4 Febbraio 2022 - 12.17

Due giovani vite spezzate… e gli arresti domiciliari al loro (presunto) assassino

di Umberto Baldo

Cosa succede ogni qual volta vediamo un’immagine? Semplice, proviamo un’emozione. E spesso una foto è in grado di scatenate sentimenti più di mille parole.
E faccio fatica a descrivere lo sconcerto, la rabbia, che ho provato vedendo sulle prime pagine dei quotidiani veneti l’immagine di Dimitre Traykov, un imprenditore bulgaro da anni in Italia, ritratto sorridente mentre alza il pollice come a voler dire “tutto ok”.
Certo la foto è stata scattata in altri tempi, ed in altre situazioni, ma quel sorriso oggi suona quasi beffardo in rapporto alla tragedia da lui provocata, ed alle immagini di quelle auto ridotte a brandelli in autostrada.
I fatti sono stati ampiamente riportati dai media, ma per chi fosse stato distratto ricordo che domenica 30 gennaio lungo l’autostrada A28, tra Azzano Decimo e Villotta di Chions, una Fiat Panda su cui viaggiavano due giovani donne, una neonata e una bimba di due anni e mezzo, è stata travolta da un Land Rover Defender con al volante appunto Traykov, che dopo l’impatto è fuggito via a piedi, ed è stato poi fermato dalle forze dell’ordine.
Al momento dell’arresto gli è stato riscontrato un tasso alcolemico superiore di tre volte rispetto a quello consentito dalla legge.
Uno potrebbe sicuramente pensare: si tratta di uno dei tanti, troppi, incidenti mortali provocati da “delinquenti”, io almeno li definisco così, che si mettono in auto dopo aver alzato il gomito, incuranti dei rischi cui espongono se stessi, ma soprattutto gli altri utenti della strada.
Certo è così, almeno fino a quando le Autorità non decideranno di rendere obbligatorio nelle auto il cosiddetto alcol-lock, il dispositivo che blocca l’accensione della macchina se il conducente è ubriaco, ma la costatazione che quanto successo domenica scorsa è solo un altro anello della infinita catena di incidenti mortali che insanguinano ogni giorno le nostre strade, non può costituire in alcun modo un alibi per non fare nulla, o girare la testa dall’altra parte.
E sicuramente non basterà a ridurre il dolore e la disperazione dei genitori delle due cugine Jessica Fragasso, 20 anni di Mareno di Piave, e di Sara Rizzotto, 26 anni di Conegliano, decedute sul colpo, e delle due figlie di Sara, una neonata ed una bimba di due anni, ricoverate in ospedale in gravi condizioni.
Due giovani donne, entrambe figli uniche, che rientravano a casa dopo aver trascorso una giornata serena sulla spiaggia di Caorle, approfittando del sole fuori stagione, ma che a casa non sono mai arrivate, e che purtroppo non vedranno mai più, e due bimbe in tenera età private dell’affetto materno.
Dolore e disperazione che sono state acuiti quando si è saputo che il Gip di Pordenone ha concesso all’investitore gli arresti domiciliari, sia pure con l’applicazione del braccialetto elettronico.
A quella dei genitori si è aggiunta l’indignazione di un’opinione pubblica che si chiede legittimamente: “Come si può consentire che Traykov passi le sue giornate in attesa di un processo che non si sa quando si farà, agli arresti in un confortevole appartamento, seduto sul divano davanti al televisore, magari con un drink alcolico in mano, dopo aver colpevolmente strappato la vita a due giovani donne?”.
Come si può non tenere conto che l’investitore era già stato condannato in precedenza per guida in stato di ebbrezza, e quindi era recidivo?
Non conta proprio nulla che dopo l’incidente si sia dato alla fuga, cercando così di sfuggire alle proprie responsabilità?
Nella fattispecie va sottolineato che il Gip di Pordenone non ha violato alcuna norma, anzi ha applicato in senso letterale quanto prevede la legge, anche se la sua decisione potrebbe aver determinato quello che i giuristi latini definivano “summum ius, summa iniuria”, nel senso che la rigorosa applicazione della legge può diventare in certi casi un’ingiustizia.
Ma è legittimo che l’opinione pubblica, sconcertata dalla tragedia e dal trattamento riservato al presunto colpevole, si chieda quanto sia giusta questa legge?
Sì, a mio avviso è legittimo.
E’ legittimo perché Traykov non può essere visto come un positivo al Covid in quarantena presso la sua abitazione, bensì come un uomo che (si presume, formula che necessariamente dobbiamo usare) quando si è messo al volante ubriaco fradicio sapeva, o doveva sapere, che quel suo agire era rischioso e contrario alla legge, eppure non ha avuto alcun dubbio, ed è partito con il suo Suv ad incontrare il destino di Jessica e Sara.
E’ bieco giustizialismo quello dei famigliari delle due vittime che speravano che l’investitore venisse almeno trattenuto in custodia cautela in carcere?
Non è che chiedessero un linciaggio come usava in altre epoche, bensì, mi si consenta, un po’ di giustizia “sostanziale”.
Una giustizia sostanziale che, al di là delle fredde norme scritte sui codici, tenga nel debito conto anche l’allarme sociale, l’indignazione, la rabbia, suscitati da due morti incomprensibili, perché evitabili solo se il bulgaro avesse agito da buon padre di famiglia.
E nella fattispecie, nel caso di un arresto in “quasi flagranza” del reato, un po’ di rigore in più ci sarebbe sicuramente stato.
Come sempre in queste circostanze, al di là delle polemiche in punta di diritto, al di là delle perizie di parte, al di là delle linee difensive, resta la disperazione dei genitori delle vittime, che pur nella loro deplorazione per la concessione degli arresti domiciliari, come dichiarato ad un quotidiano locale “ sperano che dalla loro tragedia nasca una nuova consapevolezza, Che il loro caso sia quella goccia che fa traboccare il vaso e serva ad aggiustare una legge già modificata ma forse non ancora abbastanza”. Genitori che chiedono che “chi spezza vite umane perché si mette alla guida ubriaco debba stare in carcere, perché altrimenti sembra una provocazione per le famiglie delle vittime”. Che pongono al legislatore e a tutti noi questa domanda: “Vi rendete conto di cosa vuol dire entrare in casa e vedere la loro cameretta vuota, non sentire più la loro voce, sapere che un’auto assassina ha strappato i sogni di due ragazze con una vita davanti?”
No, questo dolore fortunatamente la maggior parte di noi non la ha mai provato, ma per il rispetto che si deve ai morti ed ai loro familiari, tutti noi dobbiamo fare pressioni sulla politica perché si affronti con la massima determinazione il fenomeno, e si ponga fine alla mattanza di decine di innocenti falciati da bolidi lanciati come missili da conducenti sotto l’effetto di alcol o droghe.
Lo dobbiamo alle vittime, ma lo dobbiamo anche alla coscienza di ciascuno di noi.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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