9 Agosto 2022 - 10.59

PILLOLA DI ECONOMIA – Fuga dalla Borsa

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In questo periodo c’è un fenomeno che imperversa a Piazza Affari, il delisting.

Per chi non abbia dimestichezza con questa parola, vuol dire semplicemente “togliere dal listino”.

Ma cosa sta succedendo in Borsa?

L’ultima in ordine di tempo è Tod’s, relativamente alla quale Diego Della Valle ha lanciato un’ Opa sulle azioni non in suo possesso, al fine di ritirare l’azienda dal listino.

Ma a settembre seguirà un gigante del Nord Est come Atlantia, che la famiglia Benetton ha deciso di sottrarre alla quotazione per “proteggerla da appetiti esterni”.

Autogrill, che si è fusa con Dufry, resterà quotata in Svizzera.

Ma dal listino sono uscite anche Cattolica Assicurazioni, la società immobiliare Cioma Res, e Cerved, nata nel 1974 come centro di elaborazione dati delle Camere di Commercio del Veneto, e poi cresciuta innovando e sviluppando nuovi business.

Esattamente un anno fa, nell’agosto 2021, ha scelto il “delisting” anche il Gruppo Carraro, ed EssilorLuxottica, nonostante non sia stata abbandonata del tutto l’idea di una quotazione anche a Milano, all’indomani della fusione ha scelto Euronext Paris (tanto per capirci si tratta di un Gruppo che quota da solo più di Unicredit, Generali e Mediobanca messe insieme).

E credo ricordiamo tutti che Exor della famiglia Elkann ha deciso a suo tempo di abbandonare Milano per quotarsi ad Amsterdam, forse in virtù del fisco meno rapace e delle regole più semplici.

Il fenomeno del delisting è veramente notevole, perché negli ultimi 15 anni Piazza Affari ha perso qualcosa come 55 miliardi ci capitalizzazione, ed un’altra ventina uscirà a breve, come abbiamo visto.

Di conseguenza il rapporto capitalizzazione di Borsa/Pil, che si trova attorno al 20%, è uno dei bassi d’Europa.

Ma qual’è il motivo di questa fuga?

Non è facile rispondere in modo esaustivo a questa domanda, ma alcune motivazioni si possono azzardare.

Innanzi tutto va osservato che Borsa Italiana ha dimensioni piccole (la capitalizzazione di Piazza Affari è circa la metà di quella tedesca, un terzo di quella francese, ed un quarto di quella inglese), ed è un listino che vede una massiccia presenza di aziende in qualche modo legate più allo Stato che al mercato (secondo una stima di Milano Finanza, lo Stato è il più importante investitore a Piazza Affari).

Vanno poi considerate la volontà, come abbiamo visto, di alcuni Gruppi di proteggersi da possibili scalate esterne, nonché quella di volersi sottrarre ad un regime regolatorio come quello della Consob, da sempre orientato più verso una cultura del sospetto che su quella del rischio.

Certo non va poi sottovalutato l’atteggiamento di certi imprenditori che non vogliono rinunciare al controllo assoluto della propria impresa, e presentarsi al Mercato dicendo “cari investitori io sono il proprietario dell’azienda, mantengo il controllo assoluto della mia società, e voi, cari azionisti, se volete potete comprate anche il 49 per cento, sapendo che però alla fine non conterete nulla” non è certo il miglior modo per attrarre capitali.

Ma io credo che non ci si possa sottrarre anche ad un’altra riflessione, che i nostri Demostene, se fossero all’altezza ma non lo sono, dovrebbe considerare con attenzione.

Ed è quella che in questo benedetto Paese sta a poco a poco riducendosi la cultura del rischio, soppiantata da una crescente cultura basata sull’assistenzialismo più deteriore.

Se fosse così, e purtroppo io segnali in tal senso mi sembra di percepirne molti, in gioco non ci sarebbe solo il destino di Piazza Affari, ma dell’Italia.

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