3 Aprile 2017 - 8.31

VENETO- Terrorismo islamico: troppe chiacchiere pochi fatti

Quando il terrore è solo parlato

Pagine di giornale e aperture di notiziari per dare notizia dell’arresto di tre camerieri kosovari sospettati di voler far saltare in aria il ponte di Rialto a Venezia. La loro jihad era fatta solo di parole e rischiano di essere assolti. Come è quasi sempre successo in passato.

Guardare un tutorial sul web per imparare come usare un coltello è un delitto in Italia? No, fino ad oggi no. Dire al telefono che si desidera mettere una bomba è un reato in Italia? Non risulta. E allora per quale motivo Dake Haziraj, 26 anni, il suo coinquilino Fisnik Bekaj di 24 anni e un ragazzo di 17 anni sono stati arrestati la scorsa settimana insieme a Arjan Babaj 27 anni?
Sono tutti originari della ex Jugoslavia, hanno conosciuto fin da bambini la violenza della guerra in Kosovo e almeno uno di loro, Bekaj, è tornato in Europa dopo aver combattuto in Siria come foreign fighter. “Si autoaddestravano a compiere attentati – ha detto il procuratore di Venezia Adelchi D’Ippolito – facevano esercizi fisici e seguivano tutorial su internet per affrontare combattimenti con il coltello, imparando come uccidere in modo rapido ed efficiente”. Detto così, la cosa più pericolosa che facevano era fare ginnastica…

Le forze speciali di polizia e carabinieri sono entrate in azione alle quattro del mattino e hanno fatto irruzione nelle case dei quattro camerieri e li hanno ridotti all’impotenza. Saranno stati armati, direte voi. No, non sono state trovate armi se non delle pistole giocattolo. Beh, ci sarà stato almeno dell’esplosivo se contavano di sterminare i miscredenti facendo saltare il ponte di Rialto… Eh no, niente esplosivo. Nel corso delle perquisizioni non è stato trovato proprio niente. Siamo, come purtroppo è accaduto molto spesso negli ultimi anni, nel campo del “terrorismo parlato”, delle espressioni violente che vengono intercettate dagli investigatori, delle immagini postate su Facebook o delle pagine che vengono visitate in rete e ugualmente intercettate e vagliate dal sistema di prevenzione anti-terrorismo. Basta questo quadro a fare dei tre camerieri e del loro amico minorenne dei terroristi? Il passato dice di no.

La vicenda che non andrebbe dimenticata è quella di quattro algerini che erano stati catturati a Vicenza nel 2006: si trattava dei fratelli Farid e Nabil Gaad, di Khaled As e di All Touati. Indicati dalle indagini dei carabinieri del Ros come pericolosi aderenti al Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento erano stati trovati nelle loro case di periferia insieme alle loro famiglie. Anche loro avevano visitato i siti sbagliati, detto le frasi sbagliate e forse sostenuto una vaga idea di guerra santa. Erano rimasti in carcere 376 giorni solo per essere poi assolti in tutti i gradi di giudizio. La cassazione ha imposto di risarcirli almeno con 80 mila euro a testa. Assolti e risarciti.

Peggio è andata a Abdelkader Toubal e Djelloul Halimi. Sulla base dei soliti elementi di sospetto erano stati arrestati a Vicenza il 26 gennaio 2004. Il tribunale di Vicenza, la corte d’appello di Venezia e persino la Cassazione hanno detto che a loro carico non vi erano gravi indizi di colpevolezza. Nel frattempo i due sono stati espulsi con un procedimento amministrativo contro il quale non si sono opposti.

Solo in un caso il tribunale di Napoli ha ottenuto la condanna di Yamine Bouhrama, Khaled Serai e Mohamed Larbi. Erano tutti passati per il Vicentino e nelle intercettazioni dicevano di essere disposti a farsi saltare in aria dentro la caserma Ederle. Era il 2006

La mia impressione è che questa, come altre, sia la dimostrazione che in Italia non abbiamo abbastanza poliziotti e che non ci sono fondi sufficienti. I tre camerieri Kosovari potrebbero avere ottime ragioni per essere radicalizzati: la loro esperienza è che l’Europa non ha fatto certo molto per evitare stragi nella vicinissima ex Jugoslavia degli anni ’90. Hanno conoscenza diretta di combattimento, sono stati in Siria, si sono avvicinati alle pratiche di Isis e alla ideologia del Califfo. In effetti sono candidati ideali per diventare terroristi, ed è ovviamente per questo che, quando entrano in Italia, finiscono nel mirino dei controlli. I poliziotti li sentono, li ascoltano, li tengono sotto controllo e loro parlano e straparlano, forse immaginano o persino sognano di far saltare in aria il ponte di Rialto.
Cosa bisognerebbe fare a questo punto? Tenerli sotto stretta sorveglianza in modo da intervenire quando si armano, quando si procurano l’esplosivo, quando insomma hanno fatto qualcosa di illegale.
Cosa si fa in realtà? Si interviene troppo presto, perché si teme di perdere di vista i sospetti, perché una sorveglianza prolungata per mesi rischia di drenare troppe risorse, perché appunto i poliziotti sono pochi e i sospetti sempre di più. Questi finiscono in carcere e intanto ce li siamo tolti di torno, che un giorno vengano condannati non è una priorità.

Direte che in questo modo l’anti-terrorismo italiano sta avendo successo: in fin dei conti in Italia non ci sono stati attacchi paragonabili a quelli di Francia, Belgio, Germania e Inghilterra. E’ vero, ma se le risorse sono poche temo che prima o poi scopriremo che non è merito nostro, ma dei terroristi che qui non vogliono colpire, per ora…

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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