21 Agosto 2020 - 10.09

Scuola? L’unica vera soluzione è potenziare la didattica a distanza

Benjamin Franklin soleva dire che “Al mondo di sicuro ci sono solo la morte e le tasse”. Ne deriva che tutto il resto è aleatorio, a maggior ragione se discettiamo del virus che sta circolando nel mondo, e di cui ad oggi gli scienziati ammettono di sapere ancora molto poco.
Nei giorni scorsi su Tviweb ci siamo chiesti se le scuole riapriranno, come annunciato, il prossimo 14 settembre. Oggi ritorniamo sull’argomento perchè, com’era inevitabile, giorno dopo giorno la scuola sta diventando sui media e sui social il tema centrale del dibattito, politico e non.
Io credo vada fissato in primis il principio che in tema di Covid-19 il rischio zero non esiste.
Per cui a mio avviso suonano un po’ false le dichiarazioni del Ministro Azzolina, dei politici e degli scienziati, secondo cui si sta lavorando per assicurare un ritorno nelle aule in “assoluta sicurezza”.
Mentono, sapendo di mentire. L’assoluta sicurezza è e resterà una chimera, e lo dimostrano i tentennamenti, gli stop and go, i dubbi, le domande inevase e le riposte ambigue, cui assistiamo quotidianamente, ed i contenuti delle linee guida, continuamente cambiate, che di certezze ne offrono veramente poche, e che spesso sembrano rispondere solo alla logica del “un colpo al cerchio ed una alla botte”.
Oggi cercheremo di approfondire qualche nodo essenziale del problema, guardandolo con gli occhi non della propaganda interessata, bensì con quelli del cittadino comune, delle mamme e dei papà, che in questa fase sono giustamente disorientati, preoccupati, confusi ed infelici.
E lo sono perchè hanno l’impressione che i ragazzi, ma anche il corpo docente, siano oggetto di una sorta di sperimentazione.
E come biasimarli, se a poco più di venti giorni dal “D day” tutto è ancora nebuloso, tutto ancora vago, tutto ancora da definire.
Tanto che, a fronte delle carenze sempre più evidenti, il 14 settembre sta diventando una data, come dire, “indicativa”, visto che la Puglia ad esempio ha deciso di postergare la riapertura al giorno 24, ma un po’ tutte le Regioni stanno procedendo in ordine sparso e con regole difformi.
Il fatto è che nessuno vuole considerare i ritardi storici del nostro Paese in tema di scuola. Nessuno vuole ammettere ad esempio che ben 6mila edifici scolastici sono a rischio idro geologico, e fino ad ora nessun piano di messa in sicurezza è stato approntato. Ed i ritardi non sono tutti al Sud, anche se la qualità della scuola nelle regioni meridionali è da decenni sempre deficitaria rispetto al Nord del Paese.
Non avere la piena consapevolezza delle differenze fra zona e zona è una colpa della politica, ed una cartina di tornasole sono stati gli atteggiamenti sulla Didattica a distanza della Ministra dell’Istruzione, che sembrava vivere nel Paese dei balocchi, in cui non ci sono comuni o località in cui una Rete che funziona è ancora un sogno.
Venendo poi ai mitici banchi individuali, il bando del Commissario Domenico Arcuri prevedeva la consegna a tutte le scuole entro il 31 agosto. Termine palesemente irrealistico, tanto è vero che la distribuzione dei primi banchi dovrebbe iniziare il 7 o l’8 settembre, con termine ultimo e improrogabile “a fine ottobre”. Conoscendo la mitica efficienza della burocrazia italiana sono pronto a scommettere che fra una proroga e l’altra si arriverà a novembre, se non a fine anno. Ma l’importante è guadagnare le prime pagine dei quotidiani ed i titoli dei telegiornali, anche sapendo di avere imposto ai fornitori requisiti impossibili da rispettare.
Preso atto di ciò, il Comitato Tecnico Scientifico ha dovuto ripiegare, ammettendo che, fermo restando che il distanziamento è una delle misure cardine della prevenzione anti-Covid, per la scuola resta soltanto “un obiettivo da garantire quanto prima”. Tradotto in parole semplici: si comincia senza distanziamento dove non ci sono i nuovi banchi o non sono state trovate aule aggiuntive.
