15 Gennaio 2021 - 9.41

Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno. I “decameroni” degli anni ‘70

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di Umberto Baldo

In un’epoca come la nostra, in cui chiunque, e purtroppo anche i più giovani, sedendosi davanti ad un pc collegato alla Rete, può accedere a siti che offrono ogni tipo di pornografia, credo sia impossibile, per chi non li abbia vissuti, immaginare cos’era l’erotismo negli anni ’70 del secolo scorso.


Effettivamente è difficile descrivere l’atmosfera di quel decennio, anni “creativi” che posero le basi della svolta economico-sociale che si completerà soltanto nei successivi anni ‘80.
Ci sono intere biblioteche sul tema, ma io, sulla scia dei ricordi, mi voglio limitare a parlare di un “filone” cinematografico che spopolò in quei mitici ’70, il filone “erotico”.
Credo non si possa capire cosa successe veramente se non inquadrando la morale imperante in quell’epoca. Quella della società pre-anni sessanta, ovvero una società profondamente sessista basata sul culto del patriarcato, che considerava come nei secoli precedenti l’atto sessuale valido solo in vista della riproduzione. Questo, oltre a bandire la visione del sesso come puro piacere, lo rendeva un argomento tabù per le donne. Adesso la pubblicità ci propone rimedi contro le emorroidi, le ragadi anali, i pruriti intimi, e ormai i preservativi e gli assorbenti igienici sono pubblicizzati come il cibo per cani. Tutti argomenti di cui, all’epoca, si osava parlare solo nelle barzellette raccontate a bassa voce.
Calate questa mentalità nella “canonica d’Italia”, come era chiamato il nostro Veneto, e potete ben capire quali furono le reazioni ai primi manifesti che lanciavano un certo tipo di film, con immagini di donne discinte.
Intendiamoci, niente a che a che vedere con certi fotogrammi di oggi, in cui nulla viene più lasciato all’immaginazione.
Allora quelle locandine ritraevano le donne di profilo, e comunque sempre con le parti intime celate.
Immaginate le reazioni di certi ambienti cattolici, delle beghine assidue frequentatrici di canoniche, dei benpensanti in genere.
Scandalo! Quella era la parola che si sentiva ripetere.
Ovviamente nelle città le cose giravano diversamente, perchè l’ambiente sociale era diverso, ma nei paesini della campagna veneta il cinema dove si proiettavano certi film, che non era certamente quello parrocchiale, divenne automaticamente una sorta di “girone infernale”, un luogo di perdizione, e i frequentatori della sala dei peccatori incalliti.
Sacerdoti e suore erano impegnati a mettere in guardia i giovani sui pericoli di quelle sale cinematografiche, la cui frequentazione rientrava a pieno titolo nei peccati da elencare in confessionale.
Non crediate che fosse tanto facile per un adolescente entrare in un cinema per vedere “quei” film. La censura funzionava alla grande, e la scritta “vietato ai minori di 14/18 anni era d’obbligo”. Anche se, agli ultimi spettacoli, nelle sere invernali di nebbia, la maschera che controllava i biglietti, se ti conosceva, ti faceva passare.
Venendo ai film in questione, va detto che film con una forte componente erotica vennero girati in quegli anni anche da maestri del cinema. Per fare qualche esempio, basti pensare al “Decameron”, girato nel 1971 da Pier Paolo Pasolini, o “Malizia” di Salvatore Samperi nel 1973, o “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci nel 1972.
Ma queste sono pellicole che sono entrate a pieno titolo nella storia del cinema.
In realtà io mi riferisco ad un altro genere, quello della commedia sexy, che è un prodotto italiano al 100%, che durò solo qualche anno, e che diede vita al cosiddetto “filone boccaccesco”.
Queste produzioni tendevano ad ispirarsi al modello del Decameron di Pasolini; ma a onor del vero di questo modello sfruttavano solo il nome e lo spirito, appunto boccaccesco.
In realtà si trattava di tutt’altra cosa, molto più becera e popolare. Il film era spesso ad episodi, fatti singoli raccontati da più personaggi, in analogia alle novelle del Decameron del Boccaccio; l’ambientazione era sovente quella di uno pseudo ‘300 – ‘400 con preti, villici creduloni, mogli infedeli, soldati di ventura; il tutto condito con un linguaggio sboccato e scene scollacciate.
La trama era unicamente un pretesto narrativo, e solitamente il film si profondeva, con estrema monotonia di situazioni, e privo di ogni memoria del buon gusto o del senso del pudore, in scenette pornografiche vagamente ispirate al materiale boccaccesco. Ma attenzione, un porno soft; nulla a che vedere con quello delle sale a luci rosse che si diffusero dopo qualche anno.
Tutte le storie si svolgevano in Toscana, fra l’Arno ed il Mugnone, probabilmente proprio per tentare di dare loro un’improbabile ascendenza “boccaccesca”.
