30 Luglio 2021 - 15.33

Agosto… è cambiato tutto!

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Luglio ci lascia, e domenica entrerà in scena Agosto.
Bella scoperta, è così da sempre, i mesi scorrono inesorabili, le stagioni si susseguono imperturbabili alle vicende umane.
Ma agosto nell’immaginario di noi italiani non è un mese come gli altri; è per antonomasia il mese delle vacanze.
Forse sarebbe meglio dire “era” il mese delle vacanze, perchè negli ultimi decenni le abitudini degli italiani sono profondamente cambiate per ciò che attiene la gestione delle ferie, sia per quanto riguarda i tempi che le modalità.
E la dimostrazione più eclatante di questo cambio di mentalità la si è vista nel tempo proprio in agosto, che una volta era riconoscibile per lo svuotamento delle città, mentre oggi le immagini delle città spettrali, con le strade completamente deserte, e con i negozi tutti chiusi, appartengono ai ricordi.
Era un costume diffuso in tutto il Paese, ed il Veneto non si discostava di molto, anche se l’assenza di grandi centri industriali come Torino e Milano, e la maggior parte della popolazione residente in piccoli centri, spesso a prevalente economia agricola, attenuavano il fenomeno.
In Veneto non c’era l’esodo il giorno successivo alla chiusura delle grandi fabbriche del nord, e le code infinite in autostrada erano per lo più dovute al traffico di attraversamento della nostra Regione da parte dei “vacanzieri” diretti verso le spiagge venete e non.
Oggi le città non si svuotano praticamente mai, soprattutto le città d’arte, se non altro per le masse di turisti che le invadono, con i B&B sempre pieni, trolley, check in, check out, file davanti ai musei e quant’altro.
In generale si può osservare che i tempi in cui viviamo, di globalizzazione, hanno cambiato di molto la percezione delle vacanze.
Un tempo era tutto diverso,
Prima degli anni 50/60, le vacanze come le intendiamo adesso, nel senso di spostamento verso le località turistiche, erano un lusso accessibile solo ai ricchi, e non a caso si parlava allora di “villeggiatura”, perchè i ceti agiati nei mesi estivi si spostavano nelle loro ville.
Ci sono intere biblioteche che illustrano quanto le 4.000 ville venete costruite nel corso di quattro secoli abbiano contribuito a dare forma ed armonia al paesaggio della nostra Regione.
Il primo cambio di passo avviene a cavallo fra gli anni ‘50 e ’60, passati alla storia come gli anni del “boom economico”, che vedono un netto miglioramento del tenore di vita degli italiani.
Le vacanze, come abbiamo visto prima un lusso accessibile solo ai ricchi, passo passo diventano disponibili anche al ceto medio, che comincia a potersi permettere qualche utilitaria, rigorosamente pagata a rate.
Con le 500, le 600, e perché no anche le “Vespe”, le vacanze al mare in particolare diventano una vera e propria conquista sociale, che permetteva al semplice impiegato, all’artigiano e al pizzicagnolo, di piantare il proprio ombrellone accanto a quello del noto professionista, del capoufficio, dell’imprenditore; scoprendo che “tutti in costume da bagno”, le differenze sociali si assottigliano, e si ridiventa più umani.
Come accennato sono gli anni della scoperta delle spiagge; per la montagna il discorso è un po’ diverso, in quanto rimane in quegli anni un turismo ancora di nicchia.
La mia famiglia scelse la montagna, e Sappada divenne la meta in cui trascorrere i mesi di luglio e agosto.
Già perché allora le vacanze erano mediamente più lunghe di quelle di adesso, ed un mese era il periodo medio in cui ci si godeva la villeggiatura.
Sappada allora era agli albori del fenomeno turistico, e dietro le case affittate a noi vacanzieri c’erano ancora le stalle con il fieno e le mucche, in cui i proprietari si ritiravano nei mesi estivi.
Si trattava di un turismo “fedele”, nel senso che per anni si sceglieva lo stesso luogo e la stessa sistemazione. Si finiva per ritrovarsi ogni anno con gli amici dell’estate con un anno in più, magari con la ragazzina che ti faceva battere il cuore.
Allora praticamente non c’era vita notturna in località come Sappada, a parte un locale che se non sbaglio si chiamava “Edelweiss”, e se qualche signora del giro approfittava di una serata per farsi qualche ballo, magari facendosi tenere i bambini da un’amica, ricordo ancora i commenti “sdegnati” della mattina dopo di mia madre e delle sue amiche.
A partire dagli anni ’60 e ’70 diventa quasi scontato andare in vacanza con tutta la famiglia per un mese intero, ed il rito si consumava quasi esclusivamente in agosto.
E’ il momento in cui si crea la mitologia delle località della costa adriatica come Rimini, Riccione, Cattolica, mentre le spiagge venete erano viste ancora come meta di vacanze meno “sfrenate”, più adatte alle famiglie.
Sempre in quel periodo prendono piede nuove modalità di vacanza, in campeggio o in camper, e si diffonde fra i giovani la novità di raggiungere il mare utilizzando l’autostop.
Gli anni ’90 invece vedono il boom delle vacanze low-cost, della durata variabile, con sempre più italiani a scegliere località straniere.
I giovani scoprono, con almeno 30 anni di ritardo rispetto ai coetanei europei, Ibiza, che diventa la meta di tutti coloro che sognano una vacanza all’insegna del divertimento sfrenato.
Il nuovo millennio ha dato una nuova luce al modo di vedere e di vivere le vacanze.
E’ cambiato tutto.
La rete è diventata insostituibile per la programmazione del viaggio e per le prenotazioni dirette.
All’automobile, sempre amata dagli italiani, si affianca lo spostamento in aereo, sempre più conveniente grazie alla nascita dei voli low cost, mentre si usa sempre meno il treno.
Su questo trend, ormai stabilizzato, è calato come una bomba il Covid, che ci ha costretto a ripensare certi riti di massa.
Non dico che le spiagge à la page, o le località montane più frequentate, non siano più nel cuore degli italiani, ma è indubbio che gli operatori segnalano nuove tendenze, in cui laghi, colline, campagna, e piccoli borghi si stanno prendendo una rivincita.
Sulla spinta della pandemia sembra cioè sia in atto un recupero del senso antico della villeggiatura, in cui si è portati a scegliere una dimensione stanziale, in una casa privata, magari in località fuori dai circuiti turistici, purché immerse nella natura.
Può darsi che il virus abbia innescato la voglia di non cacciarsi in situazioni congestionate e spiacevoli, spingendo la ricerca di scenari diversi, recuperando come originale qualcosa che riparta dal passato.
Come può essere che si stia affacciando un nuovo stile di vivere la vacanza con lentezza, con un altro modo di muoversi, cambiando il segno davanti a certi valori: ad esempio meno happy hour, meno sballo in discoteca, più musica di grilli e cicale.
Se questa tendenza si consoliderà ce lo dirà solo il tempo, ma in ogni caso la pandemia potrebbe segnare un prima ed un dopo anche per il turismo e le vacanze.
Umberto Baldo

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