12 Ottobre 2022 - 12.17

PILLOLA DI ECONOMIA  – Giorgia Meloni: Mes o non Mes?

di Umberto Baldo

Fra le tante “rogne” che aspettano Giorgia Meloni quando sarà Presidente del Consiglio ce n’è una che si trascina da tempo, e che neppure Mario Draghi ha avuto l’ardire di risolvere definitivamente, viste le profonde divisioni presenti nel Parlamento uscente.

Sto parlando delle Riforma del MES, che in parole povere è il Meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism, ESM), istituito mediante un trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico della UE, nel 2012.

Da allora il MES si è guadagnato una pessima fama, in particolare per i programmi di assistenza finanziaria imposti alla Grecia durante la crisi del debito in cambio di riforme lacrime e sangue che hanno segnato negativamente la crescita di Atene.

E sono state proprio queste politiche che hanno innescato soprattutto nei Paesi del Sud Europa un risentimento generalizzato, in particolare in alcuni Partiti, fra cui Fratelli d’Italia della Meloni, e per la verità anche la Lega di Salvini.

E proprio la Meloni divenne una delle più dure oppositrici del Mes, sia nella forma originale che in quelle di recente “revisionata”.

Tanto per capirci, durante i negoziati dell’Eurogruppo di fine 2019, portati avanti dal Movimento 5 Stelle e dal Pd, la Meloni attaccava con questi toni:  “l’Italia ha la possibilità di opporsi e alzare finalmente la testa, ma dai 5 Stelle arriva l’ennesimo voltafaccia e tradimento sulle spalle degli italiani per difendere le poltrone. Vergogna”

E nel dicembre 2020 la leader di FdI tuonava dai banchi dell’’opposizione : “questa riforma del Mes è l’anticamera della cura greca. Io sono una patriota e voglio che rimanga agli atti che avevo avvertito: si sta materializzando l’antico volere tedesco, quello di farci pagare il debito con il risparmio privato”.

Si era allora in piena pandemia da Covid, ed il Recovery Fund  era ancora di là da venire, ma l’avversione  della  Meloni per questo tipo di aiuto europeo era tale da indurla a scartare anche l’idea di accettare il Mes sanitario, quello destinato alle spese per il contrasto del Covid con condizionalità light.

Anche questo -disse allora- “ha le condizionalità, e succederà che se accediamo al Mes sanitario, poi scatteranno”.

Per la premier in pectore sul Mes è sempre stata in gioco “la libertà dell’Italia” e accettarlo avrebbe voluto dire  vorrebbe piegarsi di fatto all’ingerenza esterna nella gestione delle finanze statali.

Forse mi sono un po’ dilungato ad illustrare le intemerate della Meloni contro il Mes, per farvi capire bene quale sia il dilemma che a breve di troverà davanti.

Già perché la riforma dell’ex Fondo salva-Stati dei Paesi dell’area euro è stata approvata da tutti gli Stati dell’Eurogruppo, tranne che da Italia e Germania.

Ma mentre per le Germania si tratterebbe di un ritardo dovuto al consueto ricorso alla Corte Costituzionale, per l’Italia il nodo è sempre stato di natura politica.

L’ultima volta che si è sentito parlare di ratifica è stato lo scorso febbraio, quando  il ministro dell’Economia Daniele Franco, dopo l’ennesimo richiamo arrivato dall’Europa annunciò che il Governo era intenzionato a rilanciare la ratifica della riforma del Trattato del Mes.

Iniziativa ancora una volta rigettata della Meloni che disse: “Noi non abbiamo cambiato idea: siamo pronti a respingere con tutte le nostre forze questo ennesimo tentativo di riforma di un Trattato che non fa gli interessi dell’Italia”.

Ma si sa che la politica è l’arte del possibile, e spesso quello che viene stigmatizzato quando si è all’opposizione deve essere visto con altri occhi se ci si trova alla guida del Governo.

E se la Meloni ha le caratteristiche di una statista lo si vedrà proprio su come riuscirà a gestire questa “patata bollente”.

Perché, da statista, la futura premier non può far finta di non vedere che la pandemia ha sparigliato tutto.

Cambiando l’approccio, tanto che se il meccanismo del Mes prevedeva che uno Stato in difficoltà ottenesse una linea di credito, ma poi se la doveva vedere da solo, con la pandemia ed il Pnrr, si è passati ad una condivisione sia degli aiuti che del debito.

E va sicuramente dato atto ad Angela Merkel di aver avuto il coraggio di cambiare linea superando le tradizionali ostilità  tedesche.

Tutto questo, se gestito bene e con intelligenza politica,  può offrire a Giorgia Meloni la possibilità di promuovere la ratifica del Mes, spiegando, nella sua nuova veste di premier, agli italiani (ma soprattutto ai sui amici di partito ed ai suoi alleati) che in fondo si tratta di un atto dovuto, di un’eredità del passato, e che per il futuro si giocherà una nuova partita.

Purtroppo per qualsiasi premier quello di poter fare “una politica di lotta e di Governo” resta una pia illusione, una di quelle chimere utilizzata da qualche avventuriero per illudere i gonzi, e quando si è nella “stanza dei bottoni”  nel bene o nel male bisogna “decidere”.

E nella fattispecie del Mes, non approvare la riforma negoziata in Europa dal governo giallorosso di Giuseppe Conte, significherebbe dare un segnale per nulla distensivo verso Bruxelles che nell’ultimo periodo, sia prima che dopo il voto del 25 settembre, ha aumentato le sue pressioni su Roma. 

Una decina di giorni fa fonti anonime  della Commissione hanno fatto trapelare che  a Bruxelles si aspettano che l’Italia rispetterà i suoi impegni,  ed un mese fa un alto funzionario Ue ha sottolineato che la ratifica “è un impegno preso dalla Repubblica Italiana”.

Detta in altre parole:  va approvata non importa quale sia il colore del Governo.

In conclusione, fra guerra in corso, inflazione alle stelle, recessione annunciata, caro bollette, il Mes rappresenta a mio avviso più che altro un test di affidabilità in chiave europea di Giorgia Meloni e della sua maggioranza, ma si tratta di un test che presuppone per la nuova premier un salto di qualità, un approccio da statista del quale ancora non abbiamo la prova…”

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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