30 Maggio 2016 - 11.28

EDITORIALE – La riforma costituzionale che spacca il Paese

costituzione

di Marco Osti

La Costituzione per un popolo è molto più di un insieme di norme.

È ciò che lo genera, che lo identifica, che lo rende tale e che lo unisce.

È la madre di donne e uomini che si riconoscono nei suoi principi e non a caso è elaborata da padri costituenti.

Modificare la Costituzione significa cambiare i meccanismi con cui i valori fondanti di uno Stato trovano applicazione attraverso le sue istituzioni.

Non è un atto di per sé sbagliato, ne deve essere vissuto come un tabù.

È un processo straordinario, ma logico, peraltro previsto dalla Costituzione stessa, se quel popolo, quello Stato sono cambiati e servono metodi nuovi per rendere sempre attuali i principi fondanti che l’hanno determinata.

Sotto questo profilo quando si pone in essere la modifica della Carta Costituzionale è basilare che venga rispettata la norma non scritta di non dividere il popolo e seguire un percorso quanto più sereno, condiviso e partecipato.

In Italia questo non sta avvenendo.

Il punto in questo momento non è trovare colpe o ragioni, nel senso che tutti ne hanno entrambe.

Il Governo e la maggioranza parlamentare che sostiene la riforma a mio avviso sta commettendo l’errore di avere realizzato le modifiche costituzionali senza coinvolgere un consenso ampio e convinto, ma tra loro sicuramente c’è chi obietterebbe a questa affermazione che si è provato, ma di fronte all’impossibilità di riuscirci, a un certo punto è stato necessario decidere.

Vero. Resta però il fatto che al momento il Paese è spaccato su una riforma che riguarda tutti i cittadini e, in questa divisione profonda, trova spazio qualsiasi opinione e il suo contrario e la confusione non aiuta le persone a comprendere.

In questa situazione servirebbe almeno una seria discussione nel merito, per comprendere se la riforma offre le migliori soluzioni per essere ancora riferimento del Paese nel futuro.

Ma anche questo non sta avvenendo.

Si procede per slogan e per strumentalizzazioni da parte di chi è a favore o contro, per ragioni di contrasto personale al premier, per ottenere vantaggi politici, per indebolire una parte a favore di un’altra.

Ha ragione l’ex presidente della Repubblica Napolitano a sentirsi indignato quando chi si oppone alla riforma dice che chi è come lui favorevole vuole attentare alla Costituzione.

Stupisce però che analogo moto di risentimento non l’abbia quando chi è favorevole a votare Sì al voto referendario di ottobre compie una analoga azione di delegittimazione verso chi si oppone alla riforma.

Stupisce che nulla abbia da dire l’ex presidente se una ministra della Repubblica ritiene che possa essere considerato un vero partigiano, di quelli che hanno realmente combattuto, solo chi è a favore della proposta di modifica della Carta Costituzionale.

Dopo che Maria Elena Boschi ha espresso questo pensiero subito si sono levate polemiche e giustificazioni, con il presidente del Consiglio Renzi immediatamente pronto a correre in suo soccorso, come non fa, va notato, soprattutto con analoga enfasi, per altri componenti del suo Governo.

Tutto questo ha prodotto lo spostamento della discussione sul quesito se l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani sia oggi rappresentativa o meno dei partigiani e se vi siano ancora nell’Anpi, per ragioni anagrafiche, persone che hanno combattuto per liberare l’Italia dalla dominazione nazista.

Ma non è questo il punto.

Il punto è che una ministra ha deliberatamente deciso, su una materia così delicata, di fare una generalizzazione azzardata, che anche fosse vera, cosa che io contesto, ha comunque prodotto il risultato di accentuare le divisioni fra chi è a favore o contro la riforma costituzionale.

Il punto è che la Boschi ha agito con lo stile ormai caratteristico di questo Governo e del suo premier, che prevede di assumere troppo spesso decisioni con metodi per il quale, aldilà del merito, si producono spaccature tra le forze politiche, ma soprattutto nel tessuto sociale e tra i cittadini.

Questa impostazione, già di per sé criticabile, appare del tutto fuori luogo per una materia decisiva come la riforma costituzionale, che, per sua natura, dovrebbe essere quanto più possibile inclusiva e condivisa.

Il perseverare su questa linea rischia di creare un vulnus grave, perché non favorirà mai una discussione nel merito delle modifiche promosse dai Comitati per il Sì al referendum, non consentirà alle persone di comprenderle fino in fondo, non porterà i contrari a cambiare idea e gli indecisi a sciogliere i loro dubbi.

Io, da cittadino, spero di poter avere a disposizione un dibattito chiaro sugli effetti concreti della riforma, che al momento pone preoccupazioni rispetto all’equilibrio fra poteri, per il suo combinato disposto con la riforma elettorale, e nella sua linea ispiratrice, secondo la quale risparmio di costi, snellimento operativo e minor dibattito e velocità decisionale sono per forza sinonimo di efficienza, che peraltro non sempre significa giustizia sociale e difesa dei diritti di tutti i cittadini.

La riforma costituzionale è un momento cruciale per un popolo, attraverso il quale può rinsaldare la propria unità o certificare le proprie divisioni e io, da cittadino, temo che il referendum di ottobre possa diventare uno spartiacque senza ritorno fra questi due scenari.

Siamo di fronte quindi a un momento decisivo per il futuro del Paese e il Governo, con in testa il presidente del Consiglio, deve assumersi la responsabilità di essere un fattore di unità.

Per ora non sta avvenendo.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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