura strategia di preparazione”.

Chi ha fatto un po’ di politica come me, capisce subito che queste poche righe sono state oggetto di mediazioni infinite, di pesatura e limatura delle singole parole, di discussioni su dove posizionarle (ed in effetti le hanno messe alla fine, un po’ defilate). 

Ed il perché risulta abbastanza chiaro leggendole.  

Perché, a mia memoria per la prima volta il Consiglio europeo mette nero su bianco il concetto che “bisogna preparare le popolazioni alla guerra….”

Lasciate stare il ridondante ed ingarbugliato linguaggio diplomatico, lasciate perdere le parole soft.

Il senso vero è che di fronte ad un mondo che sembra impazzito, ad equilibri geopolitici che molti vogliono abbattere per instaurarne di nuovi e con nuovi attori, a due guerre vicine (una in Europa ed una nel Mediterraneo),   ad un possibile  neo isolazionismo americano, anche nelle “fumisterie” dei Consigli di Bruxelles ci si comincia a rendere conto che forse esiste la “necessità imperativa di una preparazione militare e civile rafforzata e coordinata e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce”.

Ed il messaggio, pur criptico e nascosto fra le parole, è così chiaro che la nostra premier Giorgia Meloni si è affrettata a smorzare i toni specificando che “prepariamoci alla guerra vuol dire che dobbiamo essere più preparati alla gestione delle crisi”.

Già perché Giorgia Meloni, e quasi tutti gli altri premier europei, sanno benissimo che fra i loro concittadini ci sono una quantità di “pacifinti”, e spesso anche di filo-putiniani, che rifiutano finanche l’idea di una qualsiasi guerra, anche se questo volesse dire calare le brache di fronte al primo che si presenti alle frontiere con qualche carro armato.

Tanto per capirci, alcuni sondaggi prendono a campione Italia, Francia, Germania, Uk e Usa sul tema delle spese militari. In Italia (che ha la spesa più bassa, l’1,5%) solo il 17% dei cittadini pensa che debbano essere aumentate. Gli altri paesi sono tra il 41% e il 50%. L’Italia conta anche la percentuale più alta di coloro che le vorrebbero diminuire (31%). L’Italia ha anche la percentuale più bassa di sostegno all’Ucraina (45%) che è la stessa quota di coloro che si definiscono “neutrali” tra Mosca e Kiev.

Io mi auguro che tutte queste considerazioni, e preoccupazioni, siano scoppiate nelle Cancellerie europee venerdì sera di fronte alle immagini dell’assalto terroristico a Mosca, ed al pensiero delle possibili reazioni dello Zar Putin. 

Non so se la rivendicazione dell’Isis stornerà le attenzioni ed i sospetti dello zio Vladimir da noi europei, e dall’Ucraina in particolare, ma questo attacco nel cuore della Russia potrebbe essere un’occasione ghiotta per un qualche colpo di mano ai nostri danni (ricordate la favola “Il lupo e l’agnello” di Fedro?). 

Tornando al Consiglio europeo, mi sembra chiaro che la natura esistenziale delle sfide che abbiamo davanti sia sempre più evidente anche ai nostri Governanti (anche se alcune delegazioni, ad esempio Italia e Ungheria, hanno però sollevato dubbi perché la risposta a crisi militari e civili è una competenza nazionale, e non sono disposte a cedere sovranità su questi dossier).

Eppure se tutti almeno a parole concordano sulla necessità di “fare fronte comune”, quando si passa dalle parole ai soldi allora le cose si complicano.

E devo dirvi che mi angoscia vedere l’Europa limitarsi a parlare, concordando sulla necessità di un maggiore coordinamento militare, ma fermarsi quando si passa al problema di trovare le risorse per raggiungere questo obiettivo (sì o no agli eurobond, ed altre simili amenità).

Come mi spiace constatare che purtroppo siamo in presenza di società europee esauste, estenuate, guidate da piccoli uomini senza ideali, ispirati da una logica meramente bottegaia e mercantilista, preoccupati solo dalle scadenze elettorali, e di non disturbare le proprie opinioni pubbliche interessate solo al panem et circenses.

In fondo la pensavano così anche i romani del tardo impero, e si è visto come è andata a finire.

La storia ci insegna che solo i popoli che non hanno paura di mettersi in gioco, anche combattendo, alla fine prevalgono.

Noi europei, almeno a mio avviso, non siamo più fra questi, e probabilmente siamo arrivati al capolinea.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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