14 Ottobre 2022 - 10.46

PILLOLA DI ECONOMIA – Caro energia: a rischio stagione sciistica

di Umberto Baldo

Penso che mai come nelle prossime settimane molti nasi saranno rivolti all’insù in attesa di fiocchi di neve che ricoprano con un manto consistente le piste da sci.

Ed i nasi cui mi riferisco sono quelli dei gestori degli impianti di risalita che, dopo due stagioni invernali pesantemente condizionate dalla pandemia, speravano in una normalizzazione del turismo della neve.

Invece stanno già toccando con mano gli aumenti stratosferici dell’energia elettrica, e sono portati a porsi inevitabilmente tante domande su come potranno gestire la stagione ormai alle porte.

Lo spunto per queste riflessioni mi è venuto dopo aver letto una serie di messaggi in una chat, di cui riporto qualche passaggio:

“Sappiamo bene quanto sarà complicato l’inverno che sta per arrivare per le famiglie italiane.   Si può ancora pensare di bruciare denari per un genere di attività, climaticamente anacronistica, come lo sci di discesa?….. Vogliamo davvero continuare a spendere denaro, che non abbiamo, per pompare acqua (che non abbiamo a causa di una drammatica siccità) dal fondovalle, contro natura e contro intelligenza, per produrre neve programmata? Vogliamo utilizzare la costosissima energia (pagata da tutti noi) per questi scopi?  Per mettere neve dove la natura ha deciso che neve non doveva esserci?”

Francamente non so chi sia e cosa faccia per vivere l’autore, o l’autrice, di questo messaggio, ma sono sicuro che se abitasse in qualche località delle nostre Alpi  sicuramente la penserebbe in maniera ben diversa.

Perché si può anche avere una visione ambientalista, e legittimamente pensare che la neve artificiale sia “contro natura”, ma questo a mio avviso non può far dimenticare che lo sci e il suo indotto hanno un valore economico e sociale insostituibile per le nostre montagne essendo, ad oggi, una delle poche attività che produce valore, e posti di lavoro, nelle cosiddette “terre alte”.

Un valore quantificabile in 6,5 miliardi di euro di fatturato, e in 75.000 posti di lavoro.

Già lamentiamo da tempo lo spopolamento delle nostre montagne, con tutto ciò che ne consegue sia in termini socio-economici che di gestione dell’ambiente (la montagna abbandonata a se stessa diventa pericolosa anche per la sostenibilità ecologica), e non c’è alcun dubbio che  una drastica contrazione del settore sciistico non farebbe che accentuare il fenomeno.

Non meraviglia quindi che ci sia molta preoccupazione fra gli addetti ai lavori a fronte di un costo dell’energia aumentato anche di sei volte rispetto ad un anno fa,   e alcuni operatori per non dare forfait stanno ragionando su una serie di contromisure che potrebbero andare dallo stabilire un budget di spesa sull’energia, superato il quale ci si ferma, al prevedere l’utilizzo dell’innevamento programmato solamente all’indispensabile, ed in condizioni meteo ottimali.

Certo qualcosa si potrà fare, e sicuramente verrà fatto, per contenere l’importo delle bollette, già aumentate lo scorso inverno in maniera considerevole, ma non si può non considerare che l’attività sciistica dipende prevalentemente dal fattore climatico.

Che in questi ultimi anni si è fatto sempre più critico, con inverni più caldi rispetto ai decenni precedenti, e conseguente minore innevamento naturale.

Certo, se nevicasse tanto a novembre ci sarebbero meno problemi sul fronte dei costi energetici, ma se invece dovesse nevicare a dicembre sarebbe inevitabile per i gestori degli impianti dover ricorrere ai cannoni.

Non dimenticando mai che per produrre la neve ci vuole un mix di freddo, umidità e assenza di vento.

Ne consegue che quando si presentano le condizioni ottimali gli operatori non hanno scelta, e se le piste vanno innevate non possono stare a pensare ai costi delle bollette.

Certo uno potrebbe pensare che alla fine i gestori degli impianti potrebbero scaricare i maggiori costi sull’utenza.

Non ho dubbi che un ritocco all’insù del prezzo degli ski pass ci sarà, ma va considerato che l’attività sciistica non è sicuramente un servizio essenziale, per cui un forte ribaltamento dei costi sui fruitori avrebbe come conseguenza inevitabile un calo dell’affluenza, ottenendo il classico effetto del “cane che si morde la coda”.

Certo per le stazioni turistiche più note e alla moda, quelle frequentate da un tipo di clientela ricca (penso ad esempio a Cortina e Courmayeur) l’impatto degli aumenti dei servizi potrebbe essere minore, ma la maggior parte delle località montane vive con una clientela fatta di sciatori della domenica, i quali già colpiti dall’inflazione e dalla conseguente crescita del costo della vita, finirebbero per rinunciare alla sciata del fine settimana.

Ironia della sorte la speranza che il meteo ci regali quest’inverno neve abbondante e freddo pungente, per il bene dell’industria turistica, si scontra con la speranza di avere invece una stagione “mite” per contenere la bolletta energetica di tutti gli italiani.

Purtroppo il problema c’è, e non sarà facile né affrontarlo né risolverlo, perché sono un po’ tutti i settori economici ad essere sotto lo schiaffo del caro energia, e francamente penso che per lo Stato sarà impossibile aiutare tutti.

Ma sicuramente non è giusto fare spallucce, affermando che “lo sci da discesa è climaticamente anacronistico”.

Vedremo se il nuovo Governo potrà e vorrà venire incontro alle difficoltà segnalate dagli operatori turistici del comparto sciistico.

Negli anni scorsi abbiamo visto i Partiti dell’attuale maggioranza preoccuparsi  e darsi da fare per il futuro degli “operatori balneari”.

Non vorremmo scoprire che i nostri “montanari” sono figli di un Dio minore.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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