25 Maggio 2018 - 10.04

EDITORIALE- IL DECLINO DI VICENZA, CITTADINI IN “BRAGHE DI TELA”

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di Stefano Diceopoli

C’è stato un tempo, a Vicenza, quando al calare delle prime ombre della sera, da ottobre a dicembre, si contavano almeno una rapina al giorno, se non due nello stesso pomeriggio. Banditi scatenati attaccavano banche e laboratori orafi sparsi in tutto il territorio. Ogni casa aveva il suo piccolo capannone e dentro i vicentini lavoravano, producevano, si arricchivano e facevano gola alla banda della Mala del Brenta.

Oggi tutto questo non c’è più ed è sicuramente un bel risultato, ma non perché i banditi siano stati arrestati e le bande disarticolate – come peraltro certamente è in parte accaduto – quanto perché buona parte di quella ricchezza diffusa è sparita. I laboratori orafi sono capannoni vuoti, le fabbrichette non hanno retto a dieci anni di crisi feroce e le banche, beh, sanno tutti che fine hanno fatto quelle del territorio.

Il quadro che ne esce è quello di una comunità più povera, meno policentrica di quello che era appena un paio di decenni fa, che conta meno sul piano nazionale per non parlare di quanto poco conti a livello internazionale.
L’ultimo colpo arriva dalla Fiera: verrà abbattuta la piramide a gradoni che era stata il simbolo dell’oro e che certo pativa ormai l’ingiuria del tempo. Ma si è ben capito che il progetto da 35 milioni di euro che verrà realizzato a Vicenza ha la testa a Rimini e il corpo a Vicenza. La città conta per il 18 per cento nell’assetto societario e le decisioni arrivano dalla costa dell’Adriatico piuttosto che dall’ombra dei Berici.

Ovviamente non è solo questo ad essere cambiato. C’è stato un tempo nel quale un giovane diplomato o appena laureato aveva la possibilità di sognare il posto in banca: si poteva andare a chiedere alla Banca Cattolica del Veneto, oppure alla Cassa di Risparmio o infine alla Banca Popolare di Vicenza. Oggi quel panorama è stato spazzato via, rimangono solo Unicredit e Banca Intesa e se si vuole un lavoro bisogna fare la valigia e presentarsi a Milano o a Torino e non è detto che si riesca a varcare la soglia.

C’è stato un tempo nel quale le famiglie avevano messo da parte un tesoretto di risparmi, si parla di qualcosa come 13 miliardi di euro fra Popolare e Veneto Banca e adesso quei soldi sono spariti. Erano i fondi che dovevano servire per una vecchiaia serena, per dare una mano ai figli per comprare casa, per avviare una attività, per aprire un negozio o un bar. Quei risparmi sono bruciati, non si può aprire la cassaforte e ripartire, come si faceva in caso di una catastrofe naturale, un terremoto o una inondazione. E ci vorranno anni per ripartire.

C’è ovviamente anche un futuro, ma talmente incerto da apparire nebbioso. Il volto della città potrebbe cambiare se davvero il treno ad alta velocità portasse tutti quei lavori che si sono visti in decine di mappe e di disegni. Sulla carta potrebbero essere abbattute delle abitazioni, certo, ma arriverebbero anche strade, nuovi percorsi, una metropolitana di superficie. Ma chi ci assicura che i progetti passeranno dalla carta al catrame?
C’è l’idea di spostare il municipio, di vendere i gioielli di famiglia e realizzare la biblioteca, ma l’idea circola da anni e non si arriva mai alla fine. Fra grande U e grande O la tangenziale di Vicenza rimane sono un enorme BOH, via Aldo Moro non si prolunga anche se ne parliamo da quarant’anni e la Valdastico non ci porta a Trento.

Nel frattempo la società è cambiata, siamo diventati multietnici e la gran parte dei reati viene commessa da stranieri che molto semplicemente hanno preso il posto di tanti delinquenti che prima erano nostrani.
E come tutti i popoli di ogni epoca, i Vicentini si sono consolati e sfogati con i giochi del circo, nel caso specifico il circo del calcio e di quella gloriosa squadra che ha visto Rossi e Baggio vestire la maglia a strisce bianche e rosse. Se quella era l’ultima certezza, anche quella se ne è andata. Società fallita, progetto sportivo appeso al filo di uno spareggio e futuro nelle mani di un signore che di lavoro produce jeans. Insomma è come dire che siamo passati dalle pesanti coperte di lana della Lanerossi alle “braghe di tela”. E’ vero che con i jeans si fanno i miliardi, ma anche questa è una storia ancora tutta da scoprire.

E pensare che in questa situazione ci sono almeno sei persone che stanno combattendo come leoni per diventare sindaco, per proporre soluzioni e per dire che un futuro c’è. Comunque vada a finire bisogna ammetterlo: hanno coraggio e almeno un pizzico di sana follia. Cercare di raddrizzare questo declino non sarà facile.

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