9 Settembre 2020 - 13.46

C’era una volta la “Signora maestra”

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Lunedì prossimo per i bambini della scuola primaria suonerà la campanella del primo giorno di scuola.
Soprattutto per i bambini del primo anno comincerà un percorso che prende avvio dall’ incontro con i loro insegnanti, un docente per ogni gruppo di materie, inglese compreso.
Come capita da trent’anni esatti, questi scolaretti troveranno ad accoglierli più di una maestra (mi piace ancora chiamarle così), cinque o addirittura sei.
Non è sempre stato così.
Prima, fino al 1990, in cattedra c’era una sola maestra, perchè per oltre un secolo, fin da quando nell’Italia unita venne introdotto l’obbligo scolastico, l’insegnante per ogni classe della scuola elementare era uno solo, che si occupava dell’insegnamento di tutte le materie, ginnastica e religione incluse.
E nelle località più disagiate, tipo quelle montane, quell’unica maestra aveva spesso alunni di tutte e cinque le classi, eventualmente gestite parte al mattino e parte al pomeriggio. Una sorta di tempo pieno non per gli alunni, ma per la maestra, cui venivano affidati contemporaneamente anche trenta o quaranta ragazzi.
Certo i tempi sono cambiati, località remote non ce ne sono più, le “classi pollaio” care alla Ministra Azzolina sono ormai un ricordo anche perchè ci sono sempre meno bambini, e pensare di insegnare contemporaneamente a ragazzi di varie classi sembra una cosa da fantascienza.
Fu l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da Ministro della Pubblica Istruzione, a legare il suo nome alla riforma del 1990, che cancellò la maestra unica, sostituita dai cosiddetti “moduli”, in pratica più insegnanti per la stessa classe.
Eppure per tutti coloro che hanno concluso la scuola elementare prima di quel fatidico 1990, credo che il ricordo della propria maestra sia indelebile.
Parlo di maestra perchè allora le insegnanti elementari erano prevalentemente donne, ed i maestri maschi si contavano sulle dita.
Si tratta di un ricordo che oggi sembra quasi una favola, dal titolo “C’era una volta la Signora maestra”.
Ma è un “c’era una volta” non molto lontano, in quanto coloro che sono nati fino al 1978 hanno avuto l’esperienza della maestra unica, che accompagnava i suoi alunni per tutta la durata delle scuole elementari.
La scuola di allora era profondamente diversa, perchè diversa era anche l’Italia.
Innanzi tutto non c’era la cosiddetta autonomia scolastica.  Le lezioni iniziavano per tutte le scuole della Repubblica il 1° ottobre, e l’orario era per tutti dalle ore 8,30 alle 12,30, dal lunedì al sabato.
Le aule erano di solito molto più spaziose perchè inserite quasi sempre in edifici molto vecchi, i corridoi erano ampi e le classi colorate fino ad altezza d’uomo con la vernice ad olio.  La lavagna non era affissa al muro come oggi, ma posata su un cavalletto, un po’ come le tele dei pittori.  Ai muri erano affisse carte geografiche, e nelle prime classi un cartellone per ogni lettera dell’alfabeto, in corsivo ed in stampatello, accompagnata da una figura il cui nome iniziava con quella lettera (es. un’oca per la O, un asinello per la A)
I banchi rigorosamente a due posti erano di legno massiccio con il sedile incorporato, disposti a file, ed avevano ancora sul lato destro un buco per il calamaio, nel quale intingere i pennini nell’inchiostro
Certo per ricordarsi dei calamai e dei pennini bisogna avere parecchie primavere sulle spalle, perchè già alla fine degli anni ’60 cominciarono a comparire su banchi le prime penne sfera, chiamate anche “biro”.  Con le penne a sfera sparirono le perenni macchie di inchiostro sulle mani dei ragazzi, che talvolta riuscivano anche a sporcarsi il viso come dei pagliacci.  Ma non crediate che le prime penne a sfera fossero come quelle di adesso.  Le prime produzioni avevano evidenti problemi alla sfera ed agli inchiostri, con il risultato che scrivendo si producevano sui quaderni macchie e sbuffi colorati.   Inutile dire che in ogni caso era diffusissima una dotazione che adesso suscita un sorriso; la carta assorbente.
Il materiale scolastico era molto più semplice di quello del giorno d’oggi, e decisamente poco costoso; oserei dire quasi spartano.
Un astuccio di pezza che aveva la forma di una busta per le lettere chiuso con un bottone, oppure di legno con il coperchio scorrevole,  in cui venivano riposti un pennino (successivamente una penna a sfera), una matita, una gomma, un temperino e una scatolina con dei pastelli colorati.   Con il passare degli anni comparvero gli astucci fatti a portafoglio con una cerniera, comprensivi di tutta la dotazione sopra descritta.
Si utilizzavano due quaderni di tipo diverso; uno a righe per gli esercizi di scrittura, i “pensierini”, i dettati, ed uno a quadretti per gli esercizi di “aritmetica”.
Spesso la maestra voleva un quaderno a righe in più, dove ricopiare gli scritti in “bella copia”.
Si studiava su due soli libri; il sillabario o “abbecedario”, per imparare a leggere e a scrivere, ed il sussidiario che conteneva i rudimenti di matematica, storia, geografia.