Si trattava di film chiaramente di stile “pecoreccio”, senza particolari pretese artistiche, di un erotismo per bocche buone, che però spopolavano appunto nei cinema della provincia, e che rappresentarono i sogni erotici di una generazione di adolescenti, e non solo.
Infatti ripensando a quelle commedie sexy, a distanza di mezzo secolo mi rendo conto che si tratta di un genere cinematografico che allora tutti avevano visto, ma che nessuno aveva il coraggio di ammettere di aver visto, quasi lo si dovesse sbirciare dal buco della serratura.
Ma sono i titoli di quei film che ancora adesso riaffiorano alla memoria, perchè erano semplicemente dotati di una genialità funzionale allo scopo di attirare nelle sale gli estimatori del genere, suggerendo loro le suggestioni erotiche che avrebbero trovato nella pellicola.
Ne volete alcuni?
Eccoli: Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno – E continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno – Frà Tazio da Velletri – Novelle licenziose di vergini vogliose – Fratello homo sorella bona – I giochi proibiti de l’Aretino Pietro- Decameroticus – Racconti proibiti….di niente vestiti – Decameron prohibitissimo (Boccaccio mio statte zitto) – Sollazzevoli storie di moglie gaudenti e mariti penitenti – Una cavalla tutta nuda -Quando le donne si chiamavano madonne -Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda tutta calda – La bella Antonia prima monica e poi dimonia -Leva lo diavolo tuo dal convento -Jus primae noctis – …E si salvò solo l’Aretino Pietro, con una mano davanti e l’altra dietro – Quanto è bella la Bernarda, tutta nera, tutta calda.
Balzano agli occhi i giochi di parole, le metafore usate per indicare cose che non si potevano né dire apertamente, né chiamare con il loro nome: tipo “lo diavolo tuo” che doveva essere messo ne “lo mio inferno”.
E c’era una caratteristica di queste pellicole che ricordo nettamente, vale a dire che in tutte le storie non mancava mai un membro del clero, un vescovo, un prete di parrocchia, un frate. Soprattutto i frati, ritratti solitamente in carne e gaudenti, erano i più “assatanati”, tanto che ricordo le battute nel buio della sala cinematografica, tutta rigorosamente maschile, tipo: “Varda, el xe Padre Formiga, quelo che ghe piaxe tanto la ….”., cui seguiva una risata generale.
E come c’erano i film, ovviamente c’erano gli interpreti.
Alcuni attori e soprattutto attrici, per la loro prorompente bellezza, saranno le colonne portanti di questo genere: Edwige Fenech, Barbara Bouchet, Sylva Koscina, Gloria Guida, Femi Benussi, Orchidea de Santis, Malisa Longo, Magda Konopka, Rosemarie Lindt, Karin Schubert. Tra gli attori Don Backy, Renzo Montagnani, Enrico Montesano, Mario Carotenuto.
Questi sono solo alcuni nomi fra i tanti che vissero quella stagione sui set dei “decameroni”. Tante “attrici” scompariranno assieme a queste pellicole, sicuramente perchè oltre a due belle “poppe” e ad un notevole “lato B” non avevano altre doti, ma pensare che la commedia sexy sia solo un trionfo becero della fisicità femminile sarebbe un errore, in quanto è stata fucina di caratteristi di primissimo piano, che non hanno tardato a ritagliarsi spazi in televisione, al cinema o, addirittura al teatro.
Come accennato, il fenomeno dei “decameroni” si esaurì in pochi anni, dal 1972 al 1975, con circa cinquanta film prodotti.
Ma non si fermò il fenomeno dei film erotici, anzi, con un’evoluzione che valse loro la caratterizzazione come genere “ginecomico”.
Solo che non vennero più ambientati nella Toscana del 300/400, e si concentrarono su particolari ruoli delle protagoniste; l’insegnante, la poliziotta, la dottoressa, la nipote ecc.
Non è che le trame migliorarono molto. Le storie di quei film ruotavano quasi sempre intorno ad una avvenente e disinibita protagonista da collocare in contesti sociali tipici, quali la scuola (l’insegnante, l’allieva, la bidella), la famiglia (la cameriera, la cognata, la nipote), la caserma (la soldatessa, la dottoressa, la moglie del comandante, ecc.), le forze dell’ordine (la poliziotta, la vigilessa, ecc.). Qui le provocanti guest star inevitabilmente generavano equivoci, stimolavano gelosie e tradimenti, portando comunque la trama rigorosamente al lieto fine. La Fenech e la Guida restarono, entrarono gli Alvaro Vitali ed i Lino Banfi.
E’ scontato che quei film, quei ”decameroni”, non rimarranno nella storia del cinema, ma demonizzarli non ha senso. Furono il frutto dell’Italia provinciale di quegli anni, che assieme al lavoro cercava anche un po’ di svago, magari rifacendosi gli occhi con le immagini di donne bellissime, ma soprattutto poco vestite.
Va comunque detto che a rivederle oggi, quelle pellicole, rispetto a q uello che si vede liberamente a tutte le ore nelle televisioni, potrebbero definirsi “da educande”.
Umberto Baldo

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