13 Dicembre 2020 - 15.01

Paolo Rossi ci ha indicato la via della rinascita

C’era una città raccolta per dare l’ultimo saluto a Paolo Rossi, mentre i suoi compagni in quella nazionale italiana che divenne campione del mondo, in una calda e meravigliosa estate del 1982, ne sostenevano il corpo chiuso nella sua bara di legno chiaro, ancora grati perché lui li aveva condotti a diventare leggende.

Nella celebrazione composta, partecipata e commossa che Vicenza ha dato a un suo figlio adottivo, diventato prediletto, c’era la commozione dell’intero Paese, che oggi si trova di fronte all’ennesima pagina triste, dolente, di questo anno tragico.

E proprio in questa ennesima perdita l’Italia si riscopre unita, come era parsa esserlo durante la prima fase della pandemia e come invece è tornata a frammentarsi in tanti egoismi, personalismi, grandi diatribe, spesso su cose minime, ricerca di visibilità fine a se stessa, quando la prima ondata di dolore era passata.

Tutti i cittadini sono stati scossi dalla notizia della scomparsa di Paolo Rossi, quelli che lo hanno visto giocare e condurre con le sue reti la nazionale al successo, e quelli delle generazioni successive, che vedono filmati sgranati, quando i giocatori non erano personaggi social e icone mondiali, o ne sentono parlare e raccontare le gesta.

Una scossa che ha risvegliato la coscienza comune del Paese, ha smascherato la miseria delle piccole vanità quotidiane, che spesso, troppo spesso, sono l’immagine che l’Italia mostra a livello politico, sociale, economico.

A sollevare il velo di ipocrisie e false verità è stato un uomo normale, con un nome comune, Paolo Rossi, misurato quanto competente, come emergeva nel suo lavoro di commentatore televisivo, svolto per tanti anni dopo aver lasciato il calcio giocato, modesto quanto imponente, da giocatore, nelle aree di rigore, soprattutto quando in quel mese in Spagna, dopo alcune partite anonime, decise di dare una svolta alla storia del Paese, trascinando la nazionale alla vittoria della terza Coppa del Mondo.

Gli bastarono sei gol, al Brasile, alla Polonia e alla Germania Ovest, per diventare un simbolo. Sei gol normali, di per sé poco appariscenti, ma decisivi.

Il simbolo della rinascita di un’Italia che usciva dal tunnel del terrorismo, da una crisi economica devastante, da lotte sociali e divisioni laceranti.

Un simbolo di speranze, che poi, purtroppo, dopo dieci anni, furono di nuovo offese, perché la fiammella accesa era stata raccolta da presunti grandi uomini che l’avevano nel tempo spenta con le loro pratiche immorali, corrotte, criminali.

Poi l’altro giorno è arrivata la notizia che quel simbolo ci aveva lasciato e tutti si sono raccolti, uniti dallo stesso smarrimento.

Oggi, però, mentre un feretro avanzava tra le strade di Vicenza, portato a braccia da sei uomini, con dentro il corpo di una persona semplice, diventata straordinaria, è emerso di nuovo e chiaro il messaggio che tutti noi possiamo essere Paolo Rossi, se contribuiamo ognuno per la nostra parte alla crescita comune.

Ancora una volta, nel momento più difficile, come ultimo gesto, quell’uomo ha indicato la via della rinascita al Paese, dimostrando che la sua forza non risiede in presunti salvatori della Patria, ma nell’eroismo quotidiano delle persone normali, come i gol di Rossi, che mettono al servizio della collettività umiltà, caparbietà, dedizione al lavoro, senso di appartenenza, del dovere e di responsabilità.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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