Tanto non si è fissato l’obbligo di portare sempre la mascherina in classe sopra i 6 anni? Che sarà la dannazione dei docenti, perchè non sarà facile imporla ai ragazzi, tanto è vero che la Ministra ha già fatto retromarcia, specificando che gli insegnanti potranno autorizzare gli allievi ad abbassarla.
Facile no? E’ la sublimazione dell’arte di arrangiarsi all’italiana!
Speriamo che non resti un proclama per i posteri anche l’annunciata fornitura alle scuole di 11 milioni di mascherine gratuite al giorno, e di 170mila litri di gel igienizzante la settimana.
Nel frattempo a cercare di trovare una q uadra, fra spazi angusti ed aule troppo strette, edifici vetusti, mancanza di arredi, carenze di organico, ci sono i Presidi.
I quali, giustamente, si stanno ponendo una domanda: “non è che dopo che ci siamo fatti in quattro per cercare di partire alla meno peggio il 14 settembre, al primo caso di infezione ci arrivano i carabinieri a scuola per indagarci per “epidemia colposa”?
Guardate che non è un problema di poco conto. Perchè in questa nostra benedetta Repubblica lo sport più praticato è quello di “trovare il colpevole”, anche per eventi imprevedibili, come è avvenuto ad esempio per il terremoto in Abruzzo. In qualunque campo l’Italia ormai condanna tutti al sospetto, in un clima sempre più incattivito, alimentato da una cultura giustizialista, coltivata da schiere di avvocati in cerca di qualche spicciolo con cui sbarcare il lunario.
E quindi non è un caso se una delle richieste più presenti nella vita politico-economica italica sia quello dello “scudo penale”, rivendicato adesso anche dai Presidi.
E proprio parlando di responsabilità arriviamo al clou del nostro ragionamento, alla domanda da 100 milioni; cosa succede se mio figlio presenta sintomi, anche blandi, quando è l’ora di andare a scuola?
Pediatri ed esperti suggeriscono di non mandarli in classe, nemmeno con un raffreddore. E’ evidente che in questo modo si risponde in pieno al principio di massima precauzione.
Che però cozza con la realtà quotidiana delle mamme e dei papà, che di fronte alla febbricola del pargolo cosa possono fare, visto che per dare da mangiare alla famiglia tocca lavorare?
Chiedere un giorno di smart working, di ferie o di permesso? Ma lo si potrà decidere all’ultimo minuto, comunicandolo alle 7 del mattino? I datori di lavoro non avranno nulla da eccepire? E se le febbricole nel corso dell’inverno saranno numerose, basteranno i giorni di ferie?
Tutte cose che forse, a chi dall’alto dello scranno ministeriale si deve occupare dei “massimi sistemi”, possono sembrare di scarsa rilevanza, ma che sono in grado di mettere in crisi una famiglia.
E fin qui abbiamo parlato del raffreddorino, che però in clima di coronavirus è molto probabile inneschi immediate richieste di tampone.
Ma cosa succede se invece nella scuola di mio figlio si scopre un alunno o un docente contagiato dal Covid?
Perchè casi di infezioni nelle scuole è sicuro che ce ne saranno!
Che protocollo, per usare un termine oggi molto gettonato, si dovrà seguire?
Si disporrà la “chiusura temporanea” dell’intera scuola, o solo della classe interessata?
Al momento l’orientamento sembra essere quello della disanima del contesto di volta in volta, con tamponi immediati, e conseguente quarantena di tutti i contatti.
Ma, torno al punto, chiusura della classe o della scuola? Perchè un alunno è difficile che non sia entrato in contatto con altri compagni di classi diverse, magari in ambiente extra scolastico, ed un docente si sa che opera istituzionalmente in più classi. E ancora, l’eventuale contagio di uno studente comporta la quarantena anche per i familiari?
