23 Gennaio 2024 - 8.50

Quel “Libretto Rosso” di Mao.  Un mito costruito in Occidente 

Di recente, a casa di un amico, guardando nella sua fornita biblioteca, mi è capitata fra le mani un’edizione del mitico, e non uso questo termine a caso, “Libretto Rosso” di Mao Tse Tung.

Erano più di cinquant’anni che non mi capitava in toccare questo testo, e non vi nascondo che non ho resistito alla tentazione di rileggerne alcuni passi, estraniandomi per un po’ dalla compagnia.

Sicuramente come ospite non ho fatto una gran bella figura, e mia moglie “dopo” me lo ha rimproverato con una certa veemenza, ma cosa volete, quelle pagine per certi aspetti hanno condizionato la mia generazione (quando uscì in Italia ero al liceo) e rileggerle mi ha catapultato all’indietro, ad altri tempi. 

Scommetto che pochi di voi lo hanno letto, e molti neppure sentito nominare, e di conseguenza mi risulta quasi impossibile trasmettervi gli effetti che provocò quel libercolo, sicuramente devastanti in Cina, ma altrettanto importanti anche nel nostro Occidente. 

Non dimenticate che la prima edizione italiana è del 1967, quindi nel pieno dei “moti” del 1968, e che divenne il punto di riferimento ideologico di molti gruppi rivoluzionari europei ed americani. 

Ma perché questa raccolta di pensieri del “grande Timoniere” ebbe tutta questa diffusione, e si potrebbe dire successo, tanto che si  stima che ne furono distribuite circa 5 miliardi di copie, cifra che lo rende il secondo libro più venduto della storia, dopo la Bibbia? 

La verità è che di pochi libri si può dire davvero che abbiano segnato un’epoca; e questo ha tentato addirittura di cambiare il mondo, e per certi aspetti ci è quasi riuscito, imponendo il colore rosso non solo in Cina, ma anche in tanti campus universitari occidentali, e ispirando molte rivoluzioni del terzo mondo.

Eppure la dicitura con cui è passato alla storia, appunto il “Libretto rosso di Mao” non è mai esistita, perché il titolo esatto era “Citazioni del Presidente Mao Zedong”, e verosimilmente non lo ha neppure scritto Mao, bensì Lin Piao, Maresciallo dell’Esercito di Liberazione Popolare, Ministro della Difesa, e aspirante successore.

Un personaggio all’epoca molto influente, citato nelle assemblee studentesche del maggio francese, e poi anche in Italia, e che scomparve in un misterioso incidente aereo, si dice su ordine dello stesso Mao.

Il libretto nacque, nell’idea di Lin Piao, come strumento per ideologizzare l’Esercito cinese, che doveva diventare il guardiano dell’ortodossia comunista rivoluzionaria, prima ancora che strumento militare.

Da lì partì tutto, perché questo esperimento di indottrinamento venne esteso poi a tutta la società, dando vita a quella fedeltà assoluta a Mao, passata alla storia come “Culto della personalità”.

Ebbe un successo straordinario presso le giovani generazioni cinesi, forse anche perché era esplicitamente rivolto a loro, come si legge in una delle massime: “Il mondo è vostro. Voi giovani pieni di vigore e di vitalità siete nel fiore della vita come il sole alle otto del mattino, il mondo vi appartiene, il futuro della Cina vi appartiene!

Da questo rapporto diretto con i giovani, sotto la regia occulta di Mao, ebbe origine la fase della cosiddetta “Rivoluzione culturale”, che in realtà rappresentò la volontà del “Grande timoniere” di fare fuori (letteralmente) gli avversari interni al partito, soprattutto le fazioni da lui considerate moderate.

Fu un attacco diretto alla nomenclatura, agli apparati del Partito, attuato scatenando il “culto della violenza”, come si capisce leggendo questi passaggi del libretto rosso: “E’ necessario che si stabilisca in ogni zona rurale un breve periodo di terrore. Il potere è sulla canna del fucile.  La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è un’opera d’arte o un ricamo, non si fa con l’eleganza, la tranquillità, la delicatezza, la cortesia e la generosità d’animo. La rivoluzione è un atto di violenza con cui una classe ne rovescia un’altra”.

Credo che a chi appartiene alla mia generazione questi semplici concetti suonino abbastanza familiari, per averli sentiti urlare nelle assemblee e nei cortei. 

