EDITORIALE – Dalla Moretti a Renzi, via Salvini, l’epoca dei narcisisti della politica
La dichiarazione di Alessandra Moretti, rilasciata nei giorni scorsi, per cui avrebbe perso alle recenti elezioni regionali del Veneto perché non aveva indovinato il look, presentandosi in modo troppo sobrio per attirare l’attenzione, ha segnato ormai definitivamente la nascita di una nuova specie di politico.
Il politico narcisista, che non solo accetta l’idea dominante che l’immagine diventi prioritaria sul contenuto delle proposte, ma questa concezione la fa propria e la implementa fino a teorizzarne e applicarne il suo sviluppo.
Certo è un esemplare di politico del tutto sconosciuto quando sugli scranni parlamentari sedevano persone come Alcide De Gasperi o Aldo Moro, come Sandro Pertini, Nilde Iotti o Enrico Berlinguer.
Donne e uomini che vivevano la politica come una missione, di cui concepivano e incarnavano la sacralità anche con la sobrietà di comportamento e di tenore di vita.
Invece oggi questa figura, che per la sua autorevolezza era riferimento nel Paese, è in via di progressiva scomparsa e impera la nuova versione nelle sue diverse fattispecie.
C’è il narcisista nel look, che come uomo non disdegna il pantalone attillato e un po’ corto, a volte in modo anche imbarazzante, e sembra appena uscito da qualche happy hour milanese, stretto in una giacca attillata e con il nodo della cravatta curato al millimetro, al pari delle basette e della barba.
Poi non importa che non ricordi esattamente se all’ultima votazione in aula ha approvato una missione in Siria o su Marte. La cosa importante e che all’intervista pomeridiana del TG4 o di Studio Aperto o in collegamento in diretta con Barbara D’Urso la pettinatura risulti a posto.
Questo prototipo di politico a metà strada tra il dandy e uno yuppie anni Ottanta e Novanta del secolo scolo, in cui si ritrovano soprattutto i più giovani, trova sponda nelle colleghe donne che non attraverserebbero piazza Montecitorio senza le loro scarpe con tacco 12 nemmeno se fossero inseguite da un’orda di black block.
Indomite, avanzano a passo di carica, in genere con una borsa che potrebbe contenere il dossier sul caso Ustica, di cui sanno per certo solo che è un’isola, e lasciano una scia profumata che convincerebbe a votarle anche il leader di un qualsiasi partito avversario.
Non mancano naturalmente per entrambi i sessi, dai rampanti alle amazzoni moderne, i loro contatti con le redazioni più importanti, tra cui figurano per dovere istituzionale i giornali politici ed economici, ma in cima alla rubrica ci sono i cellulari di Alfonso Signorini e Roberto Alessi, perché almeno una volta al giorno è indispensabile mandare a Chi e Novella 2000 una loro foto.
Sia mai che il mondo si dimentica di loro.
Ma non c’è naturalmente solo il narcisista dell’immagine, c’è anche quello della parola.
Il politico talmente innamorato della sua voce che appena vede un microfono si precipita a esprimere la sua opinione e si cura di farla più rutilante di quella del giorno prima, in modo da conquistare un titolo nei tg e sui giornali.
Così da avere dato un senso alla giornata.
Un professionista in questa specialità, che se fosse ammessa alle Olimpiadi ci garantirebbe certamente una medaglia d’oro, è il nostro prode Matteo Salvini, che appena può infila in un discorso, anche sulla ricetta della polenta taragna, la parola “rom”, “ruspa” e la frase “con i soldi nostri”, sperando di non mischiarle per non dare un senso opposto a quello che vuole dire.
Immancabile è poi il suo richiamo agli avversari politici o a chi non condivide le sue idee il richiamo ad andare a lavorare, evidentemente nella convinzione che invece il suo girovagare per studi televisivi sia davvero un mestiere.
Ma certo i generi della specie politico narcisista possono essere molteplici e una citazione merita sicuramente quello silenzioso, che, imbucato e un po’ voyeur, deve sempre apparire in televisione, ombra silenziosa e un po’ inquietante, alle spalle del leader del suo schieramento, probabilmente per fare registrare lo spezzone dalla moglie o dal marito a casa e poi propinarlo agli amici, come una volta si imponeva la visione delle diapositive delle vacanze.
Su tutti, una volta naturalmente c’era lui, il Cavaliere, Silvio Berlusconi, che ha quotidianamente tenuto lezioni agli italiani su come si coltiva il culto di se stesso. Dall’immagine, mai sarebbe apparso in pubblico con i capelli in disordine o il viso privo di adeguato make up, alla parola, con la quale portava allo sfinimento anche suoi fedeli sostenitori come Bruno Vespa, che più volte è andato a un millimetro dal cedergli la conduzione di Porta a Porta e passare dalla parte dell’ospite.
Passata con gli anni la sua epopea, che ancora regge per i fedelissimi, è apparso sulla scena il suo discepolo, oggi sulla via per superare il maestro.
Chi se non Matteo Renzi, che esca da una macchina, entri in una sala, passi in rassegna un picchetto d’onore, incontri un leader straniero ha il passo e il ghigno del bullo di quartiere, che ha maggiore successo con le ragazze e gli amici invidiano.
Un po’ come Fonzie di Happy Days, al quale si ispirò quando andò ospite da Maria De Fiiippi in giubbino di pelle e maglietta, tradendo la sua reale aspirazione di diventare una star televisiva prima che un politico, che però si specchia ogni giorno nel consenso di cui non può fare a meno.
Per questo frequenta solo luoghi ed eventi dove non ci sono contestazioni, perché altrimenti dovrebbe accorgersi che l’immagine che riflette il Paese non è solo quella che lui vuole vedere.
Come Narciso illudeva se stesso, Renzi adatta la realtà alle sue volontà e oggi arriva a contestare programmi di approfondimento politico, come Ballarò e Di Martedì, che quando puntava a guidare il Pd e il Governo frequentava un giorno sì e un altro anche, in una rincorsa bulimica all’ospitata.
Altri tempi, come quelli in cui il Partito Democratico faceva le primarie per designare i propri candidati a qualsiasi elezione e Renzi piagnucolava che avrebbero dovuto essere più aperte possibile e non solo destinate agli iscritti, mentre oggi sono diventate un ostacolo al suo decisionismo e quindi non s’hanno da fare, come pare si sia intenzionati per scegliere il successore di Marino alla corsa di sindaco di Roma.
Ma evidentemente cambiare opinione secondo le convenienze è una forma di narcisismo anche quella, ma così estrema che noi non possiamo neanche immaginarla, figurarsi condividerla.














