10 Maggio 2016 - 13.38

SPORT- Dal Leicester a Schwazer, storie di ordinaria follia

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MANCHESTER, ENGLAND - FEBRUARY 06:  Leicester City supporters celebrate their team's win in the Barclays Premier League match between Manchester City and Leicester City at the Etihad Stadium on February 6, 2016 in Manchester, England.  (Photo by Michael Regan/Getty Images)

MANCHESTER, ENGLAND – FEBRUARY 06: Leicester City supporters celebrate their team’s win in the Barclays Premier League match between Manchester City and Leicester City at the Etihad Stadium on February 6, 2016 in Manchester, England. (Photo by Michael Regan/Getty Images)

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di Marco Osti

Le storie di sport possono essere epiche e leggendarie e avere significati simbolici che vanno oltre il mero risultato.
La vittoria della premier league da parte del Leicester è l’emblema della rivincita dei deboli contro i più forti, della potenza che riesce a esprimere la forza di volontà e la determinazione, della rivalsa di chi nella vita è considerato inferiore, emarginato, destinato a un’esistenza di difficoltà senza soddisfazioni.
La conquista di uno dei campionati di calcio più ricchi del mondo da parte della compagine allenata da Claudio Ranieri ha tutti i crismi della favola, dal lieto fine al riscatto del perdente, che grazie all’impegno e al sacrificio supera i suoi limiti e quelli che il contesto sociale e umano in cui vive tendono a imporre, come una legge naturale inviolabile.
Le storie di sport possono però anche essere sinonimo di degrado umano e immoralità. Sono le storie dove si prova a vincere senza merito e senza impegno, con l’inganno o con l’eliminazione dell’avversario dalla contesa.
Tra queste tra le più indegne ci sono quelle di doping, quelle dove la ricerca della vittoria a ogni costo valica i confini della legalità e della correttezza, con l’aggravante di mettere a rischio la salute di ragazze e ragazzi che si trovano in un meccanismo senza etica e dignità.
Sono storie di sconfitta, in cui per primo perde lo sport stesso, che diventa paradigma di logiche perverse, come quelle che in economia portano a porre in atto qualsiasi azione per raggiungere un profitto economico, come quelle che in politica giustificano l’utilizzo di ogni mezzo per raggiungere o mantenere il potere.
Le storie di sport quando toccano gli abissi della vergogna possono però essere anche per prime simbolo di redenzione ed esempio di riscatto per chi ha sbagliato e ha avuto la forza di ammetterlo e di cambiare.
Domenica 8 maggio sulle strade di Roma si è compiuta una di queste storie.
Il protagonista è stato Alex Schwazer, il marciatore italiano che era stato trovato positivo al doping alla vigilia delle Olimpiadi di Londra, in una storia che ha coinvolto anche Carolina Kostner, la fuoriclasse del pattinaggio artistico, sua compagna ai tempo dello scandalo.
Su un circuito di 50 chilometri attraverso le vie della Capitale Schwazer è tornato a gareggiare dopo 3 anni e 9 mesi di squalifica.
La gara non era una passeggiata di piacere, ma era valida per il campionato del mondo a squadre e l’italiano ha vinto, staccando l’australiano secondo qualificato di oltre 3 minuti.
Una dimostrazione di classe, talento e impegno, sulla quale garantisce senza riserva il suo allenatore Sandro Donati, da anni censore di pratiche illegali nello sport, che da mesi si è assunto l’onere di preparare Schwazer e di farlo controllare ogni settimana per certificare di essere pulito.
Un modo anche per combattere il doping dimostrando che si può vincere senza farne uso.
Il ritorno di Alex, quello che ha imbrogliato e inguaiato la sua fidanzata, e ricordiamo in lacrime alla conferenza stampa in cui ha ammesso davanti al mondo le sue colpe, è diventato però un caso che ha diviso le coscienze, tra gli sportivi e tra i tifosi.
Molti non sono contenti del suo rientro alle gare, a cominciare da alcuni suoi avversari che auspicavano e di Gianmarco Tamberi, l’atleta italiano che ha recentemente vinto il campionato del mondo indoor di salto in alto, riportando un nostro connazionale ai vertici in questa disciplina dai tempi di Sara Simeoni.
“Schwazer è la vergogna d’Italia, va squalificato a vita. Non lo vogliamo in Nazionale” ha sentenziato il saltatore, con una dichiarazione che evidentemente presuppone la logica per cui chi è stato trovato a doparsi debba essere radiato per sempre dalle competizioni, immaginando che non voglia applicare questo criterio solo per il marciatore altoatesino.
Il commento è apparso sulla pagina Facebook “No, non ho mai pensato di doparmi”, aperta dopo che in una trasmissione televisiva Schwazer ha dichiarato che tutti gli atleti di vertice prima o poi pensano di ricorrere a qualche sostanza illecita per migliorare le loro prestazioni.
La dichiarazione del marciatore è stata del tutto improvvida e ha avuto il sentore di una sorta di giustificazione postuma per avere scelto la strada sbagliata dello sport, pertanto è legittimo che abbia indignato molti e sono tanti gli atleti che hanno aderito alla pagina, che oggi è seguita da oltre 2.800 persone.
In questa storia infatti ci sono componenti anche politico sportive, che riguardano dinamiche all’interno dell’atletica e del Coni e la volontà di Donati di dimostrare che nel tempo ha sempre avuto ragione lui a contestarne i vertici, colpevoli in passato di chiudere sempre un occhio di fronte a possibili illeciti.
In tutto ciò però resta prioritario il ruolo del tifoso, che quando si sente ingannato è normale voglia giustizia sommaria, nell’atletica, come nel ciclismo e nel calcio, dove a fronte di minori casi di doping, si sono svelati tanti legati alle scommesse, con giocatori che hanno venduto risultati e prestazioni.
Il tifoso è un innamorato che viene tradito e come avviene in una storia d’amore non lascia spazio alla redenzione.
Ma lo sport racchiude la vicenda umana in tutte le sue sfaccettature e tra queste deve esserci anche la possibilità di redimersi.
Lo prevede una società civile fondata sul diritto, considerando che una persona dopo avere scontato la sua pena deve poter riprendere in mano la sua vita e provare a risorgere.
Lo sport, che del riscatto personale deve essere garante, non può vietare questa possibilità all’interno di regole chiare e definite, come quelle che sono indicate dalle federazioni nazionali e internazionali e che sono state seguite nel caso di Schwazer.
L’amore però non è un fatto tecnico giuridico, per un tifoso tornare ad amare dopo essere stato tradito richiede un atto di grande generosità, di cui un atleta deve essere consapevole e grato.
La responsabilità che si è assunto Schwazer di tornare a correre è quindi doppia, perché a lui gli italiani non chiedono risultati sportivi, o perlomeno non solo quelli, ma di essere una persona pulita, illogicamente più di quanto lo siano loro al lavoro o in famiglia, l’amore non ha logica.
Se Schwazer vuole gareggiare è giusto che lo faccia, ma sia consapevole dell’onere che si è assunto e pensi solo a marciare, senza remore e solo con la forza del suo fisico e del suo talento.
Il resto lo farà il tempo e la potenza dello sport, che in fondo è un riferimento puro e porta all’inferno e in paradiso e sa offrire nuove opportunità senza sconti e senza guardare in faccia a nessuno.
Schwazer ha un debito con lo sport e con i tifosi, lo salderà davvero solo se sarà capace di accettare qualsiasi risultato da atleta, ma soprattutto da uomo pulito.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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