10 Gennaio 2020 - 11.03

Saldi selvaggi e selvaggi ai saldi

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di Alessandro Cammarano

Saldi, basta la parola! Parafrasando lo slogan di un noto lassativo, deliziosa pilloletta a base di prugne e capace di inchiodarti in bagno per mezza giornata, ci accingiamo ad affrontare uno degli aspetti più spinosi – e a per certi aspetti anche capace di influenzare negativamente l’intestino già ampiamente provato dalle epule natalizie – dei primi giorni del nuovo anno: le svendite.

A dire il vero il fenomeno “ribassi” non ha più il fascino di stagioni passate; adesso tra black friday e sconti di mezza stagione qualche capo scontato lo si trova sempre. Tuttavia il tarlo del colpaccio, l’idea dell’acquisto dello spolverino moda o dei pantaloni di tendenza permane nei più e spinge ad azioni di straordinaria bassezza, talvolta al limite dell’immoralità.

Si ricorre a qualunque mezzo pur di accaparrarsi l’agognato capo, quello che abbiamo invidiato fin da subito al nostro migliore amico che, più benestante o forse semplicemente dotato di un maggior grado di incoscienza rispetto a quello da noi posseduto, ha acquistato a inizio stagione e ci si pavoneggia dunque da almeno due mesi.

I più fighètti – con “e” larga alla milanese imbruttito – sono iscritti alle newsletter delle boutiques più blasonate e che riservano alla clientela più affezionata alcuni giorni di “vendita privata”, ovvero un inizio anticipato di saldi in cui è possibile assicurarsi i fondi di magazzino di maggior pregio rispetto alle scartine destinate ai comuni mortali, convinti di aver fatto l’affare del secolo e soprattutto di poter dare una lezione di classe a conoscenti meno fortunati.

Terminato l’eden dell’esclusività tanto fittizia quanto ricercata ecco spalancarsi le porte dell’abisso, al cui varcare chiunque si tramuta da placido dottor Jekyll al più orrendamente spregiudicato dei mister Hyde. Le tipologie del frequentatore di saldi sono le più varie, ma tutte egualmente orride e tutte degne di arricchire le pagine di un manuale di psicopatologia applicata

La peggiore in assoluto tra le categorie è quella dell’ossessivo-aggressivo; chi rientra in questo ambito comincia a scaldare i motori già a metà di ottobre per essere pienamente efficiente ai primi di gennaio. I capi vengono selezionati con cura, provati più volte nel corso di frequenti incursioni nel o nei negozi interessati, cercando di farsi amico il commesso o facendo imbarazzanti complimenti alla proprietaria, tentando così di stabilire un canale preferenziale di cui servirsi in caso di necessità. All’alba del quattro gennaio il genio del male si prepara con una concentrazione pari solo a quella di Enrico Quinto Plantageneto alla vigilia della battaglia di Azincourt; unghie affilate, prove di sgambetto, gomito rinforzato al titanio, ginocchio chiodato. Si aprono le porte e il genio del male schizza dentro al negozio sfoderando un ghigno trionfante per precipitarsi – non senza prima aver travolto un’ottuagenaria col deambulatore – verso lo scaffale che sa ospitare il maglione di cachemere quattro fili desiderato da mesi. Purtroppo per lui il 48 blu-navy se lo è comprato il giorno prima quello che approfittava delle vendite private; terrore, ira crescente e incontrollata, inutile tentativo di corruzione del commesso – anche con proposta di prestazioni sessuali – sorriso disperato all’indifferente proprietaria che, con sorriso affilato gli dice “Glielo avevo detto che era l’ultimo…certo che se mi dava retta e si iscriveva alla news invece di protestare perché si sentiva violato nella privacy…”. Il cialtrone, pur di non dare a vedere il terribile colpo subito, ripiega sullo stesso maglione, ma di una taglia in più e, soprattutto, di un color senape chiaro che richiama immediatamente alla mente il prodotto di una colica gastrointestinale. Egualmente subdolo il sales-addict passivo-persuasivo; il soggetto si aggira con aria finto smarrita per il negozio, pronto a colpire. Generalmente l’oggetto dei suoi desideri è già in mano altrui e va quindi sottratto a tutti i costi; il figuro pedina astutamente la sua vittima fino ai camerini di prova, attendendo il momento giusto per colpire, come uno scorpione del deserto di Gobi. “È sicuro di prenderla la giacca? No perché mi pare le sia lunga di maniche” dice l’aracnide al poverino che cerca la moglie per un consiglio, per continuare poi con un mellifluo “Secondo me le sta meglio l’altra che ha preso, mi creda, la slancia moltissimo”. Lo sventurato abbassa la guardia solo per un momento e si lascia sfuggire un “Lei dice?”, sfilandosi il capo. È la fine: il maledetto gli strappa di mano l’oggetto del desiderio e si allontana in direzione della cassa proferendo un tombale “Mi creda, le stava malissimo, e poi il giallo ocra è proprio il mio colore”. Fa tenerezza, invece, l’incauto-compulsivo, gioia assoluta di tutti gli addetti alle vendite. Il poverino abborda il commesso tenendo in mano un paio di boxer parigamba lievemente elasticizzati e se ne esce con un serafico “Mi scusi, quanto vengono?”; il giovane venditore comunica il conveniente prezzo di euro otto e novantanove ottenendo in cambio un sorriso che in breve si trasformerà in risata. “Ne prendo otto” aggiunge il beota che, servito, viene accompagnato alla cassa, dove la commedia termina quando, all’atto di pagare, il farlocco se ne esce con uno strepitoso “Non avevo mai pagato cosi poco dei costumi da bagno”: il giovane adetto alle vendite fugge non potendo trattenere una risatazza da osteria, mentre il direttore del negozio ghigna satanicamente. Ci sarebbero altri aspetti e altri tipi da prendere in considerazione, ma devo correre, perché sennò gli stivaletti di camoscio beige scontati del settanta per cento col cavolo che li trovo più.

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