Shutdown negli USA: il Paese si ferma, quasi un milione di persone senza stipendio… e il Italia è stand-by

Shutdown americano, Stand-by italiano”
Umberto Baldo
Negli Stati Uniti da oggi è scattato lo Shutdown.
Una parola che sembra uscita da un film di fantascienza, ma che nella realtà significa una cosa molto semplice: lo Stato federale spegne la luce e chiude la serranda.
Musei chiusi, uffici bloccati, centinaia di migliaia di dipendenti pubblici rimandati a casa senza stipendio.
Tutto perché il Congresso non ha approvato la legge di bilancio e Donald Trump non ha i numeri per imporla.
I Democratici non sono certo disponibili a rendere le cose facili a Donald “Fàso tuto mi”, per cui tireranno la corda fino a quando l’Amministrazione repubblicana non cederà alle loro richieste di sostegno a quel poco di sanità pubblica che esiste negli Usa.
In America funziona così: se non hai il bilancio, non spendi.
Stop.
Niente giochi di prestigio, niente “vediamo poi”, niente “ci pensa il prossimo governo”.
Un po’ brutale, certo, ma almeno la responsabilità politica è chiara come il sole: i cittadini vedono subito chi ha fatto saltare i conti.
Da noi in Italia (e in buona parte d’Europa) una cosa simile sarebbe impensabile.
Non perché siamo più seri, anzi.
Ma perché la Costituzione, previdente come una nonna che lascia sempre qualche soldo nel cassetto “per le emergenze”, ha inventato l’esercizio provvisorio (articolo 81).
Tradotto: se il Parlamento non riesce ad approvare la manovra in tempo, il Governo può tirare avanti mese per mese, con la spesa divisa in dodicesimi, però fino a un massimo di quattro mesi.
È un sistema che evita la paralisi americana, ma ha un suo prezzo: segnala al mondo intero che la politica italiana non è riuscita a fare i compiti a casa.
E nei mercati internazionali, fidatevi, non fa una gran figura.
Quali sono le differenze in poche parole?
Con il Shutdown americano il Paese si ferma di colpo, con conseguenze immediate e visibili.
Con l’ Esercizio provvisorio italiano la macchina dello Stato va avanti, ma in “modalità risparmio”.
Più che una soluzione, un messaggio subliminale: “scusate, non siamo riusciti a metterci d’accordo”.
Un tempo, però, l’esercizio provvisorio nel BelPaese era quasi una tradizione natalizia.
Fino al 1988, lo si è usato 33 volte: un’abitudine talmente consolidata che qualcuno lo considerava persino virtuoso, perché almeno per i primi mesi dell’anno si spendeva meno.
Poi è arrivata l’era dei vincoli europei, del debito pubblico alle stelle e delle agenzie di rating.
Da quel momento ricorrere all’esercizio provvisorio è diventato un po’ come andare a un colloquio di lavoro in ciabatte: tecnicamente lo puoi fare, ma perdi immediatamente credibilità.
Morale?
Negli Stati Uniti lo shutdown è il risultato della rigidità istituzionale e del muro contro muro politico: un po’ come dire “o passa la mia legge o vi faccio dormire tutti al buio”.
In Italia invece si preferisce l’arte dell’arrangiarsi: non spegniamo la luce, ma tiriamo la coperta finché dura.
Due sistemi diversi, stesso problema: la difficoltà della politica di guardare oltre domani mattina. Solo che gli americani si fermano e litigano, mentre noi ci accontentiamo di proroghe, decreti e soluzioni tampone.
In entrambi i casi, i cittadini capiscono una cosa: la legge di bilancio, che dovrebbe essere il cuore della politica economica, diventa spesso un enorme specchio delle incapacità di chi governa.
Umberto Baldo