Ma, al di là del condizionamento della società cinese, il vero miracolo del “libretto Rosso” fu quello che provocò nei salotti e nelle assemblee studentesche dei nostri Paesi, l’innamoramento di certe élites borghesi occidentali verso il maoismo, che trasformarono il libretto rosso in una sorta di testo arcano, quasi esoterico, con intellettuali che si esercitavano nella esegesi delle massime e degli aforismi di Mao.

A mio avviso il risultato fu che nelle nostre società, a quell’epoca molto più avanzate della Cina,  il “libretto rosso” divenne quasi una sorta di allucinogeno, che instillò in molti intellettuali di sinistra la convinzione che il comunismo cinese fosse profondamente diverso dagli altri “comunismi realizzati” dell’epoca, quello sovietico in primis.

Quella cinese, nella vulgata delle élites borghesi “maoiste” occidentali, veniva percepita come una rivoluzione più democratica, una rivoluzione dal basso, più genuina e più spontanea, e la società cinese come una società dove veramente comandavano le masse, e non gli apparati burocratici e di partito come in Russia.

Sfuggiva a questi maitre à penser che Mao usava le stesse analisi, se non le stesse frasi, di Stalin.

I concetti erano inevitabilmente gli stessi: “centralismo democratico” “dittatura del proletariato”, “economia pianificata”

Ma la venerazione occidentale arrivava persino a negare il reale significato delle parole di Mao, in una sorta di beatificazione collettiva del Grande Timoniere.

Al di là dei miraggi di certa cultura, la realtà storica ci dice che la rivoluzione culturale fu lanciata da Mao per  riprendere il controllo effettivo del Partito comunista, dopo che la sua leadership  rischiava di essere messa in discussione a causa del fallimento della “politica economica”, del “grande balzo in avanti”, che sfociò invece nella grande carestia cinese. 

Fu uno dei periodi più tragici delle recente storia della Cina,  e ancora non è definito con precisione il numero di morti dovuti alla Rivoluzione culturale; anche se  le stime degli storici oscillano tra 400.000 e 20 milioni di vittime.  Per non parlare dei circa 36milioni di cinesi rinchiusi in campi di rieducazione e lavoro, in realtà campi di concentramento, denominati “Laogai”. 

In quegli anni si verificarono massacri in tutta la Cina Continentale; massacri che furono principalmente guidati e organizzati da Comitati rivoluzionari  locali, rami del Partito Comunista, milizia e persino militari. 

Avete mai sentito parlare delle “guardie rosse?

Ne fu vittima lo stesso Presidente attuale, Xi Jinping. 

Infatti agli inizi degli anni sessanta il padre di Xi, Zhongxun (un veterano della rivoluzione), venne accusato da Mao in persona di essere un nemico del popolo e chiuso in carcere. Anche la vita del giovane Xi venne travolta: in quella sorta di guerra civile, quasi pirandelliana, tra giovani e vecchi, genitori e figli, maestri ed allievi, sua madre venne costretta ad umiliarlo pubblicamente, ed il quattordicenne Xi, come milioni di giovani cinesi, venne mandato nelle campagne per essere rieducato da quelli che Mao considerava gli unici depositari della rivoluzione: i contadini.

Durante la Rivoluzione culturale la scuola non esisteva più. I professori furono umiliati, picchiati e derisi dagli studenti. La scuola sostanzialmente si fermò per anni, e gli studenti divennero rivoluzionari di professione.

Fu un’immensa tragedia, di cui nella Cina di oggi si è poco disposti a parlare.

Tutto si chiuse nel 1979, tre anni dopo la morte di Mao,  quando il libretto rosso venne “scomunicato” con una semplice direttiva interna del partito Comunista cinese, guidato allora da Deng Xiaoping.

Dopo averlo scorso, ho riposto “il Libretto rosso” nella libreria del mio amico, rimanendo con la sensazione di aver rivissuto in breve tempo  quello che per una parte della mia generazione (non io che comunista non lo sono mai stato) costituì un abbaglio, la suggestione che la rivoluzione maoista fosse una rivoluzione dal volto umano.

In realtà per me Mao Zedong fu sia uno statista visionario che un despota senza scrupoli; in breve il leader che inventò la rivoluzione cinese…. e la tradì.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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