26 Aprile 2022 - 9.46

Macron ha vinto, ma i problemi restano

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Domenica sera, alle ore 8 in punto, le Cancellerie europee, e non solo quelle in verità, hanno tirato sicuramente un sospiro di sollievo. In quel momento, scandito addirittura con un countdown come a fine anno, è apparso sugli schermi il primo exit poll, (in realtà si trattava di una prima proiezione su dati reali) che annunciava la vittoria di Emmanuel Macron alle Presidenziali francesi. Una vittoria netta ma non un trionfo: il  58,54%, contro il 41,46% ottenuto dall’eterna sfidante Marine Le Pen.Per di più è  il primo presidente della Repubblica Francese rieletto da quando il mandato è stato ridotto nel 2002 da sette a cinque anni.   Prima di lui nella Quinta Repubblica  il bis era riuscito solo a François Mitterrand e a Jacques Chirac.Tanto di cappello!  Non era poi una performance così scontata dopo un quinquennio “maledetto”, caratterizzato dai “gilet gialli”, dalla decapitazione di Samuel Paty, dall’incendio di Notre-Dame, dalla pandemia da Covid, e da ultimo dalla guerra in Ucraina… Non male per uno che ha solo 44 anni.Ma come sempre non è tutto oro quel che luccica, e a ben guardare il successo di Macron non è così completo come potrebbe sembrare. Certo ha impedito la conquista del potere all’estrema destra populista, nazionalista, euroscettica e vicina alla Russia di Vladimir Putin, in un Paese fondatore dell’Unione Europea, dotato di armi nucleari, con un seggio permanente in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e membro della NATO. Ma l’affluenza  è stata la più bassa dal 1969, l’astensione è arrivata al 28%, e le elezioni hanno sancito l’avanzata delle estreme.L’estrema destra e le altre forze che sfidano il sistema sono uscite più forti, e il crollo della destra tradizionale dei Repubblicani, unito a quello del Partito Socialista, non ha lasciato alla Francia alcuna alternativa moderata all’ipercentro di Macron.Ma soprattutto le elezioni hanno messo a nudo una Francia divisa in arcipelaghi, quasi si trattasse di due Paesi che non si parlano e non si capiscono più. Guardando la mappa del voto nelle cartine elaborate dai giornali francesi, si vede nettamente questa divisione: i ricchi, urbanizzati e multiculturali con Macron, i precari, provinciali e bianchi con Le Pen.Lo ha capito bene Emmanuel Macron, che nel suo discorso della vittoria nello splendido scenario del Campo di Marte di Parigi, ai piedi della Torre Eiffel, ha detto: “Il voto di oggi ci obbliga a considerare tutte le difficoltà e le vite vissute, e a rispondere efficacemente alla rabbia che è stata espressa”.Ed in questo discorso le Président, spesso accusato di arroganza e disprezzo degli altri, ha cercato di esercitare l’umiltà, e così ha ringraziato i cittadini di sinistra che, pur contrari al suo progetto, lo hanno votato per impedire la vittoria dell’estrema destra: “Il tuo voto mi lega per gli anni a venire”. Qualche parola anche per gli astensionisti: “Il tuo silenzio ha significato un rifiuto di scegliere a cui rispondere”.  E persino per gli elettori della sua rivale: “So che, per molti dei nostri connazionali che hanno scelto l’estrema destra, la rabbia e le divergenze che li hanno portati a votare per questo progetto devono trovare una risposta”.Direi che è proprio su questo piano della riunificazione nazionale che in questi cinque anni Macron ha fallito.Nel 2017 aveva promesso che, dopo il suo primo mandato, “nel 2022 non ci sarebbe stato più alcun motivo per votare per gli estremi”. Cinque anni dopo, non solo Marine Le Pen è stata nuovamente la sfidante al secondo turno, ma è progredita di 7 punti , raccogliendo il 41,46% dei voti.  Un punteggio “storico” che ha raggiunto le “vette”, secondo la sua definizione nel discorso di domenica sera, che non a caso non è stato il “discorso della sconfitta”, ma il primo della campagna elettorale per le elezioni legislative del prossimo giugno. Come si usa dire “gli esami non finiscono mai”, ed infatti per il neo confermato Presidente la parte veramente difficile comincia adesso. Non solo nei prossimi cinque anni guiderà un Paese in cui quasi la metà degli elettori sostiene un’opzione che porterebbe la Francia a lasciare l’UE, e cambierebbe la Costituzione tramite referendum per discriminare tra francesi e stranieri, ed in cui il  voto di protesta contro il sistema, se sommato alla sinistra populista, supera di gran lunga il 50%; ma se nelle elezioni del 12 e 19 giugno prossimi non dovesse riconfermare la maggioranza che ha attualmente all’Assemblea Nazionale, il suo secondo mandato potrebbe trasformarsi in un percorso a ostacoli.Nel 2017 il Partito da lui fondato, La République en Marche,  prese una maggioranza di 309 deputati (su 577) assieme al  Movimento Democratico centrista di Francois Bayrou.  Difficile che fra poco più di un mese riesca a ripetere quel successo, con una Le Pen tutto sommato gasata da quel  41,46% ottenuto domenica scorsa, e dall’altra parte lo spettro politico di Jean Luc Mèlenchon, leader della sinistra populista,  e terzo al primo turno delle elezioni presidenziali,  che tanto per essere chiaro ha dichiarato di aspirare a unire la sinistra sotto la sua guida, e così di  ottenere la maggioranza alle elezioni legislative; il  che costringerebbe Macron a nominarlo primo ministro,  e  a governare “in convivenza” con lui.Capite bene che le imminenti elezioni legislative saranno determinanti per definire  il panorama politico francese per i prossimi anni, e soprattutto ci diranno se Macron potrà governare con le mani libere come ha fatto nel quinquennio precedente, oppure, come succede spesso ai Presidenti americani, diventerà un’ “anatra zoppa”, in quanto privo di una propria maggioranza all’Assemblea Nazionale. In conclusione la vittoria di Macron se da un lato ha tranquillizzato i leader occidentali sul posizionamento internazionale della Francia, dall’altro non ha certo risolto i problemi, il malessere di fondo del Paese.La Francia ha mandato un segnale alle democrazie: quando sparisce un consenso condiviso, quando la rappresentatività dei partiti crolla, e i dirigenti non riescono a parlare all’intero Paese, e soprattutto ad ascoltarlo, le democrazie sono esposte a cadere nelle mani degli estremismi.   Ritengo ci sia di che riflettere anche per noi italiani.

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