Capite bene che, di domanda in domanda, la platea dei potenziali soggetti alla quarantena si allarga a dismisura, in una sorta di “effetto centri concentrici”.
E sarà molto interessante vedere in tali ipotesi quale autorità, politica, sanitaria o scolastica, si assumerà la “responsabilità” di chiudere o di tenere aperta la scuola, rischiando opposizioni, critiche, e magari un bell’avviso di garanzia. Sono certo che inizierebbe il solito palleggiamento del “tocca a te”, “no, tocca a te”.
Di fronte a queste domande, che indipendentemente da quello che dicono a Roma, la gente si pone ogni giorno di più, dilagano paure incontrollabili, e francamente anche reazioni ed iniziative demenziali.
Tipo il presunto protocollo che girava nei giorni scorsi sui social, in base al quale si sostiene che nell’eventualità in cui un alunno presentasse sintomi compatibili con l’infezione da Covid-19, ai genitori non sarebbe permesso di prelevare il figlio per portarlo a casa. Il bambino, veniva spiegato, sarebbe affidato direttamente all’autorità sanitaria. Una sorta di sequestro “tipo Stasi”, chiaramente fuori da ogni principio democratico, che però ha costretto il Ministero dell’Istruzione ad una smentita ufficiale.
O tipo la scelta di alcuni genitori di non mandare a scuola i figli per timore del contagio, adottando la cosiddetta HomeSchooling, che in parole povere vuol dire impartire l’istruzione ai figli a casa.
Sia chiaro che nessuno si augura, e sicuramente non noi, che un’eventuale impennata dell’epidemia, porti nuovamente ad una chiusura forzata delle scuole.
Però a tale riguardo non possiamo esimerci dal fare qualche osservazione.
In particolare che nei palazzi del potere romano si sarebbe dovuto lavorare alle modalità di riapertura fin dalla fine del lockdown, ipotizzando tutti gli scenari possibili, fra cui quello dell’eventualità di dover applicare la Didattica a Distanza anche nel prossimo anno scolastico.
Che non era un’ipotesi di scuola, tanto è vero che se ne continua a parlare anche adesso come “soluzione estrema”, ma piuttosto concreta qualora ci fosse una “seconda ondata”.
Se invece di considerarla appunto una “soluzione estrema” ci si fosse mossi per tempo per cercare di renderla una didattica funzionale e di qualità, adesso ci sarebbero meno angosce e patemi.
Ma questo avrebbe voluto dire cercare di migliorare e potenziare le Reti informatiche, preparare ed addestrare i docenti meno attrezzati in cultura digitale, cercare di dotare di computer le famiglie meno abbienti, precostituire i fondi per aiutare i genitori costretti a gestire i figli a casa. E, cosa di non poco conto, stabilire che un insegnante “asintomatico in quarantena preventiva” deve continuare a fornire la didattica on line ai suoi alunni in isolamento.
Forse qualche contributo a pioggia in meno a fini elettorali, e qualche miliardo in più per la scuola on line, avrebbe contribuito in prospettiva a modernizzare il nostro Paese, attrezzandolo per affrontare future epidemie, che per gli scienziati non sono un’eventualità ma una certezza.
Bisogna convincersi che il Covid-19 cambierà profondamente il nostro modo di vivere, e come determinerà una diffusione dello smart working nel mondo del lavoro, così succederà per la Didattica a distanza nella scuola.
Se i nostri politici non lo capiscono da subito, e non si muovono di conseguenza, sarà un’ulteriore occasione perduta.
E se non lo fanno per convinzione e lungimiranza, almeno lo facciano per quello che a loro interessa di più: il consenso elettorale. Qualcuno sembra averlo capito, viste le parole del Segretario del PD Nicola Zingaretti, che nei giorni scorsi ha dichiarato: “Sulla scuola si rischia una rivolta di massa!” Ha pienamente ragione, ma non essendo un comune cittadino od un passante, dovrebbe anche dirci cosa intenda fare per evitarla la rivolta, anche se questo volesse dire dare il benservito alla Ministra Azzolina. Ma state certi che ciò non avverrà.
Stefano Diceopoli

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