In quegli anni non si usavano gli zainetti, e tutto veniva riposto in una cartella, solitamente di cuoio.
Immagino che qualcuno fra i più giovani di voi stia sgranando gli occhi, perchè ha in mente le “dotazioni” che gli scolari di oggi devono portare a scuola. Dotazioni che, vi assicuro che ho pesate quelle di una pro nipote, raggiungono il peso di 17 e più chili, tanto da rendere inutilizzabile il classico zainetto, obbligando il pargolo a trascinarsi dietro un trolley.
Evidentemente la cultura al giorno d’oggi si misura “a peso”!
Oggi, grazie all’informatica diffusa, i bambini di 4 o 5 anni hanno già i primi rudimenti dell’alfabeto, e molti addirittura sanno già leggere e scrivere.
Ma ai tempi della maestra unica, quando andavano a scuola per la prima volta, i ragazzini dovevano imparare praticamente tutto da zero, perché fino a quel momento non avevano mai tenuto in mano neanche una matita. I primi esercizi prima di imparare la scrittura vera e propria consistevano nel tracciare sulla pagina del quaderno una serie di aste orizzontali, verticali e trasversali. Una volta che, attraverso tali esercizi, i bambini acquisivano familiarità con gli strumenti di scrittura, potevano cominciare ad imparare l’alfabeto vero e proprio, e a poco a poco tutto il resto.
A scuola si andava obbligatoriamente “in divisa”, tutti con grembiulino nero e colletto bianco; cambiava solo il colore del fiocco, rosa per le bambine e azzurro per i maschi.
Le classi erano per lo più rigorosamente divise in maschili e femminili; quelle miste c’erano, ma non erano molto diffuse.
Rispetto ai parametri di oggi la scuola a quei tempi era molto più dura, ed i bambini venivano educati con maggiore severità.
Le classi non erano certamente né caserme né carceri, però si pretendeva una certa discliplina.  Ed il simbolo a mio avviso era la cattedra, posta regolarmente sopra una pedana per sovrastare i ragazzi. 
La maestra era la “Signora Maestra”, e nessuno si sarebbe neanche lontanamente sognato di interpellarla con il “tu”, come ormai è prassi comune nelle scuole primarie.  Era regola alzarsi in piedi quando l’insegnante entrava, salutandola in coro con un sonoro “Buongiorno signora maestra”.
Per chi si non si comportava secondo le regole c’erano punizioni, che potevano andare dall’essere spedito in piedi dietro la lavagna, al prendere anche qualche scappellotto.
I genitori erano comunque dalla parte dell’insegnante. Noi ragazzi sapevamo che se fossimo andati a casa lamentandoci per avere preso appunto uno scappellotto dalla maestra, in automatico ne arrivava un altro ben più forte accompagnato dalla frase fatidica “Se la te lo ga da’, vol dire che te te lo geri merità”.
In pratica mamme e papà non solo non si lamentavano di questi metodi, ma li ritenevano utili e funzionali all’educazione dei figli.   Di conseguenza non c’era nessuna denuncia come adesso, anzi, anche perchè si era consci che a quei tempi il voto in condotta contava eccome, e con il sette si ripeteva l’anno.
Come pure nessun genitore si sarebbe mai sognato di contestare un voto negativo od una bocciatura.  Non erano anni da pedagogisti fatti in casa un tanto al chilo; c’era coincidenza di intenti fra genitori e maestre sia sugli obiettivi che sui metodi.  
Allora era così, ma la maestra in generale era vista dai più piccoli come una seconda mamma.
Ed in effetti, proprio perchè la maestra era unica, e ti accompagnava per tutti i cinque anni delle elementari, conosceva perfettamente i suoi alunni. Li seguiva, li istruiva, li educava, li faceva crescere culturalmente ed emotivamente.
Ogni maestra conosceva i tuoi punti deboli, capiva quando eri triste o allegro, percepiva se ti era capitato qualcosa di negativo, se non avevi dormito bene, se stavi covando un’influenza.
Oggi si parla tanto di metodologie di insegnamento, di pedagogia, di progetti, di strategie, di programmazione scolastica.  Allora era tutto più semplice e lineare, e diventava fondamentale la qualità umana e professionale della maestra.
Come dicevo all’inizio il mondo cambia, anche se non sempre in meglio. 
E relativamente alla scuola elementare uno viene portato a concludere che, visto il numero di educatori impegnati in ogni classe, i ragazzi di oggi siano tutti destinati ad un premio Nobel, rispetto alle generazioni passate che erano affidate alle cure di una sola maestra.
Eppure quella sola maestra ci insegnò a “leggere, scrivere, e a far di conto” come si diceva allora, ci insegnò ad essere cittadini, soprattutto ad essere uomini e donne.
E con quegli insegnamenti, con quelle basi culturali impartite da quelle maestre “uniche” nel vero senso della parola, siamo cresciuti, e molti di noi hanno fatto poi un liceo dignitoso e si sono laureati brillantemente.
Purtroppo buona parte di quelle maestre non sono più fra noi, ma continuano a vivere nei nostri ricordi, almeno fino a quando saremo in grado di ricordare.

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