18 Aprile 2015 - 9.47

GOVERNO RENZI: nuove assunzioni? Una presa per il culo..

Renzi

di Marco Osti

Dovevano essere 79.000, probabilmente sono solamente 13.
Stiamo parlando dei lavoratori neo assunti in Italia nei primi due mesi dell’anno, in merito ai quali il ministro del Lavoro Giuliano Poletti nelle scorse settimane, con enfasi ed entusiasmo, ha fornito dati che sembravano fare pensare a una decisa inversione di tendenza rispetto alla costante crescita della disoccupazione nel Paese.
Insomma pareva un messaggio di speranza, per cui si potesse dire di avere finalmente svoltato dalla crisi e dalla conseguente disoccupazione crescente.
Purtroppo non è così, perché, dopo un primo momento di ottimismo, osservatori, giornalisti, sindacati e politici hanno cominciato a entrare nel merito dell’annuncio del ministro, nel quale in effetti si parlava di un aumento dei contratti a tempo indeterminato e non di nuovi occupati.
Nella consapevolezza che a incidere sul dato fornito da Poletti
potesse esservi l’effetto degli sgravi fiscali destinati dal
Governo per i nuovi contratti a tempo indeterminato, vi sono state diverse richieste di chiarimento al ministro su quante fossero le nuove assunzioni e quante le semplici trasformazioni di contratti esistenti per lavoratori già occupati.
Il ministro allora ha provato a non rispondere e a spostare il
discorso su un altro piano, dicendo che non era quantificabile quante fossero realmente le nuove assunzioni e quante le trasformazioni e che comunque si stava parlando di un miglioramento della qualità dei contratti, essendo i nuovi a tempo indeterminato.
Ci ha pensato però l’Inps guidata dal nuovo presidente Tito Boeri a fornire il dato che Poletti sosteneva di non avere, dichiarando che le nuove assunzioni sono state solo 13.
Purtroppo non è neanche vero che è cresciuta la qualità del contratto, poiché nella maggior parte dei casi si tratterà di contratti a tempo indeterminato ai quali già non si applicavano le vecchie norme, perché magari aziende con meno di 15 dipendenti, oppure già in regime di jobs act, grazie al quale un lavoratore è licenziabile in modo estremamente semplice, con solo un rischio di maggiore indennizzo a carico dell’azienda.
Già in altre occasioni ci siamo espressi negativamente sulle nuove norme in tema di mercato del lavoro, evidenziando che si cerca di spacciare i nuovi contratti a tempo indeterminato come migliori dei precedenti, quando di analogo hanno solo il nome, sebbene con accezione diversa.
Prima indeterminato significava che vigevano garanzie certe per il futuro, oggi che è indeterminato il momento in cui un lavoratore può subire la decisione unilaterale dell’impresa di lasciarlo a casa.
Se a questo aspetto si aggiunge che gli sgravi contributivi di cui si diceva dureranno tre anni è possibile supporre un analogo e contrario processo di licenziamento dei lavoratori oggi oggetto della trasformazione del contratto quando le aziende perderanno i benefici fiscali.
Insomma il combinato disposto determinato dai vantaggi per le aziende e la possibilità di licenziare senza rischi, se non da valutare economicamente, comporta che il Governo di fatto ha reso precari i contratti a tempo indeterminato, senza alcuna garanzia in tema di nuova occupazione.
Lo dimostra peraltro l’impennata registrata dalle trasformazioni di contratti, rispetto alle quali il ministro Poletti ha provato a inserire nel decreto sugli sgravi una clausola di salvaguardia, per cui saranno sospesi gli sgravi contributivi a favore delle aziende in caso si superassero le previsioni di spesa del Governo in merito.
Una presa in giro che ha visto la sollevazione del mondo
imprenditoriale e convinto il presidente del Consiglio Renzi a
smentire il suo ministro e a bloccare il provvedimento, sebbene ancora non si sappia cosa verrà deciso in merito.
Resta però il dubbio che non ci siano risorse sufficienti per
garantire i benefici in caso di un numero eccessivo di nuovi contratti a tempo indeterminato e questo dipende anche dal fatto che il Governo non ha voluto ascoltare chi, sindacati in testa, aveva proposto di non favorire tutte le aziende in modo indiscriminato, ma solo quelle virtuose che facevano investimenti e nuova occupazione.
E qui sta il punto più volte ribadito dagli oppositori al jobs act, che non si creano nuovi posti di lavoro con una legge, ma solo con investimenti concreti e adeguati, pubblici e privati, che invece continuano a mancare per un’azione del Governo molto concentrata nel fare annunci e una classe imprenditoriale italiana nel migliore dei casi timida e impaurita.
Nel frattempo gli italiani devono subire la stucchevole propaganda del Governo, che con annunci roboanti cerca di far credere di avere risolto o avere le soluzioni per tutti i problemi del Paese, quando in realtà li chiamano solo in modo diverso, come ha fatto il ministro
Poletti sulla trasformazione dei contratti.
Una mistificazione nominalistica che nel caso delle nuove assunzioni è stata facilmente smascherata, ma che rischia di nascondersi dietro a ogni riforma che il Governo sta cercando di fare approvare, rispetto cui crescono le perplessità nel Paese e in Parlamento, dove infatti si susseguono le soluzioni a colpi di maggioranza, spesso imposte ponendo la fiducia.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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