23 Marzo 2023 - 9.03

I nuovi equilibri del mondo che verrà

Che in questa fase si stia assistendo ad un tentativo di ridisegno degli equilibri geopolitici che hanno retto il mondo dopo il secondo conflitto mondiale, credo sia inconfutabile. 

In breve, dopo la fase della guerra fredda e della contrapposizione fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, con il crollo di quest’ultima, gli Usa forse si erano illusi di essere diventati l’unica potenza “imperiale” del mondo.

Ma si sa che, nella storia, tutti gli Imperi sono tramontati, inclusi quelli moderni e quasi contemporanei di Francia e Inghilterra, di cui resta traccia solo nel loro prestigio diplomatico e geopolitico internazionale.

E come sempre avviene, poiché in politica non sono ammessi vuoti, in questi anni stiamo assistendo ad una inarrestabile crescita, economica e militare, dalla Cina, che ambisce ad arrivare al 2050, primo centenario della rivoluzione comunista nel Paese, detenendo la leadership mondiale.

Ma in realtà il fenomeno è molto più complesso, ed in questo tentativo di ridimensionare il ruolo americano, dando vita ad un mondo “multipolare”, entrano in campo altri importanti Paesi.

Nel 22 giugno 2022 vi avevo proposto su Tviweb un pezzo dal titolo “ Il mondo visto dai Brics”, ripreso qualche giorno dopo, il 30 giugno, da un altro titolato “Iran e Argentina chiedono di aderire ai Brics”.

Se non ricordate Brics è l’acronimo di Brasile, Russia, India, Cina SudAfrica, Paesi che da soli rappresentano il 40% della popolazione mondiale, quasi un quarto dell’economia globale (anche se la quota cinese è largamente preponderante), ed il 25% delle terre emerse.

Ma se considerate che al nucleo iniziale stanno via via aggregandosi Nazioni come Argentina, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Iran, Kazakhstan, Nigeria, Senegal e Thailandia e Turchia, capite bene che molto probabilmente, facendo un po’ di conti, credo di non sbagliare nell’affermare che già ora il Pil dei Brics supera quello del G7.

Se il trend continuerà, con la Cina a fare da collante e da traino, credo che parlare di un mondo a guida Brics non sia più fantascienza. 

Certo c’è il dettaglio non trascurabile della forma di governo; nel senso che Cina e Russia non sono democrazie, neppure in senso orientale, e non hanno ancora detto se e come intendono realmente trasformarsi in futuro non dico in  democrazie, ma almeno in sistemi meno autoritari. 

L’India, a sua volta, è una grande democrazia, ma incompiuta; il Brasile oscilla fra istanze democratiche e ritorno al passato del ‘900 con i suoi periodi turbolenti, tipo l’ultimo scontro elettorale fra Bolsonaro e Lula; il Sudafrica è una democrazia ancora molto giovane, nata nel 1990 con Mandela e Desmond Tutu e il superamento definitivo della Apartheid.

Certo l’obiettivo evidente della Cina è quello di estendere progressivamente ruolo e peso dei Brics, sino a farne un vertice alternativo al G7, ma i “Mandarini di Pechino” non possono nascondersi la problematicità di tenere insieme a lungo una alleanza così complessa, tra culture e tradizioni distanti e non omologabili, al netto poi dei tentativi dell’Occidente di rompere quel fronte.

Resta comunque il fatto che è iniziata una partita a scacchi infinita, fra Brics e G7, riferita sia agli equilibri politici economici, sia a quelli strategici e geopolitici. 

Una partita che oggi ancora trova una sorta di sintesi, se così vogliamo definirla, solo nel G20, come elemento di raccordo, tra le alleanze multipolari esistenti e in divenire.

Vi faccio una domanda.

Pensate e scommettereste veramente che fra una quindicina d’anni l’Italia siederà ancora nel G7, il Gruppo dei Paesi più industrializzati, di cui fanno parte attualmente Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti?

E guardate bene che guardo alla cosa con freddo realismo, che mi suggerisce che il problema potrebbe riguardare non solo il nostro Paese, ma anche la Francia, l’Inghilterra, la Germania  e il Giappone ad esempio.

Io credo che potremo restare solo se il G7 resterà esclusivamente una sorta di “club delle democrazie occidentali industrializzate”, in cui questi Paesi si trovano e se la raccontano fra loro, in una sorta di “splendido isolamento”.

E piaccia o non piaccia, è molto probabile  che anche  gli Usa  si troveranno davanti ad un bivio, che li obbligherà a dover scegliere fra  l’accettare una geopolitica multipolare, che integri in qualche modo i Brics, o che comunque apra un modus vivendi anche con loro, ed il rischio di scivolare progressivamente a dimensioni scalari economico politiche e demografiche sempre più secondarie.

Ecco perché in questi nuovi equilibri planetari francamente non vedo posti di prima fila per la quasi totalità dei Paesi europei singolarmente presi.

Certo nessuno ci dirà formalmente di farci da parte, ma ci renderemo via via conto che nei luoghi dove si prendono le decisioni più importanti a livello mondiale noi non si saremo più. 

Ecco perché sono fermamente convinto che la cosiddetta “Europa delle Patrie”,  espressione cara a De Gaulle, ma condivisa anche dai sovranisti nostrani, nel nuovo ordine mondiale rischia di farci fare la fine di Atlantide e della Grecia antica, cioè di essere un retaggio del passato, un pezzo da museo;  a meno ovviamente di non avviare in tempi rapidi un processo di integrazione reale delle politiche economiche, diplomatiche, e di difesa della Ue, tali da superare le divisioni, gli egoismi,  l’isolazionismo involontario, permanendo i quali diventeremmo sempre più un vaso di coccio tra i vasi di acciaio di America e Cina-Russia  (e metto la Russia al secondo posto perché è evidente l’egemonia che Pechino sta sempre più esercitando su Mosca) . 

E badate bene che anche il fatto di essere un ricco mercato di 500 milioni di consumatori alla lunga non reggerebbe, e non ci garantirebbe di per sé un ruolo adeguato. 

Infatti l’ascesa di una nuova borghesia emergente di massa, in Cina, India e in molti altri Paesi del mondo, dotata di una capacità di spesa crescente, farà da contraltare alla crisi della classe media occidentale, in caduta libera ormai da molti anni. 

In altre parole le nuove economie determineranno nuovi mercati di élite, tali da spostare gli attuali equilibri degli scambi internazionali, ovviamente a favore delle economie emergenti, fra le quali includerei senza dubbio alcuni Paesi africani. 

Intendiamoci, non vedo tutto questo né per domani né per dopo domani, ma neppure per le “calende greche”. 

La storia di solito non ha uno sviluppo lineare, e talvolta procede per strappi.

La guerra in Ucraina in quest’ottica rappresenterà uno spartiacque ed un acceleratore, perché ha reso chiaramente evidente che esiste un mondo “non occidentale” che immagina un futuro diverso da quello proposto dalle nostre democrazie liberali, guidato da una Cina che non è una potenza in cerca di pace nel mondo, ma di guadagno e di influenza politica.

Certo possiamo anche far finta di niente, ma pensare che tutto continui come prima sarebbe solo una forma di masochismo miope, perché un’altra verità è che “non è possibile tornare indietro nella storia”, e certi “nodi” è meglio scioglierli prima di trovarsi con la corda attorno al collo.

Umberto Baldo 

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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